Processo penale militare - Composizione del
Collegio - Norme sul giudice monocratico - Inapplicabilità - Conseguenze -
Disparità di trattamento - Violazione costituzionale - Non si configura.
(Cost., art. 3 co. 1°, 97 co. 1°, 111;
C.p.m.p., artt. 261, 271, 272; L. 7 maggio 1981, n. 180, art. 2)
Corte Costituzionale, ord. 204, 4 giugno 2001.
Pres. Ruperto, Red. Flick.
Secondo norma speciale il Tribunale Militare
giudica esclusivamente in composizione collegiale mista. Nè porta a
disapplicare tale norma l’obiettare, circa una (solo apparente) discrasia
rispetto al sistema, evidenziabile nella specie di appartenente alle Forze
armate, chiamato a rispondere di reato militare e di connesso reato comune più
grave, che, nel previsto caso di composizione monocratica del Tribunale
ordinario competente, sarebbe giudicato dal Tribunale penale ordinario con rito
e composizione monocratici, e poi pure evidenziabile nella specie di concorso
del militare con estraneo nel reato militare, sottoposti il primo al giudizio
penale collegiale ed il secondo al giudice ordinario monocratico. Non si
violerebbero, in tali casi, invero, i limiti di costituzionalità della
ragionevolezza nella discrezionalità di scelta del Legislatore, la composizione
mista del Collegio essendo finalizzata alla migliore conoscenza dei fatti in
giudizio, e la stessa previsione dell’udienza preliminare nel giudizio
militare anche per reati di limitata gravità attenendo alle garanzie per l’imputato.
Consegue la manifesta infondatezza della relativa questione di costituzionalità
(1).
(1) Si legge quanto appresso nel testo dell’ordinanza:
« «Nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 261, 271 e 272 del codice penale militare di pace e
dell’art. 2 della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all’ordinamento
giudiziario militare di pace), promosso con ordinanza emessa il 14 luglio 2000
dal Tribunale militare di Roma nel procedimento penale a carico di G. A.,
iscritta al n. 574 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 maggio
2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick;
ritenuto che con ordinanza emessa il 14 luglio
2000 (r.o. n. 574 del 2000) nel corso di un procedimento penale nei confronti di
persona imputata del reato di mancanza alla chiamata aggravata (artt. 151 e 154
n. 1 del codice penale militare di pace) il Tribunale militare di Roma ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, e 111
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 261 del
codice penale militare di pace e dell’art. 2 della legge 7 maggio 1981, n. 180
(Modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace), «come richiamato»
dagli artt. 271 e 272 del predetto codice, nella parte in cui, rispettivamente,
non comprendono fra le disposizioni del codice di procedura penale applicabili
nel rito militare anche quelle concernenti il procedimento davanti al tribunale
in composizione monocratica e non prevedono che il tribunale militare giudichi
in composizione monocratica sugli stessi reati per i quali tale composizione è
stabilita in rapporto al tribunale ordinario;
che il giudice a quo rileva, in via
preliminare, come la Corte di Cassazione abbia escluso che la nuova normativa
ordinamentale e processuale introdotta dal d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 e
dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 - la quale prevede, da un lato, che il
tribunale giudichi in composizione monocratica, ove la legge non disponga
altrimenti (art. 48 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 14
d.lgs. n. 51 del 1998), e, dall’altro, che davanti al tribunale penale
monocratico si osservi il rito disciplinato dagli artt. 549 ss. cod. proc. pen.
(come modificati dalla citata legge n. 479 del 1999) - possa automaticamente
trasferirsi nel rito militare;
che a tale estensione sarebbero infatti di
ostacolo le speciali disposizioni dettate dall’art. 2 della legge n. 180 del
1981 (richiamate dall’art. 271 del codice penale militare di pace, nonché,
quanto ai requisiti formali della sentenza e del processo verbale, dagli artt.
371 e 374 dello stesso codice), in forza delle quali il tribunale militare
giudica esclusivamente in composizione collegiale mista, e cioè con l’intervento,
a fianco di due giudici «togati», di un membro«laico» (ufficiale delle Forze
armate);
che, in tal modo, si sarebbe venuto peraltro a
creare un quadro normativo contrastante con il principio di ragionevolezza, in
quanto situazioni del tutto simili riceverebbero un trattamento inspiegabilmente
differenziato: l’appartenente alle Forze armate imputato di un reato militare,
omogeneo per titolo e regime sanzionatorio a quelli per i quali il tribunale
ordinario opera con rito ed in composizione monocratici, continua, infatti, ad
essere giudicato da un tribunale in composizione collegiale;
che ulteriori profili di compromissione dell’art.
