REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente
- Prof. Gabriele PESCATORE Giudice
- Avv. Ugo SPAGNOLI "
- Prof. Antonio BALDASSARRE "
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO "
- Avv. Mauro FERRI "
- Prof. Luigi MENGONI "
- Prof. Enzo CHELI "
- Dott. Renato GRANATA "
- Prof. Giuliano VASSALLI "
- Prof. Francesco GUIZZI "
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale
dell'art. 174, primo comma, n. 3, c.p.m.p., promosso con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa il 14 dicembre 1993 dal Tribunale
militare di Padova nel procedimento penale a carico di Beruschi Luca ed
altri, iscritta al n. 160 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno
1994;
2) ordinanza emessa il 1° marzo 1994 dal Tribunale
militare di Padova nel procedimento penale a carico di Romito Salvatore ed
altri, iscritta al n. 273 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno
1994.
Visto l'atto di costituzione di Beruschi Luca,
nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 1994
il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
uditi l'avvocato Antonio Romeo per Beruschi Luca e
l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.1.- Il Tribunale militare di Padova, investito della
richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. -
formulata, con il consenso del pubblico ministero, da alcuni militari
imputati di vari reati, tra i quali quello di ri volta commesso nella forma
degli "eccessi", previsto dall'art. 174, primo comma, n. 3,
c.p.m.p., - ha sollevato questione di legittimità costituzionale di
quest'ultima disposizione in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma,
della Costituzione.
Dopo aver affermato che la questione è rilevante nel
giudizio a quo, dal momento che a tutti gli imputati è contestato il
reato di rivolta nella forma degli eccessi, il Tribunale osserva che il
concetto di "eccessi" utilizzato dall'art. 174, primo comma, n. 3,
c.p.m.p. appare indeterminato, per la mancanza di qualsiasi termine di
confronto, e, perciò, non sembra idoneo ad individuare il comportamento
che, nell'ambito di una gamma pressoché infinita di condotte contrarie a
norme giuridiche, possa esser ritenuto di gravità tale da giustificare la
previsione di una sanzione penale. In altri termini, la utilizzazione della
espressione "eccessi", senza ulteriori specificazioni,
corrispondendo alle manifestazioni estreme dell'indisciplina, vale, nella
sostanza, a delegare alla valutazione discrezionale del giudice
l'individuazione, fra i vari comportamenti indisciplinati, della condotta
penalmente rilevante, con conseguente violazione del principio di cui
all'art. 25, secondo comma, della Costituzione e di quello della parità di
trattamento, a causa delle diverse interpretazioni che possono essere
adottate anche con riferimento alla medesima condotta.
Andando alla ricerca di possibili significati in grado di
evitare il predetto sospetto d'incostituzionalità, il giudice a quo
esclude che il concetto di "eccessi" possa indicare un qualsiasi
comportamento che si discosti dalla normale condotta disciplinare delineata
nel regolamento. Infatti, il riferimento a tali parametri, comprendendovi
anche l'infrazione di norme di tratto, da un lato, comporterebbe che ben
raramente potrebbe realizzarsi il meno grave reato di ammutinamento (art.
175 c.p.m.p.), consistente in una generica disobbedienza collettiva e,
dall'altro, determinerebbe l'equiparazione della disobbedienza collettiva
armata (art. 174, nn. 1 e 2) alla disobbedienza collettiva in qualsiasi modo
"indisciplinata", con conseguente violazione del principio di
eguaglianza.
Né, secondo il giudice a quo, potrebbe darsi un
contenuto determinato all'espressione "abbandonarsi ad eccessi",
intendendola come equivalente a quella di "dare in escandescenze"
(cioè a manifestazioni verbali o anche gestuali determinate da
irrefrenabile ira), sia perché questa interpretazione non è condivisa né
in dottrina né in giurisprudenza, sia perché, se gli eccessi dovessero
risolversi in manifestazioni verbali o gestuali, riaffiorerebbe la
violazione del principio di eguaglianza, considerato che residuerebbero
altri comportamenti indisciplinati che, pur dovendosi ritenere più gravi
delle semplici manifestazioni verbali o gestuali, sarebbero tuttavia
inidonei a tramutare l'ammutinamento nel più grave reato di rivolta.
Del resto, un indice della inadeguatezza della
formulazione della disposizione impugnata può desumersi, ad avviso del
giudice a quo, dal rilievo che l'art. 73 della legge 1 aprile 1981,
n. 121, nel delineare la rivolta per gli appartenenti alla polizia di Stato,
ha sostanzialmente riprodotto l'art. 174 c.p.m.p., ad esclusione delle
ipotesi della rivolta commessa mediante "eccessi".
1.2.- Si è costituito nel presente giudizio uno degli
imputati del giudizio a quo, il quale, aderendo alle argomentazioni
svolte nella ordinanza di rimessione, chiede che venga accolta la questione
di legittimità costituzionale con la stessa sollevata.
1.3.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non
fondata.
Nell'atto di intervento l'Avvocatura generale dello Stato
rileva che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal
Tribunale militare di Padova tende a spostare sulla Corte costituzionale
un'attività ermeneutica, che appare invece propria del giudice ordinario.
