Reati militari - Leva militare - Apolidi
residenti - Assoggettamento all’obbligo - Questione di legittimità
costituzionale in relazione agli artt. 52 e 10 Cost. - Infondatezza - Ragioni.
(Cost. artt. 10, 52; d.P.R. 14 febbraio 1964,
n. 237, art. 1, co. 1° lett. c); l. 5 febbraio 1992, n. 91, art. 16, co. 1°)
Corte Costituzionale, sentenza n. 172 del
10-18 maggio 1999 - Pres. Granata - Red. Zagrebelsky
.
Non è fondata, in riferimento agli artt. 52 e
10 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, 1° co.
lett. c) d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell’Esercito,
nella Marina e nell’Aeronautica) e dell’art. 16, co. 1°, l. 5 febbraio
1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte in cui prevedono l’assoggettamento
alla leva militare degli apolidi residenti nel territorio della Repubblica.
Infatti non è irragionevole l’estensione dell’obbligo del servizio
militare, previsto dall’art. 52, 2° co., Cost. per i cittadini - senza
peraltro circoscrivere in negativo i limiti soggettivi del dovere - agli apolidi
che partecipano della comunità dei diritti del luogo in cui hanno stabilito la
loro residenza. Né può affermarsi la violazione dell’art. 10 Cost. perché
una norma internazionale esiste per gli stranieri per escludere situazioni di
conflitto potenziale tra opposte lealtà, mentre per gli apolidi un tale
conflitto non è ipotizzabile.
Del resto la Costituzione impone una visione degli apparati militari dell’Italia
e del servizio militare stesso non finalizzata all’idea della potenza dello
Stato, ma a quella della garanzia della libertà dei popoli e dell’integrità
dell’ordinamento nazionale.
(Omissis)
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale militare di Torino dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 1, primo comma, lettera e), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237
(Leva e reclutamento obbligatorio nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica)
e dell’art. 16, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla
cittadinanza), nella parte in cui prevedono l’assoggettamento alla leva
militare degli apolidi residenti nel territorio della Repubblica. Le norme
denunciate violerebbero gli artt. 52, che riferisce ai cittadini il dovere di
difesa della Patria e il connesso obbligo del servizio militare, e 10 della
Costituzione, in relazione alla norma di diritto internazionale generale che
esenterebbe dagli obblighi militari coloro che non siano legati allo Stato dal
rapporto di cittadinanza.
2. - La questione non è fondata.
2.1. - L’art. 52 della Costituzione,
proclamando il "sacro dovere" di difesa della Patria e l’obbligatorietà
del servizio militare, nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge, si
riferisce ai cittadini italiani.
Tale riferimento è esplicito, per quanto riguarda il dovere di difesa; è
implicito per quanto riguarda l’obbligo del servizio militare, essendo
questo - pur se dotato di una sua autonomia concettuale e istituzionale
rispetto al dovere anzidetto, come precisato numerose volte e in relazione a
diverse fattispecie dalla giurisprudenza di questa Corte (ad esempio, sentenze
nn. 53 del 1967 e 164 del 1985) - un modo di rendere attuale il dovere di
difesa. Del resto, specificando nel secondo comma dell’art. 52 che l’adempimento
dell’obbligo di prestazione del servizio militare non pregiudica la
posizione lavorativa e l’esercizio dei diritti politici, la Costituzione si
riferisce espressamente ancora ai cittadini.
Tuttavia, l’anzidetta determinazione dell’ambito
personale di validità dell’obbligo costituzionale di prestazione del
servizio militare non esclude l’eventualità che la legge, in determinati
casi, ne stabilisca (come in effetti già ne stabiliva, al tempo dell’entrata
in vigore della Costituzione) l’estensione. La portata normativa della
disposizione costituzionale è infatti, palesemente, quella di stabilire in
positivo, non già di circoscrivere in negativo i limiti soggettivi del dovere
costituzionale.
In breve: il silenzio della norma costituzionale non comporta divieto. Perciò
deve ritenersi esistere uno spazio vuoto di diritto costituzionale nel quale
il legislatore può far uso del proprio potere discrezionale nell’apprezzare
ragioni che inducano a estendere la cerchia dei soggetti chiamati alla
prestazione del servizio militare.
Così, già nella sentenza n. 53 del 1967 di
questa Corte, dovendosi giudicare della legittimità costituzionale della
perdurante sottoposizione all’obbligo del servizio militare di un soggetto
che, col concorso della sua volontà, aveva perduto la cittadinanza italiana,
si rilevò che l’art. 52 della Costituzione «non esclude, sempre che siano
osservati i precetti dell’art. 10 della Costituzione e non siano violati
altri precetti costituzionali, che una legge possa» estendere l’obbligo,
«quando concorrano interessi che il legislatore consideri meritevoli di
tutela, anche a soggetti non in possesso della cittadinanza italiana».
L’art. 52 della Costituzione non può dunque ritenersi di per sé violato
dalle disposizioni censurate.
