La delega prevede la revisione dei reati di omessa
presentazione in servizio,
abbandono di posto e violata consegna, senza prevedere
i criteri in base ai
quali tale revisione deve essere ispirata. In effetti,
una volta che il servizio
militare è stato “professionalizzato”, in tempo di
pace, tali vicende dovrebbero
essere depenalizzate, in quanto semplici violazioni di
doveri professionali.
La delega prevede di introdurre una specifica ed
autonoma disciplina dei reati
in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope,
rispetto alla disciplina
comune. In questo modo si creerebbe una evidente
disparità di trattamento
penale fra militari e non militari, i primi verrebbero
puniti per comportamenti
(come il consumo di stupefacenti) che non
costituiscono illecito penale per la
generalità dei cittadini.
La delega prevede di introdurre come reato la
fattispecie della dispersione
colposa, che, se giustificata per la custodia delle
armi e delle munizioni, è
assurda per tutti gli altri materiali. Tanto per fare
un esempio, commetterebbe
un reato siffatto un Finanziere che, utilizzando la
penna stilografica, macchiasse
d’inchiostro la divisa.
La delega conferma la criminalizzazione di tutti i
comportamenti di protesta o di dissenso, non meramente individuale.
Sarebbe reato non solo l’esercizio dello sciopero, ma anche
qualunque comportamento collettivo che possa turbare il servizio (per
es. lo sciopero del rancio). Giungendo a ripristinare persino una
fattispecie di reato (la raccolta o la partecipazione a sottoscrizioni
per rimostranze o per protesta), cancellata dalla Corte Costituzionale
che, con Sentenza 29 aprile/ 2 maggio 1985 n. 126 aveva dichiarato
incostituzionale l’art. 180, I° comma del Cpmp (domanda, esposto o
reclamo collettivo previo accordo).
Tanto per fare un esempio, si giungerebbe all’assurdo
che un ricorso collettivo al TAR, contro un provvedimento
dell’Amministrazione militare costituirebbe reato.
La delega prevede la “militarizzazione” di ogni
violazione della legge penale costituente delitto contro la pubblica
amministrazione, se commessa da militare. Si
tratta dei delitti previsti dal Capo I del titolo II del Codice penale
(art. da 314 a 335).
Dal momento che il Cpmp già prevede il reato di
peculato e di malversazione
militare, la principale novità consisterebbe nella
“militarizzazione” dei reati di
corruzione e concussione, se commessi da militare. Il
reato di corruzione è un
reato nel quale c’è un concorso necessario di persone
(per esserci un corrotto
è necessario un corruttore). Il corruttore,
normalmente è soggetto estraneo
all’amministrazione nella quale si verifica la
corruzione. Quindi militarizzando la
corruzione, si dovrà scindere in due il fatto
criminoso e fare un procedimento
contro il militare-pubblico ufficiale (corrotto)
innanzi alla giurisdizione militare ed
un procedimento innanzi all’AGO per il privato
(corruttore).
La delega prevede di introdurre come reato la
fattispecie della dispersione colposa, che, se giustificata per la
custodia delle armi e delle munizioni, è assurda per tutti gli altri
materiali. Tanto per fare un esempio, commetterebbe un reato siffatto un
Finanziere che, utilizzando la penna stilografica, macchiasse
d’inchiostro la divisa.
Riforma del Codice penale militare di guerra – Aspetti
principali.
Questioni di carattere generale.
La delega si propone, come si è visto, di
abbassare la soglia della distinzione fra stato di
pace e stato di guerra, rendendo possibile, una sorta di introduzione
graduale delle leggi di guerra, che aggira la procedura garantista
prevista dagli artt. 78 e 87 della Costituzione.
Insomma il disegno di legge introduce un
menù à la carte dal quale è possibile per il
Governo scegliere cosa prendere e
cosa lasciare dell’armamentario delle leggi di guerra,
ma soprattutto dove e
quando farle entrare in vigore.
Nell’applicazione graduale delle leggi di guerra, sono
previsti due stadi. Il primo
stadio è quello che prevede l’introduzione, più o meno
automatica delle leggi
di guerra, in aree limitate o nell’intero territorio
nazionale, a cui corrisponde
l’instaurarsi di un non meglio determinato “tempo di
guerra”. Il secondo stadio
è quello che consegue alla “dichiarazione dello stato
di guerra”. Quest’ultimo
concetto probabilmente presuppone che siano attivate
le procedure di cui
agli art. 78 (Le Camere deliberano lo stato di guerra
e conferiscono al Governo
i poteri necessari) e 87 (Il Presidente della
Repubblica dichiara lo stato di guerra
deliberato dalle Camere) della Costituzione, anche se
nel disegno di legge non
vi è un richiamo esplicito a tali procedure.