3 Cost. deriverebbero dalla disciplina della connessione tra reati comuni e
reati militari: giacché, qualora l’appartenente alle Forze armate sia
imputato di un reato militare connesso con un reato comune più grave, ma
comunque compreso tra quelli per i quali è prevista la composizione monocratica
del tribunale, egli verrebbe giudicato, in forza dell’art. 13 cod. proc. pen.,
non più dal giudice militare collegiale, ma dal giudice ordinario, con rito ed
in composizione monocratici;
che, inoltre, avendo il citato art. 13 cod.
proc. pen. un ambito applicativo limitato ai casi di connessione oggettiva,
laddove del medesimo reato militare risultino imputati, in concorso tra loro, un
estraneo alle Forze armate ed un militare, quest’ultimo sarebbe giudicato dal
tribunale militare in composizione collegiale, mentre l’estraneo verrebbe
sottoposto con «rito monocratico» al giudizio del tribunale ordinario in
composizione monocratica;
che, per altro verso, in conseguenza delle
norme impugnate, la procedura militare risulterebbe «appesantita», al termine
delle indagini preliminari, dalla necessità di celebrare l’udienza
preliminare, e, nella fase dibattimentale, dalla composizione collegiale del
tribunale, e ciò indipendentemente dal titolo del reato o dal trattamento
sanzionatorio;
che sarebbe quindi violato anche il principio
del buon andamento dei pubblici uffici, sancito dall’art. 97, primo comma,
Cost.: principio «tanto più rilevante» ove interpretato alla luce del nuovo
testo dell’art. 111 Cost., introdotto dalla legge costituzionale 23 novembre
1999, n. 2, in forza del quale la legge deve assicurare la ragionevole durata
del processo, non potendo dubitarsi che, «ragionevolmente», la durata dei
procedimenti devoluti al giudice militare debba rispondere, quanto meno, agli
stessi canoni di celere definizione stabiliti in rapporto al rito ordinario;
che il rimettente segnala, infine, quanto alla
rilevanza della questione, come nel procedimento a quo l’imputato sia stato
tratto a giudizio dal pubblico ministero con citazione diretta ai sensi dell’art.
550 cod. proc. pen.: con la conseguenza che, ove la questione di
costituzionalità fosse respinta, detta citazione - consentita solo nell’ambito
del «rito monocratico» - dovrebbe essere dichiarata nulla a norma degli artt.
178, comma 1, lett. b), e 179 cod. proc. pen.; laddove invece, in caso di suo
accoglimento, il reato di mancanza alla chiamata, contestato all’imputato,
rientrerebbe nel novero di quelli sui quali il tribunale militare dovrebbe
giudicare in composizione e con rito monocratici;
che nel giudizio di costituzionalità è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria
di infondatezza della questione;
che l’Avvocatura erariale osserva, in
particolare, come il legislatore abbia «ritagliato» la disciplina di cui al
d.lgs. n. 51 del 1998 sui tribunali ordinari, escludendo intenzionalmente dal
suo ambito applicativo i tribunali militari, e ciò in ragione sia della
peculiare composizione di questi ultimi che del particolare status dei cittadini
chiamati alle armi;
che, in tale prospettiva, l’eventuale
estensione della disciplina sul giudice monocratico al rito militare
richiederebbe un riassetto complessivo del sistema, tale da involvere scelte
discrezionali riservate al legislatore.
Considerato che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, le scelte concernenti la composizione,
collegiale o monocratica, dell’organo giudicante rientrano nell’ambito della
discrezionalità del legislatore, e come tali non sono sindacabili sul terreno
della costituzionalità, ove effettuate in base a criteri non irragionevoli (v.
