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Reati militari - Richiesta di procedimento - Reclusione quando sia stata irrogata la sanzione della consegna di rigore - Omessa precisione - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza.

(Cost., art. 2,3; cod. pen. mil. pace, art.)

Corte Costituzionale, sentenza n. 406 del 13 luglio 2000 - Pres. Mirabelli - Red. Flick.


È infondata, in riferimento agli artt. 2 e 3 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 260, 2° co., cod. pen. mil. pace, nella parte in cui non prevede che la richiesta di procedimento del comandante di corpo, per quei reati che ad essa subordinano la procedibilità, non possa più essere proposta quando per lo stesso fatto sia stata irrogata la sanzione disciplinare della consegna di rigore.

Infatti, il comando delle sanzioni non vulnera i diritti inviolabili dell’uomo e il fatto purché non vi sia una successione cronologica tra consegna di rigore e richiesta di procedimento, dal momento che la sanzione disciplinare può essere inflitta anche dopo la formazione del giudicato penale, esclude la irragionevolezza del cumulo come prospettata.

(Omissis)

Considerato in diritto

La Corte militare di appello dubita della legittimità costituzionale dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non prevede che la richiesta di procedimento del comandante di corpo - alla quale è subordinata la perseguibilità dei reati per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore a sei mesi - non possa più essere proposta quando per lo stesso fatto sia stata irrogata la sanzione disciplinare della consegna di rigore.

Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata si porrebbe in frizione, per un verso, con l’art. 2 Cost., in quanto l’applicazione congiunta della sanzione penale e della consegna di rigore comporterebbe una inammissibile compressione della libertà individuale dell’autore dell’illecito, il quale, per lo stesso fatto, sarebbe punito due volte con misure di analogo contenuto afflittivo; per un altro verso, con l’art. 3 Cost., in quanto il cumulo tra dette sanzioni verrebbe a dipendere da una circostanza puramente accidentale, legata alla maggiore o minore rapidità del procedimento disciplinare: più in particolare, tale cumulo discenderebbe dal fatto che il comandante del corpo riesca ad irrogare entro il termine di un mese - costituente lo spatium temporis entro il quale la richiesta di procedimento può essere proposta - quella sanzione disciplinare che, una volta formulata detta richiesta, non potrebbe più infliggere a fronte della preclusione stabilita dall’art. 65, comma 7, lettera a), del regolamento di disciplina militare, approvato con D.P.R. n. 545 del 1986.

La questione non è fondata.

2.1- Sotto entrambi i dedotti profili, il percorso argomentativo posto a base della denuncia di incostituzionalità appare per vero inficiato da un evidente vizio di prospettiva. Il rimettente riverbera, infatti, sulla norma di rango primario regolativa dell’istituto della richiesta di procedimento del comandante di corpo (art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace) una situazione di asserita compromissione dei valori costituzionali semmai addebitabile - al lume della sua stessa prospettazione - esclusivamente alla norma di rango secondario regolativa dei rapporti tra la sanzione disciplinare della consegna di rigore ed il procedimento penale (art. 65, comma 7, lettera a, del regolamento di disciplina).

È a quest’ultima norma, in effetti - e non già a quella primaria aggredita - che si deve, ad un tempo, la previsione dell’applicabilità della consegna di rigore in rapporto a fatti integrativi di reato e quel divieto di cumulo, in ipotesi "a senso unico", fra sanzione penale e sanzione disciplinare da cui trae alimento il duplice dubbio di costituzionalità sottoposto al vaglio della Corte.

2.2- A tale considerazione di ordine generale - già di per sé dirimente - possono d’altro canto coniugarsi rilievi specifici attinenti alle singole doglianze.
Può osservarsi, così, in particolare, come il fulcro della prima delle due censure sia rappresentato dall’assunto per cui la consegna di rigore avrebbe un contenuto afflittivo omologo alla sanzione penale (nella specie, la reclusione militare), incidendo, al pari di essa, su aspetti essenziali della libertà individuale: particolare, questo, che varrebbe a rendere operante, nei relativi rapporti, un principio di ne bis in idem, in tesi presidiato dall’art. 2 Cost.

Verificare la correttezza della premessa maggiore del sillogismo - che non corrisponde, in effetti, ad una lettura pacifica, sostenendosi da una parte della dottrina che la consegna di rigore, lungi dal concretare una misura restrittiva della libertà personale, si tradurrebbe, alla luce dell’odierna configurazione normativa (art. 14, comma 5, della legge 11 luglio 1978, n. 382), in un mero obbligo giuridico - sarebbe peraltro in questa sede un fuor d’opera. È sufficiente difatti rimarcare come il parametro costituzionale invocato dal rimettente si presenti eccentrico rispetto al tenore della doglianza, la quale evoca non già un vulnus del generalissimo impegno della Repubblica al riconoscimento ed alla garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo; ma, semmai, una eventuale compromissione degli specifici precetti costituzionali posti a presidio della libertà personale (art. 13 Cost.) o concernenti la funzione della pena (art. 27, terzo comma, Cost.).

2.3.- Per quanto attiene, poi, all’asserita violazione dell’art. 3 Cost., è lo stesso profilo di irragionevolezza che il giudice a quo censura - la circostanza, cioè, che il cumulo tra sanzione penale e consegna di rigore sia in funzione della mera consecutio cronologica tra applicazione della sanzione disciplinare e proposizione della richiesta di procedimento - a palesarsi in realtà insussistente, una volta che la lettera b) del citato art. 65, comma 7, del regolamento espressamente contempla la possibilità di infliggere la consegna di rigore anche dopo la formazione del giudicato penale. Dalla lettura combinata delle lettere a) e b) dell’articolo in parola emerge, in effetti, come la preoccupazione dei compilatori del regolamento sia stata non tanto quella di evitare il cumulo delle sanzioni; quanto piuttosto l’altra di impedire la celebrazione contemporanea dei due procedimenti (penale e disciplinare): e ciò tenuto conto anche del regime di sospensione obbligatoria del secondo in presenza del primo, stabilito dall’art. 3 cod. proc. pen. del 1930, vigente all’epoca del varo della norma regolamentare.

Né appare convincente, sul punto, il rilievo del rimettente, secondo cui la lettera b) dell’art. 65, co. 7, del regolamento non varrebbe ad elidere la lamentata disparità di trattamento, in quanto l’instaurazione del procedimento disciplinare dopo la condanna penale sarebbe da tale norma configurata come meramente facoltativa, in deroga al principio di obbligatorietà sancito dall’art. 58, comma 7, del regolamento stesso, con riguardo alle infrazioni punibili con la consegna di rigore. A prescindere, infatti, dal rilievo che quest’ultima disposizione (la quale reca un riferimento limitativo allo speciale "rapporto" previsto dal comma 6 dello stesso articolo) appare di non univoca interpretazione, va osservato, in senso contrario, come la voce verbale "possono" - che figura nell’alinea dell’art. 65, comma 7, ed alla quale si connette l’argomentazione del giudice a quo - regga entrambe le disposizioni di cui alle lettere a) e b): sicché, nell’ottica del rimettente, il carattere della facoltatività risulterebbe riferibile, allo stesso modo, tanto alla consegna di rigore inflitta prima (lettera a) che a quella inflitta dopo il procedimento penale (lettera b), con conseguente caduta di ogni divergenza di trattamento fra le due ipotesi.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dalla Corte militare di appello con l’ordinanza in epigrafe.

(Omissis)
 

 


 

 

 

 

 

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