Tanto ciò è vero, prosegue l'Avvocatura, che lo stesso giudice a quo
con una argomentata motivazione è pervenuto a definire gli eccessi come
"le manifestazioni estreme dell'indisciplina", non riconducibili
alla condotta consistente in "atti violenti" (art. 174) o
all'ammutinamento (art. 175).
Sul piano del merito, prosegue l'Avvocatura, non può
essere sottovalutato il rilievo che a definire la fattispecie incriminatrice
non contribuisce la sola espressione "abbandonandosi ad eccessi",
ma concorrono gli altri elementi descritti nella stessa norma incriminatrice,
vale a dire il rifiuto, l'omissione o il ritardo di obbedire alla
intimazione di disperdersi o di rientrare nell'ordine fatta da un superiore.
2.1.- Identica questione è stata sollevata dallo stesso
Tribunale militare di Padova con ordinanza emessa il 1° marzo 1994, nel
corso di un procedimento a carico di tre militari imputati, tra l'altro, del
reato di cui all'art. 174, primo comma, n. 3, c.p.m.p..
2.2.- Anche in questo giudizio è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri svolgendo argomentazioni identiche a
quelle riportate sub 1.3.
Considerato in diritto
1.- Con due distinte ordinanze il Tribunale militare di
Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 174,
primo comma, n. 3, c.p.m.p., nella parte in cui stabilisce che il reato di
rivolta possa consistere anche nella condotta dei militari che, riuniti in
numero di quattro o più, "abbandonandosi ad eccessi", rifiutano,
omettono o ritardano di obbedire alla intimazione di disperdersi o di
rientrare nell'ordine, fatta da un loro superiore. Oggetto specifico delle
contestazioni dei giudici a quibus è l'espressione
"eccessi", la quale, essendo ritenuta sostanzialmente
indeterminata, configurerebbe: a) una violazione dell'art. 25,
secondo comma, della Costituzione, in quanto affiderebbe alla valutazione
asso lutamente discrezionale del giudice l'identificazione, entro una gamma
pressoché infinita di condotte, del comportamento da sottoporre a sanzione
penale; b) una lesione del principio di parità di trattamento,
riconosciuto dall'art. 3 della Costituzione, derivante dal fatto che le
probabili differenze di interpretazione giudiziale di un concetto
indeterminato diano luogo ad altrettante diversità di trattamento di una
medesima condotta.
Poiché le due ordinanze sollevano una identica questione
di legittimità costituzionale, i relativi giudizi possono venir riuniti per
essere decisi con un'unica sentenza.
2.- Va, innanzitutto, respinta l'eccezione
d'inammissibilità sollevata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei
ministri, tendente a escludere che i giudici a quibus propongano una
questione di costituzionalità, apparendo le loro argomentazioni rivolte,
piuttosto, a richiedere a questa Corte quale sia l'interpretazione corretta
da attribuire all'espressione "abbandonarsi ad eccessi". In
realtà, i giudici rimettenti, dopo aver ricercato inutilmente tra i vari
possibili significati quello ritenuto conforme a Costituzione, hanno
concluso che, essendo l'unica interpretazione a loro avviso plausibile
quella che fa coincidere l'espressione contestata con le
"manifestazioni estreme dell'indisciplina", l'art. 174, primo
comma, n. 3, c.p.m.p. appare contrario tanto al principio di determinatezza
delle fattispecie legali del reato, sancito dall'art. 25, secondo comma,
della Costituzione, quanto al principio di parità di trattamento, stabilito
dall'art. 3 della Costituzione. Stando così le cose, non si può negare che
i giudici a quibus formulino nelle ordinanze di rimessione una vera e
propria questione di costituzionalità, non già una d'interpretazione,
avendo individuato con precisione sia una disposizione di legge ordinaria,
alla quale essi ritengono di conferire una non implausibile interpretazione,
sia i parametri costituzionali in riferimento ai quali gli stessi giudici
dubitano della legittimità della norma denunziata.
3.- La questione non è fondata, nei sensi di cui in
motivazione.
Occorre premettere che i due profili sollevati dai
giudici rimettenti - violazione del principio nullum crimen sine lege
e del principio di parità di trattamento - non corrispondono a due distinte
questioni di costituzionalità, ma rappresentano, nella prospettazione dei
giudici a quibus, due versanti dell'unica questione: segnatamente
quella concernente l'asserita indeterminatezza di un elemento della
fattispecie penale contenuta nell'art. 174, primo comma, n. 3, c.p.m.p. -
cioè l'espressione "abbandonandosi ad eccessi" - ritenuta tale da
rendere assolutamente vaga la fattispecie legale del reato. Tuttavia, sulla
base della costante giurisprudenza costituzionale in materia di principio
penalistico di legalità, l'assunto fatto proprio dai giudici rimettenti non
può essere condiviso.