ordinanze n. 240 del 2000; n. 423 e n. 139 del 1997; n. 257 del 1995);
che, per quanto attiene in particolare ai
tribunali militari, la previsione di una composizione (esclusivamente)
collegiale e "mista", con la partecipazione di un membro
"laico" proveniente dalle Forze armate, pur non rappresentando una
soluzione costituzionalmente obbligata (v. sentenza n. 460 del 1994), non può
nemmeno essere qualificata come scelta legislativa affatto irragionevole;
che l’intervento di detto membro
"laico", connettendosi alla stessa origine e ratio storica dei
tribunali militari, mira, infatti - come più volte affermato da questa Corte -
ad assicurare una migliore comprensione, utile ai fini del giudizio, della vita
e dell’ambiente militare nei quali i fatti illeciti sono commessi (v. sentenze
n. 460 del 1994 e n. 49 del 1989; ordinanza n. 151 del 1992);
che, in tale ottica, la disciplina della
composizione del tribunale militare risponde dunque a finalità analoghe a
quelle cui è ispirata la previsione di organi giudicanti specializzati
collegiali - organi chiamati a giudicare anche su reati o su controversie civili
aventi, di per sé, limitata rilevanza (si pensi, per tutti, al tribunale per i
minorenni ed alle sezioni specializzate agrarie) - i quali si caratterizzano per
la presenza, a fianco di giudici "togati", di soggetti estranei alla
magistratura idonei a fornire, per il possesso di particolari requisiti
culturali o professionali, un qualificato contributo alla comprensione delle
vicende oggetto del giudizio (v. sentenza n. 49 del 1989);
che, sempre alla luce della giurisprudenza di
questa Corte, il carattere ampiamente discrezionale delle scelte legislative
inerenti alla composizione dell’organo giudicante non viene meno per il fatto
che tali scelte abbiano riflessi sul piano processuale, in termini di maggiore o
minore complessità del procedimento (v. ordinanze n. 139 e n. 423 del 1997):
riflessi che, nell’ipotesi in esame, si risolvono peraltro in un rafforzamento
delle garanzie dell’imputato nel procedimento militare, cui è in particolare
assicurato, in ogni caso, il "filtro" dell’udienza preliminare;
che, quanto alle denunciate disparità di
trattamento correlate al regime della connessione tra reati comuni e militari,
la disciplina in questione - in forza della quale, fra reati comuni e reati
militari, la connessione di procedimenti opera entro circoscritti limiti (e
cioè solo quando il reato comune è più grave di quello militare), con
attribuzione della competenza per tutti i reati al giudice ordinario - si
configura anch’essa come frutto di una scelta discrezionale del legislatore
non eccedente i limiti della ragionevolezza, in quanto espressiva di un
"bilanciamento" tra le esigenze proprie del giudizio sui reati
militari e quelle cui risponde, in via generale, l’istituto della connessione;
e ciò a prescindere dal rilievo che tali disparità di trattamento vanno
ascritte non alle norme oggi impugnate, ma a quelle che regolano gli effetti
della connessione stessa (segnatamente, l’art. 13, comma 2, cod. proc. pen.);
che per quanto concerne poi l’asserita
violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., è costante giurisprudenza di
questa Corte che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione,
pur essendo riferibile anche agli organi dell’amministrazione della giustizia,
attiene esclusivamente alle leggi concernenti l’ordinamento degli uffici
giudiziari e il loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo, mentre è
del tutto estraneo all’esercizio della funzione giurisdizionale, che nel
frangente viene in rilievo (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 30, n. 152 e n. 490
del 2000);
che deve altresì escludersi la violazione
dell’art. 111 Cost.: il principio della ragionevole durata del processo,
sancito dalla norma costituzionale invocata a seguito delle modifiche operate
dall’art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, deve essere
infatti letto - alla luce dello stesso richiamo al connotato di
«ragionevolezza», che compare nella formula normativa - in correlazione con le
altre garanzie previste dalla Carta costituzionale, a cominciare da quella
relativa al diritto di difesa (art. 24 Cost.);
che il legislatore conserva, quindi, ampia
discrezionalità nella definizione della disciplina processuale, salvo il
divieto di scelte prive di valida ragione giustificativa, ora anche sotto il
profilo della durata dei processi (v. ordinanza n. 32 del 2001);
che, in tale prospettiva, non può essere
ritenuta contrastante con il parametro costituzionale in discorso né la
previsione della composizione comunque collegiale del tribunale militare,
trattandosi di scelta suggerita dall’accennata finalità di "migliore
comprensione" dei fatti oggetto di giudizio; né la correlata previsione,
nel rito militare, dell’udienza preliminare anche in rapporto a reati di
limitata gravità, avendo detta udienza, di per sé, la valenza di una garanzia
per l’imputato;
che, pertanto, la questione di
costituzionalità deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge
11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
la Corte Costituzionale,
dichiara la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 261 del codice penale
militare di pace e dell’art. 2 della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche
all’ordinamento giudiziario militare di pace), «come richiamato» dagli artt.
271 e 272 del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento agli
artt. 3, primo comma, 97, primo comma, e 111 della Costituzione, dal Tribunale
militare di Roma con l’ordinanza in epigrafe» ».
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