Fonte:
http://www.architettura.it/alt/argosett16.htm
In
un nostro precedente articolo, riferendoci ad una recente sentenza della
Suprema Corte di Cassazione, ci siamo occupati di "stress da
lavoro" o da "pendolarismo". Questa volta vogliamo
occuparci, invece, di un'altra forma di stress sulla quale si è aperto un
serio dibattito fra psicologi del lavoro. In sostanza si tratta di uno
stress di cui sono vittime inconsapevoli soprattutto lavoratori dipendenti
(in Italia riguarderebbe circa un milione e mezzo di lavoratori) che
subiscono una particolare persecuzione psicologica in ufficio o in
fabbrica da parte di coloro che esercitano un potere (piccolo o grande che
sia) di comando. Tale stress psico-sociale è definito "Mobbing",
ossia "terrorismo psicologico sul posto di lavoro". Secondo il
tedesco Prof. Harald Ege, psicologo del lavoro e uno dei massimi esperti
di persecuzioni in ambienti di lavoro, "mobbing" (che nella
traduzione letterale può significare assalire, accerchiare, avvilire,
rattristare) è un termine inglese che usavano i biologi dell'800 per
descrivere il comportamento degli uccelli che per difendere il nido volano
attorno all'aggressore. Negli anni ottanta questo termine è stato ripreso
nei paesi scandinavi e applicato alle persecuzioni in azienda. Non è
casuale che in alcune aziende si ricorra al "mobber" (cioè ad
un capo "aggressore") che svolga sistematicamente un'azione
psicologica su un proprio subordinato, tipo quella di criticare
esageratamente il minimo errore, seminare zizzania, minacciare
ingiustificatamente, non gratificare i successi, con lo scopo di
"demoralizzarlo" per indurlo a licenziarsi. Vi sono casi in cui
il "mobber" esercita queste azioni di "mobbing" perchè
il capo vede nel proprio subordinato un possibile ostacolo, in quanto
considerato "concorrenziale" nel percorso carrieristico. In tal
caso il "mobbizzato", cioè la vittima di una persecuzione
psicologica, è portato inevitabilmente a mettersi da parte, perchè
"avvilito" e "rattristato" per quanto gli sta
accadendo, rinunciando ad una collaborazione positiva con l'azienda e
quindi lasciando via libera al proprio capo, cioè al "mobber".
Lo "stress da capo", cioè il "mobbing" stà assumendo
proporzioni assai preoccupanti, tanto da indurre un gruppo di parlamentari
a presentareun progetto di legge affinchè venga riconosciuto come
malattia professionale. Il sindacato è da tempo mobilitato per arginare
questo grave fenomeno, avvalendosi anche della collaborazione
dell'Associazione italiana contro lo stress psicosociale. Il problema che,
secondo un'indagine compiuta nei paesi dell'Unione europea, stà
interessando oltre 12 milioni di lavoratori vittime di questa forma di
stress e che coinvolge anche le aziende, in quanto vengono a subire una
minore resa produttiva, è stato affrontato, ad esempio, in modo molto
serio e determinato dall'Ente nazionale per la Salute e la Sicurezza
svedese che ha emanato delle disposizioni "antimobbing", entrate
in vigore sin dal 31 marzo 1994 e che "vanno applicate in tutte
quelle realtà nelle quali i lavoratori possono essere oggetto di
persecuzione durante il lavoro". (Il
testo integrale di questo interessante documento - tradotto da Roberta
Clerici - è stato pubblicato nel supplemento settimanale Lavoro.it del
quotidiano L'Unità del 31
agosto 1999). Nella Premessa ad
una Guida alle sei Sezioni che
costituiscono le raccomandazioni in ordine all'applicazione delle
disposizioni relative alle misure da adottare contro ogni forma di
persecuzione sul lavoro - disposizioni delle quali riteniamo riportarne
alcuni passaggi fondamentali - viene sottolineato che a monte di queste
forme di persecuzione "possono esserci carenze relative
all'organizzazione del lavoro, del sistema informativo interno, una
gestione inadeguata del modo di lavorare, un carico di lavoro eccessivo o,
al contrario, insufficiente, il tipo di prestazione lavorativa richiesta,
carenze nella politica del personale scelta dal datore di lavoro o,
ancora, il tipo di atteggiamento tenuto dal datore di lavoro nei confronti
