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SIAMO PRONTI AD UNA GUERRA?

(Gli Italiani si interrogano sulla loro difesa nazionale)

 

 

In queste ore si è scatenata la bagarre sulla questione se sia opportuno o meno, coinvolgere il parlamento nel dibattito relativo all’impiego delle nostre forze armate a fianco degli USA, nella guerra al terrorismo islamico. 

E’ importante considerare che, questa volta, l’impiego di un contingente nazionale differirebbe in modo sostanziale da quanto già visto fino ad oggi, a partire dai bombardamenti su Bagdad e Belgrado, passando dagli interventi “umanitari” in Somalia e Mozambico, per arrivare al peace-keeping in Kosovo e in Bosnia.

In questi casi sono state impiegate unità dell’aeronautica e dell’esercito che, in condizioni di superiorità aero-terrestre, hanno agito in maniera palese contro installazioni e obbiettivi  militari difesi blandamente dalla contraerea irakena o dalle truppe serbe. In queste azioni le unità italiane hanno fatto la loro parte, pur se male equipaggiate, e soprattutto con un livello di tecnologie estremamente obsoleto se confrontato con quello degli alleati. Si è trattato comunque di azioni dove la superiorità degli attaccanti la si poteva misurare prima dello scontro, e dove si poteva scommettere su una facile vittoria dei più forti. E così è stato.

Ma una guerra contro il terrorismo islamico, con la mancanza di obbiettivi strategici palesi da colpire con missili e aerei, con la immensa dispersione di questo  fenomeno su un territorio che va dall’Eurasia al Medio Oriente, pone di fronte al problema di come e quali forze schierare in campo per ottenere un successo che, si è affermato, non potrà essere colto in meno di un decennio di lotta senza quartiere.

Il portavoce del presidente Bush ha infatti parlato di una vastissima azione di intelligence, supportata da azioni di commando “chirurgiche” sugli obbiettivi, una volta che questi siano stati individuati. Ma le azioni di commando, in tutto il mondo,  vengono affidate a poche elites di combattenti che compongono Special Forces dai nomi ormai mitici, come i SEALS americani o i SAS inglesi. 

Si tratta di uomini particolarmente addestrati ad agire in tutte le condizioni ambientali ed operative. Il profilo professionale medio è quasi sempre il seguente: paracadutista - incursore con capacità di rocciatore e di sub , specializzato nel tiro di precisione, esperto nell’uso di esplosivi, in grado di spostarsi via aria e via acqua, di marciare completamente  equipaggiato per decine di chilometri e di sopravvivere ed operare, in totale autonomia a ridosso degli obbiettivi, per almeno due settimane, in attesa di essere recuperato.

Questo personale opera all’interno di un “pacchetto” che varia di consistenza e composizione a seconda della tipologia di azione da condurre.

Ebbene, anche l’Italia ha i suoi reparti specialzzati nel settore, peccato però, che siano organizzati “all’italiana”. Vediamo come. Tanto per cambiare, sono caratterizzati da un’eccessiva frammentazione, come del resto le nostre forze di polizia. Ma non basta. Se Polizia, Carabinieri e guardia di Finanza sono obbligate ad una parvenza di coordinamento, con i miserevoli risultati che abbiamo visto a Genova,  il coordinamento tra esercito marina e aeronautica per il supporto alle “operazioni speciali” semplicemente non esiste.

Da molti anni l’aeronautica provvede alla ricerca e al soccorso degli equipaggi incidentati o abbattuti (SAR). Negli ultimi anni, cercando di emulare gli alleati, sta cercando di specializzarsi per fornire lo stesso servizio anche durante le operazioni di guerra (COMBAT SAR). Per questo usa gli elicotteri HH-3F, entrati in linea di volo alla metà degli anni ’70, armati con tre mitragliatrici di  piccolo calibro manovrate dagli stessi aerosoccorritori che provvedono al salvataggio degli equipaggi abbattuti. L’HH-3F, oltre ad essere un glorioso ma vetusto velivolo, è caratterizzato da una scarsa autonomia, non compensata dalla capacità di rifornimento in volo, e da una quota operativa, a pieno carico, che a mala pena gli fa raggiungere i 1500 mt. Invece l’Afghanistan ed il Pakistan sono circondati da catene montuose che vanno dai 3000 ai 4000 mt.

 È inoltre molto vulnerabile e privo di corazzature. Perciò necessità di una copertura aerea totale, a bassa e ad alta quota. In altre parole deve essere scortato da almeno 2 intercettori tipo F-15, in orbita a 15000 piedi per la protezione antimissile e antiradar, e da 4 caccia da attacco al suolo, tipo SEA-HARRIER, per la protezione vicina! 

Inutile dire che un simile “pacchetto operativo” è ben al di fuori della portata delle  nostre forze nazionali. E in questo tipo di imprese, essendo necessario il massimo affiatamento tra le varie componenti del pacchetto, è impensabile costituire gruppi misti internazionali (JOINT-COMBINED). Inoltre non si  tratterebbe di una singola azione, ma di una serie di colpi di mano che potrebbero durare per i prossimi dieci anni. Nessuna unità di special forces  sarebbe in grado di reggere a un tale logorio, e alle perdite che si possono immaginare, per più di qualche settimana. L’Italia dovrebbe disporre di almeno quattro brigate in grado di fornire unità speciali in turnazione e per le quali non basterebbero tutti i velivoli, aerei ed elicotteri, delle tre forze armate.