2.2. - L’estensione dell’ambito
soggettivo al di là di quanto prescritto dall’art. 52 della Costituzione
rappresenta tuttavia un’eccezione alla normale riferibilità ai cittadini
dell’obbligo di prestazione del servizio militare e, come tale, non è priva
di limiti e condizioni, secondo la stessa indicazione contenuta nella
ricordata sentenza n. 53 del 1967.
Il giudice rimettente dubita che tale estensione nei confronti dell’apolide
possa comportare violazione dell’art. 10, primo comma, della Costituzione,
per il tramite della violazione di una norma di diritto internazionale
generalmente riconosciuta: una norma che escluderebbe i non-cittadini dal
novero di coloro che possono essere chiamati a prestare il servizio militare.
Il dubbio non ha ragion d’essere.
Tra i non-cittadini sono compresi gli
stranieri e gli apolidi. Solo per i primi, tuttavia, può affermarsi l’esistenza
della norma internazionale anzidetta (sentenze nn. 974 del 1988 e 278 del
1992), nascente dall’esigenza di impedire il sorgere di situazioni di
conflitto potenziale tra opposte lealtà (si veda, oltre alle convenzioni
bilaterali in materia di servizio militare nei casi di doppia cittadinanza,
come ad esempio quelle cui hanno dato esecuzione le leggi 12 marzo 1977, n.
168, 5 maggio 1976, n. 401 e 12 luglio 1962, n. 1111, l’art. 5 della
Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963, cui ha dato esecuzione la legge 4
ottobre 1966, n. 876, sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli
obblighi militari in caso di cittadinanza plurima).
Ma per coloro che si trovano in posizione di apolidìa, un conflitto di tal
genere non è ipotizzabile per definizione. È per questo che le norme
internazionali, rimettendo la disciplina della condizione giuridica degli
apolidi alle legislazioni nazionali nel rispetto di una serie di diritti
fondamentali (artt. 2 e 12 della Convenzione di New York del 28 settembre
1954, relativa allo status degli apolidi, cui è stata data esecuzione in
Italia con la legge 1° febbraio 1962, n. 306), non fanno menzione alcuna di
una loro pretesa estraneità all’obbligo di prestazione del servizio
militare, cosicché nell’esperienza del diritto di altri Paesi, pur aderenti
a tale Convenzione, è possibile trovare norme similari a quelle del nostro
ordinamento, sottoposte al presente giudizio di costituzionalità.
Anche sotto il profilo della violazione dell’art. 10 della Costituzione, la
questione di costituzionalità sollevata dal giudice rimettente è infondata.
2.3. - D’altro canto deve rilevarsi, per
apprezzare la non-irragionevolezza della scelta del legislatore di estendere l’obbligo
militare agli apolidi residenti in Italia, la circostanza che essi godono di
un’ampia tutela, in tutti i campi diversi da quello della partecipazione
politica, come prescritto dalla citata Convenzione di New York del 28
settembre 1954 e dall’abbondante legislazione nazionale in materia di
rapporti civili e sociali che li riguarda, alla stessa stregua dei cittadini
italiani: una legislazione - culminata nell’affermazione di principio della
piena parità di trattamento e della piena uguaglianza di diritti tra apolidi
e cittadini italiani (artt. 1, comma 1, e 2, commi 1-5, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286) - che induce a ritenerli parti di una
comunità di diritti la partecipazione alla quale ben può giustificare la
sottoposizione a doveri funzionali alla sua difesa. Tale comunità di diritti
e di doveri, più ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della
cittadinanza in senso stretto, accoglie e accomuna tutti coloro che, quasi
come in una seconda cittadinanza, ricevono diritti e restituiscono doveri,
secondo quanto risulta dall’art. 2 della Costituzione là dove, parlando di
diritti inviolabili dell’uomo e richiedendo l’adempimento dei
corrispettivi doveri di solidarietà, prescinde del tutto, per l’appunto,
dal legame stretto di cittadinanza.
Una conclusione, questa, in relazione al
dovere di difesa, cui è possibile pervenire perché e in quanto la
Costituzione (artt. 11 e 52, primo comma) impone una visione degli apparati
militari dell’Italia e del servizio militare stesso non più finalizzata all’idea
della potenza dello Stato o, come si è detto in relazione al passato, dello
"Stato di potenza", ma legata invece all’idea della garanzia della
libertà dei popoli e dell’integrità dell’ordinamento nazionale, come
risultante anche dall’art. 1 della legge 24 dicembre 1986, n. 958 (Norme sul
servizio militare di leva e sulla ferma di leva prolungata) e dall’art. 1
della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina
militare).
Realizzandosi queste condizioni, non appare privo di ragionevolezza richiedere
agli apolidi - i quali partecipano di quella comunità di diritti di cui si è
detto in base a una scelta non giuridicamente imposta circa lo stabilimento
della propria residenza - l’adempimento del dovere di prestazione del
servizio militare, quale previsto dalle disposizioni legislative sottoposte al
presente giudizio di costituzionalità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1,
primo comma, lettera e), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e
reclutamento obbligatorio nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica) e
16, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza)
sollevata, in riferimento agli artt. 10 e 52 della Costituzione, dal Tribunale
militare di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.
(omissis)
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