Tuttavia è evidente che l’ipotesi della “dichiarazione
dello Stato di guerra”, che
comporta soprattutto una modifica della procedura
penale, determinando la
riesumazione del Tribunale Supremo militare, ed
escludendo la possibilità del
ricorso per Cassazione, è un’ipotesi assolutamente
marginale.
L’ipotesi principale che ispira l’intero disegno di
legge è quella di rendere, in un
certo senso ordinario il ricorso alle leggi di guerra,
svincolandolo dalla
“dichiarazione dello stato di guerra”, prevista dalla
Costituzione in circostanze
del tutto remote.
3.2. Casi di applicazione del codice penale militare
di guerra.
La delega prevede di confermare l’applicazione
automatica della legge
penale militare di guerra ai corpi di spedizione
all’estero, già introdotta dal
nuovo testo dell’articolo 9 del cpmg (articolo
sostituito dalla L. 31 gennaio 2002
n. 6). Tale norma che, com’è noto fu introdotta in
occasione dell’intervento in
Afganistan, aveva carattere transitorio, in attesa di
una disciplina organica.
Adesso diviene definitiva.
In linea di principio non si può contestare che alle
operazioni militari all’estero,
di qualunque tipo esse siano (quindi anche ad
operazioni realmente di pace,
come quelle di peacekeeping deliberate dall’ONU), sia
applicabile la legge
penale militare, poiché il dispiegamento di una forza
militare armata comporta
sempre il rischio dell’impiego della forza. Il
problema è che la legge delega
contempla qualunque tipo di missione (infatti nella
relazione si parla di
operazioni internazionali di pacificazione o di uso
della forza). In questo si
rischia di legittimare – indirettamente - il ricorso
all’uso della forza, cioè della
violenza militare, aggirando il ripudio costituzionale
della guerra (non a caso
l’art. 11 della Costituzione non viene mai nominato,
né nel testo della delega,
né nel testo della relazione introduttiva) e le
procedure previste dagli art. 78 e
87 della Costituzione.
La delega prevede che la legge penale militare di
guerra debba essere
applicata in ogni caso di conflitto armato, interno od
internazionale e che al
riguardo debbono essere delimitati gli ambiti
territoriali ed anche personali di
applicazione, in caso di attacchi non generalizzati.
Il richiamo ad attacchi non generalizzati ed ad ambiti
personali di
applicazione, può far sorgere il sospetto che si
vogliano qualificare come atti di
guerra eventuali atti di terrorismo e si vogliano
sottrarre le garanzie ordinarie del
processo per categorie di persone, assoggettandole ai
Tribunali militari anche
in tempo di pace.
Effetti dell’applicazione del codice penale militare
di guerra.
Gli effetti principali dell’entrata in vigore della
legge penale militare di guerra
sono due:
Il primo è l’entrata in vigore del reato
militarizzato, nella sua massima
estensione, già prevista dall’art. 47 del Cpmg, nella
versione introdotta dalla
legge 31 gennaio 2002 n. 6, che viene sostanzialmente
confermata nella
Delega. Ciò farà si che tutti i reati commessi dai
militari, ivi compresi i
Carabinieri e la Guardia di Finanza in servizio di
ordine pubblico, siano di
competenza della giurisdizione militare.
Il secondo è l’estensione ai non militari della
giurisdizione dei Tribunali militari,
Ciò avviene attraverso una interpretazione di comodo
dell’art. 103 della
Costituzione (che prevede che “i tribunali militari in
tempo di guerra hanno la
giurisdizione stabilita dalla legge”), che dà
all’espressione “tempo di guerra” un
significato svincolato dalla dichiarazione dello stato
di guerra.
A questo riguardo occorre rilevare che l’introduzione
della legge di guerra
comporta un drastico abbassamento delle garanzie
processuali (alla luce delle
deviazioni dalla procedura penale ordinaria previste
dalla legge delega) e
della libertà di opinione e di espressione del
pensiero.
