Legittimità
costituzionale dell'art. 173 del codice penale militare di pace
Ordinanza n. 39 - 2001 - Corte Costituzionale, Palazzo della
Consulta
il 5 febbraio 2001.
ORDINANZA
39
ANNO 2001
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Cesare RUPERTO
Presidente
-
Fernando SANTOSUOSSO
Giudice
-
Riccardo CHIEPPA
"
-
Gustavo ZAGREBELSKY
"
-
Valerio ONIDA
"
-
Carlo
MEZZANOTTE
"
-
Fernanda CONTRI
"
-
Guido
NEPPI MODONA
"
-
Annibale MARINI
"
-
Franco BILE
"
- Giovanni Maria FLICK
"
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 173 del codice penale
militare di pace, promosso nell'ambito di un procedimento penale con ordinanza
emessa il 29 febbraio 2000, iscritta al n. 202 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore
Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25, secondo comma, e 112 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell'art. 173 del codice penale
militare di pace;
che
il rimettente premette di essere investito della richiesta del pubblico
ministero di emettere decreto penale di condanna nei confronti di un
carabiniere scelto, imputato del reato di disobbedienza (art. 173 cod. pen.
mil. di pace) per essersi rifiutato di eseguire l'ordine impartito da un
maresciallo capo, suo superiore in grado, «di spostarsi e cedere il posto
anteriore della vettura di servizio riservata al "capo macchina"»;
che ad avviso del rimettente risulterebbero provati tutti gli elementi
in base ai quali ravvisare, «secondo consolidata giurisprudenza»,
l'esistenza di un legittimo rapporto gerarchico e, di conseguenza, di una
legittima manifestazione di volontà del superiore diretta ad imporre un facere
o un non facere
a un inferiore;
che la riconducibilità della condotta al reato contestato
dipenderebbe, a parere del rimettente, dalla circostanza che la fattispecie
incriminatrice, «caratterizzata da astrattezza e genericità del fatto
tipico», è costruita in modo da demandare alla volontà del superiore
l'individuazione del comportamento penalmente sanzionabile, in linea con la
volontà del legislatore del 1941 di «tutelare un concetto di disciplina
militare eticamente inteso»;
che alla luce dei principi costituzionali e della legge 11 luglio 1978,
n. 382, recante le norme di principio sulla disciplina militare, la norma
censurata «dovrebbe essere riscritta» dal legislatore, utilizzando criteri
di maggiore determinatezza, quali quelli contenuti nei reati di disobbedienza
previsti dalle leggi 1° aprile 1981, n. 121, e 15 dicembre 1990, n. 395;
che ad avviso del rimettente l'attuale formulazione dell'art. 173 cod.
pen. mil. di pace si pone in contrasto, in primo luogo, con il principio della
riserva assoluta di legge in materia penale dettato dall'art. 25, secondo
comma, Cost., in quanto il legislatore del 1941 avrebbe configurato una norma
penale in bianco, nella quale la definizione del precetto è totalmente
demandata ad «atti normativi secondari, sottordinati nella gerarchia delle
fonti del diritto», quali sono le contingenti e «particolari intimazioni
verbali di un qualsiasi superiore di un qualsiasi ente militare», sì che la
disposizione censurata è priva di «sufficiente determinazione legale»;
che il principio di legalità risulterebbe violato anche sotto il
profilo della mancanza di tassatività della fattispecie, perché la norma in
questione, demandando la determinazione del precetto all'amministrazione,
senza fissarne presupposti, contenuti e limiti, non assicura la certezza della
legge e rende il giudice «arbitro assoluto» nella definizione della
disobbedienza penalmente rilevante;
che dalla violazione dei principi di riserva di legge e di tassatività
deriverebbe il contrasto con l'art. 24 Cost., in quanto il «cittadino
militare» da un lato è posto nell'impossibilità di conoscere con certezza
ciò che è consentito e ciò che è vietato dalla legge, dall'altro vede
menomato il proprio diritto di difesa, potendo opporre alla contestazione del
reato di disobbedienza solo argomentazioni basate su difformi precedenti
giurisprudenziali, nonché con l'art. 112 Cost., in quanto sarebbe impedito al
pubblico ministero di individuare con certezza i comportamenti in relazione ai
quali esercitare l'azione penale;
che la disciplina censurata violerebbe poi il principio di eguaglianza
per la possibilità di diverse letture della norma e, quindi, per il pericolo
di decisioni diverse e di differenti trattamenti in presenza di identiche
situazioni di fatto, nonché per la disparità di trattamento tra militari e
appartenenti alla Polizia di Stato e al Corpo di polizia penitenziaria, in
quanto gli artt. 72 della legge n. 121 del 1981 e 20 della legge n. 395 del
1990 prevedono per tali soggetti un reato di disobbedienza di «non incerta
prescrittività»;
che, infine, sarebbero violati anche gli artt. 25, secondo comma, e 13
Cost., in quanto la norma censurata istituirebbe un reato di pericolo presunto
e punirebbe condotte di mera disobbedienza, disancorate dalla «effettiva
lesione al bene giuridico servizio militare»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque,
infondata.