Non scordiamoci poi che, ad oggi, è stata decretata la fine della leva obbligatoria e la conseguente riduzione massiccia degli organici fino al raggiungimento, a regime, di un totale di soli 190.000 uomini nelle tre forze armate. Meno di un terzo dei dipendenti del Ministero della Salute!

Si sta andando incontro a questa riduzione con provvedimenti che lasciano stupiti chi li osserva e con l’amaro in bocca chi li subisce. Lo scorso anno è stato sciolto il gruppo di volo della Cavalleria dell’Aria (E.I.) di stanza ad Alghero, che da anni supportava le operazioni del SISMI. Il 9°RGT incursori Col. MOSCHIN di Livorno, vedrà sopprimere in questi giorni  il 26°GIOVE, il  gruppo di volo elicotteri della Brigata FOLGORE. Anche il 1° RGT. TUSCANIA di Livorno, dei carabinieri paracadutisti, da poco confluito nella cosiddetta Brigata Antiterrorismo, potrà ormai appoggiarsi solo al Nucleo Volo Carabinieri di Pisa, salito all’onore delle cronache per l’incidente  all’isola di Capraia.

Intanto, con la crisi in medio Oriente che avanza da mesi, il tenente generale Ardito, comandante delle Forze Operative terrestri, incrocia la penisola in lungo e in largo, chiudendo uno o due reparti al mese. Questa sarà la sorte del 21° Orsa Maggiore di Cagliari, del 4° Altair di Bolzano e del Sirio di Salerno. Tutti reparti che da mesi si stanno alternando, coi loro elicotteri, tra Bosnia, Albania e Kosovo! Ma il Comando Cavalleria dell’Aria non si turba. Forse dal 2005 saranno disponibili i nuovi elicotteri NH-90, che si dice siano ideali per le operazioni di infiltrazione ognitempo, con i quali riequipaggiare il 26°GIOVE, questa volta su Viterbo. Peccato che intanto, i piloti e gli specialisti del 26° vengano comunque trasferiti, con armi e bagagli, ma senza i loro elicotteri AB 205, nella suddetta cittadina laziale. E da qui al 2005? Nessun problema, li manderanno tutti i giorni in palestra e a fare tante belle passeggiate con lo zaino sui Monti Cimini. Ma non erano equipaggi di volo per la cui formazione sono stati spesi miliardi? E chi se ne frega!!

Già, in tempi  di emergenza internazionale, i vertici delle nostre forze armate di che si preoccupano? Ma di mantenere le loro poltrone naturalmente! E i politici li approvano incondizionatamente!  Chi avesse voglia di andare a leggersi il testo della L. 78/2000 e dei decreti legislativi che ne conseguono, farebbe una scoperta grottesca. La predetta riduzione degli organici alle previste 190.000 unità, non andrebbe ad intaccare le attuali quote di ufficiali nei vari gradi! In altre parole, mentre è giustamente prevista la scomparsa dei militari di leva, sostituiti da un però esiguo numero di volontari professionisti, ed un’altrettanto giusta riduzione dei sottufficiali ad un terzo degli attuali, per gli ufficiali si prevede addirittura un leggero incremento! Come a dire che ci sarà un ufficiale per ogni maresciallo! E’ chiara la preoccupazione degli alte gerarchie italiane, di dare priorità all’occupazione di tutte le poltrone dei nuovi comandi, internazionali e nazionali, (NATO, CFE, EUROFOR,  ONU, UNMIK, UNIFIL ecc.) piuttosto che riqualificare le forze operative da impiegare su terreni sempre più difficili.

Queste sono le vere preoccupazioni dei nostri vertici. Il posto garantito per sé e per la propria progenie! Altro che sicurezza nazionale e funzionalità dei pochi reparti veramente operativi!

Il ministro della Difesa farebbe bene, come un novello Messia, a spalancare le porte del suo Ministero e a scatenare una corrente tale da  spazzar via le ignavi polveri che da decenni, generali da corridoio e faccendieri senza scrupoli, lasciano accumulare nelle stanze che dovrebbero invece ospitare l’efficienza e la dedizione  al bene del Paese. 

Il “nuovo modello di difesa nazionale”, una definizione talmente elastica, che quasi quotidianamente passa dal cerchio al quadrato, non può e non deve prescindere dal fatto che gli attuali teatri di conflitto non possono essere gestiti con forze convenzionali.

Ai  reggimenti di fanteria, che tanto bene operano nei Balcani in compiti di protezione e assistenza alle popolazioni colpite dalla guerra, è necessario affiancare altre unità, di pari se non superiore consistenza, in grado di opporsi in patria e all’estero ad ogni tipo di guerriglia terroristica. È il momento di organizzare delle Forze Speciali, dove collaborino insieme Esercito, Marina e Aeronautica. Ed è necessario fare presto e bene, mettendo da parte interessi economici e di carriera.

 ilfustigatore

 

 


 

 

 

 

 

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