LETTERA AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DIFESA

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Egregio signor Presidente,

ho avuto modo di leggere proprio sul “Giornale dei militari” la discussione tenuta il  25 ottobre scorso    in  Commissione difesa riguardante la “condizione militare”.

Con  pacato entusiasmo ho apprezzato molto ciò che vi fanno percepire e ciò che percepite riguardo lo stato delle Forze Armate italiane.

E’ sicuramente encomiabile lo sforzo del nostro Capo di Stato Maggiore della Difesa di porre degli argomenti così delicati in maniera schietta nei “palazzi del potere”.

Io che sono lontano anni luce dal “palazzo” e che ho vissuto e vivo la trasformazione dell’Esercito in prima linea, Le assicuro che il Gen. Arpino , pur nella sua schiettezza,  ha descritto la realtà in modo molto delicato.

Sicuramente Lei è al corrente che tanti ufficiali, sottufficiali (non piloti) hanno abbandonato la Forza Armata senza che nessuno gli chiedesse il motivo , per andare a svolgere attività  spesso con una retribuzione economica minore; sicuramente

 Lei è al corrente che i nostri volontari hanno dei requisiti fisici, sanitari e culturali inferiori alla media di qualunque altra professione; sicuramente Lei saprà molte altre cose che io non conosco.

Se per costruire l’Esercito di professionisti servivano solo i numeri avremo fatto prima e sicuramente con risultati migliori arruolare dei mercenari extracomunitari , ma se l’obiettivo era di costituire un Esercito nazionale con personale qualificato , serio e motivato , ebbene signor Presidente avete fallito la missione.

I pochi che entrano con convinzione e con buoni requisiti quando si rendono conto in che contesto si muovono o vanno via o si adattano alla situazione.

Di questa affermazione ne ho avuto conferma proprio al termine del 2000 quando sfogliando, in occasione di una visita ad un collega, una delle numerose pubblicazioni edite da Stato Maggiore Esercito, a me mai pervenute, i miei occhi si soffermavano su questa frase di “alto contenuto manageriale”:  

“In altri termini, bisogna entrare nell’ordine d’idee che i nostri volontari saranno coloro che riusciremo a reclutare e che gli stessi, contestualmente, identificheranno - nelle loro caratteristiche medie - i giovani che la società moderna sarà in grado di esprimere. In tale fase, pertanto, pretendere di poter disporre di risorse già motivate e qualitativamente valide è prematuro e scarsamente efficace ai fini di una congrua disponibilità quantitativa. Si dovrà, invece, accettare il “prodotto” così come si presenta, già grati del fatto che si dichiara disposto ad entrare nella nostra “famiglia”. Quanto alle motivazioni ed alle qualità dei volontari, spetta ai Quadri alimentarle ed esternalizzarle, attraverso comportamenti coerenti, lineari, trasparenti che trovino la loro massima espressione in efficaci atti di gestione, a cui vale ben la pena devolvere gran parte delle nostre energie.(ESERCITO DEGLI ANNI 2000-VADEMECUM AGENDA PER COMANDATI .edizione 1999 SME)”  

Significa, forse, che le selezioni per entrare nell’Esercito come volontari sono solo una prassi burocratica? Significa , forse che la società moderna non e’ in grado di esprimere giovani qualitativamente validi? Significa forse che e’ meglio privilegiare la quantità che la qualità’? Significa forse che dobbiamo esser riconoscenti a tutti i giovani che entrano nell’Esercito( purtroppo per una buona parte solo per motivazioni economiche) con uno stipendio superiore a quello di un operaio ed addirittura  di un professore di ruolo, senza che siano fisicamente, professionalmente e moralmente idonei? Significa , forse ,che i quadri(in un esercito di professionisti-volontari) devono trasformarsi in “assistenti sociali” perché prendono del “prodotto”(spesso con precedenti penali, uso di sostanze stupefacenti, con seri problemi di natura sanitaria etc.) che in  molti casi né la famiglia, né la scuola , né la società sono riusciti ad educare?  

Un mio superiore tanti anni fa mi disse scherzando “L’Esercito è un organizzazione di beneficenza” e purtroppo ,Onorevole Presidente, le risposte ai succitati quesiti sono positive,  e tutto ciò succede con il tacito consenso ed a volte con la  complicità dei nostri “manager in grigio verde” che con un modello dirigenziale micromanageriale, il quale si concretizza nel controllo delle bacheche ai reparti, nel controllo delle uniformi e della pulizia delle caserme, nel controllo dei ruolini tascabili (modello borbonico), nel chiedere dati assolutamente inutili agli enti dipendenti, nell’istituire un numero verde per denunciare non gli atti di nonnismo, ma i sui quadri (che cercano di far rispettare i regolamenti), nel ricercare un colpevole(senza ricercare le cause) in ogni situazione in un sergente, maresciallo, tenente, capitano , colonnello, ed a volte anche generale, alimentano un senso di costrizione oppressivo che scoraggia ogni forma d’iniziativa per migliorare il sistema. 

Signor Presidente, se queste sono le basi dell’esercito del 2000, quello dei professionisti, penso che se non cambia il sistema di selezione e soprattutto la classe dirigente delle FFAA che ha portato una crisi di valori e di motivazioni, senza che nessuna forza politica intervenisse, il futuro dell’Esercito sarà’ molto incerto e Le dico con franchezza che tutti i numeri statici (numeri di militari impegnati all’estero, numeri di missioni, numeri di volontari arruolati) che pongono sulla sua scrivania non compensano il malcontento , il disagio di migliaia di Ufficiali e Sottufficiali, che giornalmente lavorano in qualsiasi situazione, e soprattutto la perdita della fierezza di far parte di un organizzazione efficiente, seria , leale e con personale ricco di valori morali .  

Nel farle i miei migliori auguri per il nuovo anno, la ringrazio di aver dato ascolto a questo mio sfogo con la speranza di un futuro migliore e lascio alla sua attenzione la citazione che ha ispirato questa lettera.  

“Nessuna organizzazione può aspettarsi che i suoi dipendenti le offrano la propria fedeltà emotiva se non sono trattati con giustizia e rispetto. Quanto più i dipendenti si sentono sostenuti dalla propria azienda, tanto maggiori saranno la fiducia, l’attaccamento e la lealtà che riporranno in essa- e tanto meglio si comporteranno come suoi cittadini” (DANIEL GOLEMAN-“ Lavorare con intelligenza emotiva”)                                                                             

C.M.

 

 
 

 


 

 

 

 

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