dei propri dipendenti e le sue eventuali reazioni. "Problemi
organizzativi persistenti e insoluti possono causare forti tensioni
mentali negative nei gruppi di lavoratori, con una diminuita capacità di
tolleranza dello stress. Questo potrebbe indurre la cosiddetta mentalità
del capro espiatorio e attivare comportamenti di rifiuto nei confronti
dei singoli lavoratori. "Le cause dei problemi vanno ricercate nelle
condizioni di lavoro reali, soprattutto nel caso in cui più persone,
singolarmente, sono state oggetto per un lungo periodo di vari tipi di
persecuzione psicologica.....". La Guida elaborata dall'Ente
nazionale svedese, come si è detto affronta le tematiche delle sei
Sezioni che sono così suddivise:
Sezione 1: definizioni. Le forme di persecuzione esercitata sul
lavoratore, possono essere determinate da vari comportamenti "quali
la pressione psicologica, la crudeltà mentale, l’isolamento sociale e
le molestie, tra cui quelle sessuali", problemi che riguardano, con
sempre maggiore frequenza, la vita lavorativa e complessivamente rientrano
nel termine di violenza o persecuzione. "Si tratta di problemi molto
seri con effetti gravi e dannosi sia sui singoli lavoratori sia sul gruppo
di lavoro se non vengono valutati e gestiti in tempo. Questi effetti
possono tradursi in stati patologici, mentali e fisici, che a volte
possono diventare cronici, e sfociare addirittura in un rifiuto della vita
lavorativa e della collettività che opera nell'ambiente di lavoro".
Tra le forme più ricorrenti di peresecuzione psicologica, vengono
indicate come esempio: calunniare o diffamare un lavoratore, oppure la sua
famiglia; negare deliberatamente informazioni relative al lavoro oppure
fornire informazioni non corrette a riguardo; sabotare o impedire in
maniera deliberata l'esecuzione del lavoro; escludere in modo offensivo il
lavoratore, oppure boicottarlo o disprezzarlo; esercitare minacce,
intimorire o avvilire la persona, come nel caso di molestie sessuali;
insultare, fare critiche esagerate o assumere atteggiamenti o reazioni
ostili in modo deliberato; controllare l'operato del lavoratore senza che
lo sappia e con l'intento di danneggiarlo; applicare sanzioni penali
amministrative ad un singolo lavoratore senza motivo apparente, senza dare
spiegazioni, senza tentare di risolvere insieme a lui/lei i
problemi". Sezione 2:
misure di ordine generale per prevenire qualsiasi forma di persecuzione
psicologica. Vengono riportati alcuni esempi di misure di ordine generale
che il datore di lavoro può adottare per prevenire le forme di
persecuzione nei luoghi di lavoro, come: "elaborare una politica ad
hoc per l'ambiente di lavoro che, tra l'altro, illustri le intenzioni, gli
obiettivi e l'atteggiamento di ordine generale nei confronti dei propri
dipendenti; elaborare delle procedure che garantiscano condizioni
psicologiche e sociali nei luoghi di lavoro le migliori possibili, anche
per quanto concerne la situazione lavorativa e l'organizzazione del
lavoro; adottare misure per impedire che si manifestino reazioni negative
sul lavoro, ad esempio elaborando delle regole che incoraggino un clima di
rispetto e di amicizia nel luogo di lavoro. Sono soprattutto il datore di
lavoro e i suoi rappresentanti che per primi devono dare il buon esempio
in tal senso. I quadri e i dirigenti devono ricevere una formazione tale
da consentire loro di gestire le materie che rientrano nelle leggi di
diritto del lavoro, gli effetti delle varie condizioni di lavoro sulle
persone, i rischi di conflitto all'interno dei gruppi di lavoratori, in
modo che siano in grado di rispondere con prontezza con un sostegno
qualificato a quei lavoratori che si trovassero in situazioni di stress e
di crisi". Nella Sezione 3
vengono sottolineati alcuni principi importanti "che devono essere
alla base della vita lavorativa di ogni individuo, e tra questi: il
rifiuto di qualsiasi atteggiamento o comportamento offensivi, a
prescindere da chi sia coinvolto o da chi ne sia il bersaglio. Riveste
un'importanza particolare il fatto che il datore di lavoro adotti misure
