«Con sentenza di primo grado pronunziata il
18/6/98 il Tribunale militare di Napoli ha condannato C. A., Maresciallo Capo
dell’Esercito, alla pena di mesi otto di reclusione militare per il reato di
truffa militare pluriaggravata e continuata (artt. 234 co. 1 e 2 n.1, 47 n.2
c.p.m.p., 81 cpv. cp) consistente nell’avere indotto in errore il servizio
amministrativo e l’ufficio liquidatore al fine di ottenere il
rimborso delle spese di missione in misura superiore a quelle
effettivamente sostenute.
Sulla base delle dichiarazioni del Maresciallo dei Carabinieri P.A., agente
provocatore che si era recato presso l’hotel per accertare le modalità della
truffa, dichiarazioni poi confermate dalla perizia effettuata sul sistema
informatico usato dall’albergo e sui dati in esso contenuti, il Tribunale ha
accertato le modalità del vasto fenomeno di truffa realizzato mediante le false
ricevute fiscali rilasciate ai militari in missione ed ha ritenuto in
particolare che l’imputato ha presentato ricevute fiscali indicanti un esborso
superiore a quello versato per l’uso della camera ed ha così ottenuto il
rimborso della maggior somma di lire 296.000 a fronte di un esborso effettivo di
sole lire 147.400.
La pena è stata ridotta a mesi due, convertita nella multa di lire 6.000.000,
dalla Corte militare di appello di Napoli, con sentenza pronunziata il 7/4/1999,
per effetto della concessione della attenuante del danno di lieve entità
prevista dall’art. 62 n. 4 Cp.
I giudici di appello hanno invece confermato la affermazione di responsabilità
disattendendo la eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata con
riferimento alla natura militare del reato, e la richiesta di rinnovazione
parziale del dibattimento allo scopo di acquisire documentazione relativa ai
prezzi delle camere effettivamente praticati dall’hotel e copie di decisioni
di altri organi giudiziari per fatti analoghi. Hanno osservato da un lato che il
reato ha certamente natura militare in quanto la truffa è stata commessa da un
militare in danno della amministrazione, dall’altro lato che i documenti di
cui si è chiesta la acquisizione sono superflui ed irrilevanti.
Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
personalmente, deducendo nell’ordine:
difetto di giurisdizione del giudice
militare perché il reato di truffa contestato non ha natura militare in
quanto il danno relativo ricadrebbe sul Ministero delle Finanze e perciò su
un organo della pubblica amministrazione ma non di quella militare;
mancata acquisizione di prova decisiva
diretta a dimostrare che il costo della camera pagato ed indicato nelle
ricevute fiscali corrisponde esattamente a quello comunicato dal titolare
dell’albergo alla A.P.T. di Roma;
carenza e illogicità della motivazione
nella parte in cui le modalità della truffa sono state ricostruite sulla
base delle dichiarazioni dell’agente provocatore.
Tutti i motivi di ricorso sono infondati.
1 - Con riferimento alla giurisdizione del giudice militare, contestata sotto il
profilo della natura non militare del reato di truffa contestato, questa Corte
conferma la tesi, costantemente seguita dalla giurisprudenza di merito e di
legittimità, secondo cui il reato previsto dall’art. 234 C.p.m.p., pur
ricalcando lo schema normativo della truffa comune semplice o aggravata, come
disciplinata dall’art. 640 C.p., se ne differenzia tuttavia nella parte in cui
prevede che il soggetto danneggiato sia un altro militare (ipotesi semplice) o l’amministrazione
militare (ipotesi aggravata).
Ne consegue che la truffa prevista dal codice penale militare costituisce un
reato militare, diverso dalla truffa comune prevista dal codice penale, ed
appartiene alla giurisdizione dei tribunali militari, a sensi dell’art. 103,
co. 3, della Costituzione, quando sia stato commesso da un appartenente alle
Forze Armate.
Nel caso concreto è certo che l’imputato è un militare in servizio ed
appartenente alle Forze Armate, che ha commesso la truffa inducendo in errore
gli organi amministrativi del reparto di appartenenza allo scopo di ottenere il
rimborso delle spese di missione in misura superiore a quella effettivamente
sostenuta. Il danno è stato perciò certamente subito dalla amministrazione
militare di appartenenza, che ha dovuto liquidare e pagare somme non interamente
dovute.
La tesi ora sostenuta dal ricorrente, nel senso che l’amministrazione
danneggiata sarebbe il Ministero delle Finanze, non ha fondamento. Il rimborso
delle spese di missione è infatti imputato all’apposito capitolo di bilancio
del Ministero della Difesa, non essendo certamente applicabile il regolamento di
amministrazione della Guardia di Finanza che è stato indicato a sostegno della
tesi difensiva. Così come non ha alcuna attinenza con il caso ora deciso la
sentenza 18/7-24/9/1994 n. 10138, Baldassarre, di questa Sezione, anch’essa
citata a sostegno della tesi della natura non militare della truffa in oggetto.
La decisione si riferisce infatti alla applicabilità dell’indulto, previsto
per la truffa comune, anche alla truffa militare e costituisce una conferma
indiretta della natura militare della truffa prevista dall’art. 234 C.p.m.p.
per la cui configurabilità è richiesto che il danno ricada su un altro
militare o sulla amministrazione militare.
2 - Infondato è anche il secondo motivo con il quale è stata censurata la
mancata acquisizione della prova, ritenuta decisiva, diretta a dimostrare che il
costo della camera indicato nelle ricevute fiscali corrisponde esattamente a
quello dichiarato alla Azienda Provinciale del Turismo di Roma. La circostanza
infatti correttamente è stata ritenuta irrilevante perché è stato accertato,
in punto di fatto, che l’imputato ha pagato, per effetto della applicazione
del sistema degli sconti, abitualmente praticato dall’albergo nei confronti
dei militari in missione, un prezzo inferiore a quello dichiarato.
3 - Infine è infondata la censura contenuta nel terzo motivo e relativa alla
presunta illogicità della motivazione nella parte in cui avrebbe ricostruito lo
svolgimento dei fatti sulla base delle dichiarazioni del teste P., agente
provocatore. La sentenza ha infatti logicamente messo in evidenza la conferma
che le dichiarazioni del teste hanno trovato nelle risultanze dell’esame
peritale compiuto sui dati contabili contenuti nell’archivio informatico dell’albergo
e nel programma che il personale addetto alla contabilità utilizzava per
gestire il sistema degli sconti.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali».
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