Roma, 3 gennaio 2004
Domenico Gallo
COORDINAMENTO NAZIONALE
GIURISTI DEMOCRATICI
www.giuristidemocratici.it
OSSERVAZIONI IN TEMA DI
RIFORMA DELL 'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO MILITARE
di Paolo Scarfi
…… Sarebbe di contro estremamente auspicabile un
intervento radicale sull'ordinamento giudiziario militare, con
soppressione del ruolo dei magistrati militari, attribuzione delle
residue competenze in materia di reati commessi in patria ed in tempo di
pace dagli appartenenti alle forze armate alla magistratura ordinaria,
lasciando eventualmente un unico tribunale militare di primo e secondo
grado, composto di giudici ordinari specializzati chiamati a giudicare i
reati commessi in occasione delle missioni all'estero (per i quali soli
sembrerebbe giustificarsi - in armonia con i principi di diritto
internazionale - una specifica nozione di reato militare), ed al più
prevedendo sezioni di alcuni tribunali ordinari per gli altri reati
commessi da appartenenti alle forze armate per i quali ciò venisse
ritenuto opportuno.
….. Irrazionalità, dopo l’abolizione del servizio di
leva del mantenimento
anche in tempo di pace ed al di fuori del caso di
operazioni all’estero, di un
separato sistema giurisdizionale chiamato a giudicare
su fattispecie identiche ad
altre che in ogni caso resterebbero di competenza
dell’a.g.o.
Il passaggio ad un esercito su base volontaria
comporterà (fenomeno in
gran parte già riscontrato) la scomparsa pressoché
totale dei reati di mancanza
alla chiamata e di diserzione, fattispecie che, benché
con disvalore sociale
sempre minore, comunque rappresentavano la maggior
parte della attività dei
tribunali militari.
Alla giustizia militare resteranno da giudicare i
reati c.d. di carattere (o comunque diversi da quelli di assenza), che
fino a qualche anno fa rappresentavano parte minoritaria dei processi.
La giustizia militare è restata così (solamente) a
giudicare ad esempio su condotte poste in essere da appartenenti
all'Arma dei Carabinieri o alla Guardia di Finanza con modalità ed in
situazioni del tutto identiche a quelle che, ove si trattasse di
appartenenti alla Polizia di Stato (i quali godono di identico
trattamento economico, ed hanno analoghi obblighi di servizio e
progressioni di carriera) sarebbero riconducibili a fattispecie comuni
di competenza del giudice ordinario (o addirittura prive di rilevanza
penale). Scarsa
funzionalità dei collegi giudicanti presso i tribunali militari.
Ci si permette da ultimo di sottolineare come possa
contrastare con la
attuale sensibilità in materia di affidabilità ed
indipendenza del giudice, specie
ove si volesse attribuire ai tribunali militari
competenze più rilevanti, la composizione dei collegi così come prevista
dalle norme vigenti. In particolare, presso i singoli tribunali
militari, i dibattimenti vengono celebrati dinanzi ad un collegio
formato dal presidente del tribunale, da un magistrato giudice a latere,
generalmente più giovane di età e di ruolo, e da un ufficiale giudice
estratto a sorte tra quelli in servizio nella circoscrizione del singolo
ufficio giudiziario.
Quanto meno all'apparenza, potrebbe da più parti
dubitarsi della effettiva collegialità delle (più delicate)
deliberazioni adottate, in quanto è presumibile che, in caso di
contrasto tra i due componenti togati, il voto decisivo del giudice non
togato, chiamato a pronunciarsi a favore o contro la opinione del
presidente (presidente del collegio, ma anche capo dell'ufficio
giudiziario!), possa maturare non da convinzioni giuridiche (del quale
egli è invero nella maggior parte dei casi del tutto privo), ma dalla
propria mentalità militare [abituata a riconoscere forte peso alla
gerarchia ed all'autorità del contraddittore].
Considerazioni del genere potrebbero far ritenere che
in realtà il
provvedimento giudiziario corrisponda quasi sempre
all'opinione del presidente, o
quanto meno risenta in maniera decisiva di questa, e
sono ancor più decisive,
stante anche le scarse dimensioni della struttura
giudiziaria militare, nel caso dei
tribunali c.d. della libertà: tutti i provvedimenti
cautelari de libertate che vengano
adottati in Italia sono, ex art. 5 ,co. l del D.L.
553/96, oggetto di riesame dinanzi a
tre soli collegi, i quali, se si dovesse riconoscere
rilievo alle osservazioni
precedenti, risentirebbero del voto decisivo dei
tre presidenti: tre persone
chiamate quindi a indirizzare tutta la giustizia
militare italiana in un punto così delicato!