efficaci per evitare che qualunque lavoratore sia oggetto di forme di
persecuzione da parte di altri lavoratori". La Sezione
4 indica "Misure e procedure particolari" per prevenire
problemi di organizzazione del lavoro o di discriminazione. "Nessuno
dovrebbe fare in modo di celare eventuali forme di persecuzione, neppure
in presenza di un rischio di conflitto di lealtà. Tutti i problemi che si
presentassero in un luogo di lavoro devono essere affrontati rapidamente e
in maniera pertinente e rispettosa. Le soluzioni vanno trovate attraverso
il dialogo e misure atte al miglioramento delle condizioni di lavoro degli
interessati. Se viene avanzata qualche critica nei confronti di un
dipendente, quest'ultimo ne deve essere informato in modo che abbia
l'opportunità di replicare..... Nei casi in cui risulti ovvio che un
lavoratore ha veramente provocato il risentimento di altri, il datore di
lavoro dovrebbe far presente al lavoratore in questione che è suo dovere
contribuire a creare un ambiente di lavoro sereno e un clima
vivibile..". Proseguendo, le disposizioni contenute nella Sezione 4
fanno presente che "nella politica di prevenzione relativa
all'ambiente di lavoro il datore di lavoro deve predisporre un piano di
intervento per quanto concerne gli aspetti psicologici, sociali e
organizzativi dell'ambiente di lavoro che sono altrettanto importanti dei
fattori di ordine fisico o tecnico". Gli aspetti relativi ai rapporti
umani nell'ambiente di lavoro, sono trattati nella Sezione
5 dove, fra l'altro, si legge che gli "eventuali attriti non
siano dovuti ad un'unica persona. Di regola le cause vanno esaminate in
base al modo in cui è organizzato il lavoro e non lasciare alla
responsabilità di un solo individuo. Possono fornire un importante
contributo in tal senso ed essere d'aiuto stesso tempo, però, è
importante che ogni lavoratore sia consapevole della propria capacità di
contribuire ad instaurare un buon clima di lavoro, del fatto che questo
rientri nei suoi doveri. Le soluzioni ai problemi vanno ricercate in primo
luogo attraverso l'elaborazione di metodi di lavoro, l'assegnazione del
lavoro, la comunicazione, ecc. Per il raggiungimento di questo scopo si può
procedere ad un'analisi della maniera in cui lavoro è organizzato ad
esempio per quanto riguarda i doveri, i requisiti e l'autorità, e quindi,
su questa base, avviare una discussione e programmare di conseguenza. I
servizi di medicina del lavoro possono fornire un importante contributo in
tal senso ed essere di aiuto durante il processo di ricerca delle
soluzioni...". Viene fatta rilevare l'importanza che assume, di
fronte ad una forma evidente di persecuzione, l'intervento immediato del
datore di lavoro nell'affrontare quegli abusi che hanno originato la
persecuzione stessa. Infine, la Sezione
6 che ha per titolo "Un supporto per l'individuo e il gruppo di
lavoro", affronta il problema di come un lavoratore assentatosi dal
lavoro per malattia a causa degli effetti sulla sua salute di qualche
forma di persecuzione psicologica debba essere aiutato a ritornare al suo
posto di lavoro al più presto possibile. "La normalità della vita
di ogni giorno - vi si legge - e un sostegno psicologico e personale sono
sostegni fondamentali per neutralizzare le gravi conseguenze di esperienze
così traumatiche. Un rapido inserimento dipende in gran parte dal fatto
di mantenere dei contatti positivi con la persona, sia egli in malattia o
meno, e dall'opportunità che la persona ha di parlare privatamente sia
con i compagni di lavoro sia con il datore di lavoro in merito a quanto è
accaduto". Abbiamo ritenuto utile affrontare questo argomento perchè,
a causa della sua particolarità, molte volte viene sottovalutato dagli
stessi lavoratori, rispetto ad altre problematiche attinenti le malattie
professionali. Riteniamo, invece, che il problema esista in molti luoghi
di lavoro e che quindi debba essere affrontato nell'ambito della tutela
non solo della dignità, ma della salute complessiva dei singoli
lavoratori.
Fonte:
http://www.architettura.it/alt/argosett16.htm