Considerato che l'essenza
delle censure mosse al reato di disobbedienza, previsto dall'art. 173 cod.
pen. mil. di pace, si basa sulla supposta violazione dei principi di legalità
e determinatezza della fattispecie incriminatrice, non essendo gli altri
parametri costituzionali richiamati dal rimettente che corollari del dedotto
contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost.;
che
il rimettente lamenta che l'individuazione del comportamento penalmente
sanzionabile sia totalmente rimessa alla volontà del superiore gerarchico,
sì che l'art. 173 cod. pen. mil. di pace sarebbe caratterizzato da assoluta
genericità e indeterminatezza del fatto tipico;
che,
come rileva lo stesso rimettente senza peraltro dedurne le logiche conseguenze
interpretative, il quadro normativo nel quale si inserisce il reato di
disobbedienza previsto dall'art. 173 cod. pen. mil. di pace è radicalmente
mutato rispetto a quello vigente al momento di emanazione del codice del 1941;
che il principio enunciato dall'art. 52, terzo comma, Cost., secondo
cui l'"ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico
della Repubblica", ha trovato compiuta attuazione nella legge n. 382 del
1978 (Norme di principio sulla disciplina militare) e nel relativo regolamento
(d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545) (cfr. da ultimo sentenze n. 519 del 2000 e n.
4 del 1997);
che, con particolare riferimento al reato di disobbedienza, da un lato
l'art. 4, quarto comma, della legge n. 382 del 1978 stabilisce che "gli
ordini devono, conformemente alle norme in vigore, attenere alla disciplina,
riguardare il servizio e non eccedere i compiti di istituto", dall'altro
l'art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 545 del 1986 definisce l'obbedienza come
l'esecuzione "degli ordini attinenti al servizio ed alla
disciplina";
che
tali disposizioni si inseriscono in un contesto in cui la disciplina non è
più concepita come un valore fine a se stesso, ma risulta funzionale "ai
compiti istituzionali delle Forze armate ed alle esigenze che ne
derivano" (art. 2, comma 1, del regolamento);
che il nuovo assetto normativo è inconciliabile con la costruzione,
prospettata dal giudice rimettente, dell'art. 173 cod. pen. mil. di pace come
norma penale in bianco, nella quale l'individuazione dei comportamenti
penalmente sanzionabili sarebbe rimessa alla mera volontà del superiore
gerarchico, in linea con l'intenzione del legislatore del 1941 di «tutelare
un concetto di disciplina militare eticamente inteso»;
che
la disposizione censurata, in cui il rifiuto, il ritardo o l'omissione di
obbedienza sono comunque puntualizzati con riferimento a "un ordine
attinente al servizio o alla disciplina", va pertanto letta - come è
preciso dovere dell'interprete - alla luce del quadro normativo che si è
progressivamente formato nel corso del periodo repubblicano;
che le norme sopra menzionate rendono evidente che il reato non si
sostanzia nella disobbedienza ad un 'ordine' qualsiasi proveniente da un
superiore gerarchico, in quanto solo la disobbedienza a un ordine funzionale e
strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina, e comunque non
eccedente i compiti di istituto, integra gli estremi del modello legale di cui
all'art. 173 cod. pen. mil. di pace;
che,
infatti, oggetto della tutela apprestata dalla norma censurata non è il
prestigio del superiore in sé e per sé considerato, ma il corretto
funzionamento dell'apparato militare, in vista del conseguimento dei suoi fini
istituzionali, così come puntualmente messo in rilievo da quella
giurisprudenza di legittimità e di merito che ha sottolineato che l'ordine
deve sempre avere fondamento nell'interesse del servizio o della disciplina e
non può trovare causa in pretese di carattere personale o in contrasti di
natura privata tra superiore e inferiore;
che,
non essendo dato riscontrare alcuna violazione dei parametri costituzionali
evocati dal rimettente, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
Visti
gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo
comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 173 del codice penale militare di pace, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25, secondo comma, e 112 della Costituzione,
dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino, con
l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 2001.
F.to:
Cesare
RUPERTO, Presidente
Guido
NEPPI MODONA, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il
14 febbraio 2001.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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