1. quanto meno originale
risulta il riferimento al fine (esclusivo) di assicurare “la piena
funzionalità” delle Forze Armate assegnato all’intervento legislativo
[art. 1 del ddl];
2. eccessivamente generici appaiono i criteri fissati
per l’esercizio della delega
in una materia di riserva di legge come quella del
diritto penale (ancorché
militare) [v. ad es.: art. 2 del ddl, ove non si
precisa come debbano essere
“riesaminati” “riveduti” “riordinati” i vari aspetti
della normativa];
per quanto riguarda specificamente le modifiche al
codice penale militare
di pace;
3. antistorica e contrastante
con il principio di sussidiarietà richiamato nello stesso disegno di
legge appare la conferma di fattispecie di danneggiamento colposo, con
introduzione addirittura della punibilità del danneggiamento colposo di
oggetti di equipaggiamento militare (anche cinte e camicie?) non
perseguito dal legislatore del 1941 (e per scelta razionale, non per
mera dimenticanza, come invece riportato nella relazione al ddl!)
4. non risponde ai principi
costituzionali sanzionare penalmente anche la sola partecipazione a
sottoscrizioni di protesta in materia di servizio [art. 3, co. 1, lett l
del ddl];
5. è ingiustificato
attribuire al giudice militare i reati in materia di sicurezza e
prevenzione infortuni nei luoghi di lavoro (anche per il caso che siano
presenti dipendenti civili?), fin qui perseguiti da magistrati ordinari
esperti nel particolare campo [art. 3, co. 1, lett o del ddl];
6. è irrazionale il
mantenimento della richiesta di procedimento quale condizione di
procedibilità (anche se in alternativa alla querela) anche per fatti di
ingiuria tra militari di pari grado, la cui lesività non può che essere
riservata alle (esclusive) valutazioni della parte offesa così
come ingiustificato il mantenimento - dopo l’abolizione del reato di
oltraggio a pubblico ufficiale – della procedibilità d’ufficio ed
incondizionata dei fatti di ingiuria tra militari di grado diverso;
7. l’arresto in flagranza per
i reati di assenza dal servizio, in tempo di pace e senza collegamento
con missioni all’estero, non più vigente da quasi quindici anni è ancor
meno giustificato nella nuova compagine di reclutamento esclusivamente
su base volontaria [art. 3, co. 1, lett u del ddl];
8. prevedendo per i reati militari di minore gravità
la citazione diretta davanti al
giudice collegiale (e non ad un monocratico) si
giungerebbe all’assurdità di far
celebrare per quelli il giudizio abbreviato (ed il
patteggiamento), restando di
contro le analoghe competenze per i reati militari più
gravi riservate al giudice
(singolo) per l’udienza preliminare (chi giudicherebbe
poi i concorrenti nel
reato che vogliono il giudizio ordinario, quando
l’organico di sette uffci
giudiziari militari su nove non prevede un sufficiente
numero di magistrati?) [art.
3, co. 1, lett u del ddl];
E’ auspicabile di contro una riforma in materia di
diritto penale militare
maggiormente aderente ai principi costituzionali ed ai
tempi, e che altresì incida
profondamente nell’ordinamento giudiziario militare,
sopprimendo il ruolo
separato dei magistrati militari ed attribuendo le
relative competenze
eventualmente a sezioni specializzate della
magistratura ordinaria, così
ponendo davvero fine alle irrazionalità ed alle
diseconomie che l'attuale
struttura comporta.
A tale proposito va sottolineato come soluzioni molto
più accettabili siano
contenute nelle proposte di legge tuttora pendenti in
materia in entrambi i rami
del parlamento (v. ad es. ddl 2807 del Senato 534
della Camera dei Deputati),
che non contrastano con l'attuale formulazione
dell'art. 103 della Costituzione in
quanto (anche a respingere l'opinione per la quale
essa costituirebbe un limite
massimo per la competenza degli organi giudiziari
militari in tempo di pace, ma
non ne garantirebbe la sopravvivenza) tale
disposizione comunque prevede
l'esistenza dei tribunali militari, ma non un separato
ruolo di magistrati, e sono
quindi compatibili anche con l'attribuzione della
relativa giurisdizione a sezioni
specializzate composti da giudici ordinari.
Dr. Paolo Scarfi
Procuratore Militare della Repubblica