Questa Corte ha da tempo affermato che le norme penali
possono contenere, senza con ciò violare il principio di legalità,
descrizioni sommarie, elementi valutativi, espressioni meramente indicative
di comuni esperienze o termini presi dal linguaggio comunemente usato,
purché siano comunque tali da permettere, attraverso l'ordinario
procedimento d'interpretazione, l'identificazione del bene tutelato dalle
stesse norme (v., ad esempio, sentt. nn. 122 del 1993, 247 del 1989, 84 del
1984, 79 del 1982, 49 del 1980, 27 del 1961). La stessa Corte ha anche
precisato che "la determinatezza dell'indicazione legislativa del
significato d'un termine (o d'una espressione) non può stabilirsi
prescindendo dal rapporto che lo stesso termine ha con gli altri elementi
della fattispecie" e dalla relazione di quest'ultima con le ipotesi
delittuose più prossime (v. sent. n. 247 del 1989).
Seguendo i comuni criteri d'interpretazione delle norme
giuridiche, la giurisprudenza penale militare ha conferito all'espressione
contestata un significato univoco, tale da portare a distinguere
sostanzialmente la fattispecie del reato di rivolta di cui all'art. 174,
primo comma, n. 3, c.p.m.p. realizzata attraverso "eccessi" tanto
da quella di rivolta realizzata attraverso "atti violenti",
prevista nella stessa disposizione, quanto da quella
dell'"ammutinamento", riferita ai militari che, riuniti in numero
di quattro o più, rifiutano, omettono o ritardano di obbedire a un ordine
di un loro superiore (art. 175, primo comma, n. 1, c.p.m.p.).
Più precisamente, il significato dell'espressione
"abbandonandosi ad eccessi", riferita alle modalità di
comportamento di chi commette il reato militare di rivolta rifiutando,
omettendo o ritardando di obbedire alla intimazione di disperdersi o di
rientrare nell'ordine fatta da un loro superiore, è comunemente individuato
negli atti di intensa indisciplina concretanti una minacciosa pressione
morale collettiva sulla volontà del superiore. In tal modo, alla
fattispecie penale sospettata d'indeterminatezza dai giudici a quibus
è dato un significato chiaro, preciso e determinato, che porta a
interpretare la parola "eccessi" come equivalente a comportamenti
di estrema indisciplina tendenti a esercitare una forma di "violenza
morale" nei confronti del superiore che ha fatto l'intimazione: un
significato che distingue nettamente la fattispecie contestata sia da quella
della rivolta di cui al n. 3 realizzata con atti violenti, la quale comporta
atti diretti a sopraffare con la forza la volontà del superiore, sia dalla
fattispecie dell'ammutinamento regolata nel n. 1 dell'art. 175 c.p.m.p., la
quale consiste meramente nel rifiuto, nell'omissione o nel ritardo di
obbedire a un ordine del superiore da parte di militari riuniti in numero di
quattro o più.
Se, dunque, hanno ragione i giudici a quibus a
ritenere che l'espressione "eccessi", ricompresa nella fattispecie
di rivolta contestata, non denota qualsiasi comportamento che si discosti
dalla normale condotta disciplinare, attualmente delineata nel regolamento
approvato con d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, ma si riferisce soltanto alle
manifestazioni estreme dei comportamenti contrari alla disciplina militare,
nello stesso tempo essi erroneamente omettono di considerare che tali
manifestazioni devono essere qualificate da un obiettivo contenuto
intimidatorio nei confronti del superiore.
Così interpretata l'espressione contestata, non è
irragionevole che il legislatore abbia sottoposto alla stessa pena edittale
la rivolta compiuta mediante "eccessi" e quella commessa mediante
"atti violenti", trattandosi di lesioni del bene protetto dalla
norma incriminatrice realizzate con modalità diverse, ma omogenee
(comportamento intimidatorio - violenza), salvo sempre il potere
discrezionale del giudice, all'atto della determinazione in concreto della
sanzione, di calibrare l'applicazione di quest'ultima tra gli ampi termini
della pena edittale prevista (da tre a quindici anni) alla reale entità
della condotta posta in essere e alla differente attitudine degli
"eccessi" (o degli atti violenti) realizzati a ledere il bene
della disciplina militare. Né è irragionevole che, nel definire la rivolta
di cui all'art. 174, primo comma, n. 3, c.p.m.p., il legislatore ne abbia
previsto l'ipote si realizzata mediante "eccessi", oltre a quella
commessa con "atti violenti", mentre, nel delineare il reato di
rivolta per gli appartenenti alla polizia di Stato (art. 73, primo comma, n.
2, legge 1 aprile 1981, n. 121), abbia omesso il riferimento agli
"eccessi": infatti, l'atteggiamento intimidatorio nei confronti
del superiore concorre significativamente a determinare la gravità
dell'offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice, nel caso di un
delitto, come quello previsto dall'art. 174 c.p.m.p., che è un "reato
contro la disciplina militare"; mentre lo stesso elemento può essere
visto in diversa prospettiva nella delineazione del reato di rivolta quando
questo sia riferito ad appartenenti a un corpo smilitarizzato, qual'è la
polizia di Stato.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata, nei sensi di cui in
motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 174,
primo comma, n. 3, c.p.m.p. sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25,
secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, 1995