Fa ancora discutere il “Libro Bianco” presentato
dall’Unac: militari in zone di guerra senza adeguate protezioni;
aumentano i casi di linfoma di Hodgkin; poligoni di tiro in cui
vengono usati proiettili all’uranio impoverito; feti malformati.
Ma il Ministero della Difesa nega tutto; anche l’evidenza. Sulla
vicenda è al lavoro una Commissione del Senato presieduta dal
leghista Paolo Franco. Con Luigi Malabarba,
segretario della Commissione, abbiamo affrontato la spinosa
questione.
Senatore Malabarba, a che
punto sono i lavori della commissione?
Sin dall’inizio ci sono stati ritardi dovuti agli
ostacoli frapposti da Forza Italia, partito del ministro della
Difesa; adesso abbiamo avviato quattro audizione abbastanza
significative. La prima è stata quella del Ministro Martino,
l’ultima quella dell’associazione ANAVAF (Associazione nazionale
assistenza vittime arruolate nelle Forze Armate e famiglie dei
caduti), dell’ammiraglio Falco Accade, che ha portato un dossier
di 400 pagine con moltissimi allegati che si riferiscono ad una
attività lunghissima di documentazione basata su fatti molto
concreti. La documentazione relativa alla condizione dei singoli
militari ammalati non ha pretese scientifiche; risalendo, però, da
queste vicende concrete ad elementi di carattere generale si
dimostra che le tesi, ancora oggi sostenuta dal Ministero della
Difesa, non sono attendibili.
Lei ha spesso attaccato
l’operato del governo e il dossier presentato dal Ministro nella
parte in cui si dichiara che non c’è certezza tra tumori e
utilizzo di proiettili all’uranio impoverito. Su cosa fonda la sua
accusa?
Innanzitutto il Ministro va ben oltre quanto la
stessa commissione Mandelli aveva appurato. Nelle tre relazioni
della commissione, istituita dal precedente governo di centro
sinistra, si lascia spazio al dubbio: non si dimostra una cosa ma
neanche il suo contrario. Il Ministro Martino, invece, senza
apportare nessun altro elemento significativo è arrivato,
sostanzialmente, alla conclusione che l’uranio impoverito non è
responsabile delle patologie riscontrate nei militari. Una
affermazione che va oltre una acquisizione parzialissima della
Commissione Mandelli e, che ,soprattutto, non rimette in
discussione l’elemento di maggior debolezza di quella commissione.
A quale elemento si
riferisce?
I limiti riguardavano proprio le rilevazioni
statistiche compiute nel teatro balcanico; queste tenevano conto
di tutta la zona senza evidenziare quelle bombardate con uranio
impoverito. Si è ‘spalmata’ l’indagine su un territorio molto
vasto e su un numero di persone numerose. Anche i militari in
missione non si sono trovati in condizioni identiche tra loro: un
conto è rimanere un giorno nei Balcani, un altro è che la
permanenza duri per diversi mesi; diversa è la situazione tra chi
è stato nelle zone bombardate e chi è stato in zone non colpite.
Non analizzare queste differenze significa vanificare il lavoro
svolto. Il Ministro Martino di fronte a tutte le osservazione
rivolte nel corso di questi anni non ha voluto prendere in
considerazione questo dato. Una delle ragioni per cui è stata
istituita la commissione di inchiesta è proprio questa: bisogna
enucleare le situazioni per capire quali sono le connessioni con
le varie patologie.
Che ci può dire dell’aiuto
offerto ai militari malati?
E’ questo un elemento particolarmente sgradevole e
le testimonianze dei militari sono assolutamente forti. Si dice
che, da parte delle varie armi e dal Ministero della Difesa, viene
fornita un’assistenza sanitaria, morale e un riconoscimento
economico a tutti i militari che sono colpiti. L’intervento dello
Stato, invece, avviene esclusivamente quando ci sono cause vinte
dai militari contro il Ministero della Difesa. C’è una continua
violazione della legge che prevede un contributo economico( 50
milioni, cifra stabilita negli anni ’70 e che quindi andrebbe
rivalutata) per coloro che durante il servizio hanno avuto delle
particolari patologie, indipendentemente dal fatto che siano state
procurate dall’uranio impoverito. Eppure i caduti a Nassiriya ,
morti per un’autobomba e non per contaminazione chimica o
biologica, hanno avuto un riconoscimento di 400 milioni per
ciascuna famiglia. Perché una simile discriminazione?.
Si parla spesso del rischio
dei militari in missione ma l’uranio impoverito è utilizzato anche
nei poligoni di tiro. C’è una possibilità che a casa nostra si
possa evitare l’utilizzo di questo materiale?
Le protezioni che, dopo un periodo di esposizione
totale, sono state garantite ai nostri militari in missione non
vengono consegnate a chi è di stanza nei poligoni. Ciò accade
perché si nega che, nei poligoni italiani, ci siano proiettili
all’uranio impoverito. Il Ministro Martino e il Direttore
sanitario militare hanno ribadito che non vengono utilizzati, né
sono stoccati, proiettili all’uranio impoverito. La falsità di
questa affermazione la dimostreremo nel momento opportuno portando
delle prove inconfutabili; la conseguenza è che, sia il personale
militare sia la popolazione civile che vive nelle vicinanze di
questi insediamenti militari, sono completamente esposti. Alcune
zone sarde (ma il discorso vale anche per altri poligoni militari)
sono ritenute, come risulta da documentazioni militari, non più
bonificabili; e, badi bene, non si tratta del deserto del Nevada,
dove si effettuano gli esperimenti nucleari, ma di zone abitate
dove nascono bambini deformati.
E i risultati commissionati
all’Università di Pisa?
Anche in questo caso i risultati dell’indagine
condotta dall’Università di Pisa, e presentati dal sottosegretario
alla Difesa Cicu, lasciano il tempo che trovano perché non si può
monitorare un territorio di 135 Km quadrati con delle attrezzature
che misuravano appena 10 centimetri. La rilevazione andava fatta
in settori circostanziati e con strumenti adeguati, individuando
le zone dei bersagli. Le malformazioni riscontrate in quella zona
(Perdas de Fogu e Salto di Quirra nel comune di Villaputzu) non
possono essere riconducibili ad una miniera in disuso e al tasso
di arsenico presente. E’ un’offesa all’intelligenza umana.