Polizia giudiziaria - Sanzioni disciplinari -
Procedimento - Ricorso per cassazione avverso la decisione della commissione di
secondo grado - Violazione dell’art. 102 Cost. - Illegittimità
costituzionale.
(Cost. art. 102, 2° co.; d. lgs. 28 luglio
1989, n. 271, art. 18, 5° co.)
Corte Costituzionale, sentenza n. 394 del 25
novembre - 4 dicembre 1998 - Pres. Granata - Rel. Mirabelli.
È costituzionalmente illegittimo, per
contrasto con l’art. 102, 2° co., Cost. che vieta l’istituzione di giudici
speciali, l’art. 18, 5° co., d. lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di
attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) che -
nel procedimento disciplinare nei confronti degli ufficiali e degli agenti di
polizia giudiziaria per le trasgressioni relative alle loro funzioni - prevede
che, avverso la decisione della commissione di secondo grado, l’incolpato e il
procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre ricorso per
cassazione per violazione di legge.
Le commissioni, di conseguenza, assumono la configurazione di organi
disciplinari amministrativi, avverso le cui decisioni sono esperibili gli
ordinari rimedi giurisdizionali.
(Omissis)
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte di
cassazione, investe le norme di attuazione del codice di procedura penale che
regolano il procedimento disciplinare nei confronti degli ufficiali e degli
agenti di polizia giudiziaria per le trasgressioni relative all’esercizio di
tali loro funzioni, distinte dalle altre trasgressioni, per le quali essi
rimangono soggetti alle sanzioni disciplinari stabilite dagli ordinamenti delle
amministrazioni di appartenenza. Gli artt. 16, 17 e 18 delle norme approvate con
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (che disciplinano, rispettivamente,
le sanzioni disciplinari, il procedimento ed i ricorsi contro le decisioni delle
commissioni di disciplina), configurerebbero l’istituzione di un giudice
speciale, in contrasto con l’art. 102, secondo comma, della Costituzione. In
particolare la possibilità di proporre direttamente ricorso per cassazione, per
violazione di legge, contro le decisioni della commissione di secondo grado,
costituita presso il ministero di grazia e giustizia, qualificherebbe come
giurisdizionale (anziché come amministrativa, nonostante la natura delle
sanzioni) l’attività delle commissioni di disciplina.
2. - La questione è fondata, nei limiti di
seguito precisati.
2.1. - Le disposizioni denunciate vanno
inquadrate nel contesto delle norme del codice di procedura penale le quali,
in attuazione del precetto costituzionale che attribuisce all’autorità
giudiziaria il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria (art.
109 Cost.), stabiliscono che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte
alle dipendenze e sotto la direzione della stessa autorità: dalle apposite
sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica,
dai servizi di polizia giudiziaria inquadrati presso le diverse
amministrazioni cui tale compito sia rimesso, dagli ufficiali e dagli agenti
di polizia giudiziaria appartenenti ad altri organi, che hanno l’obbligo di
compiere indagini a seguito di una notizia di reato (art. 56 cod. proc. pen.).
Mentre lo stato giuridico del personale che svolge funzioni di polizia
giudiziaria rimane disciplinato dagli ordinamenti delle amministrazioni di
appartenenza (art. 10 disp. att. cod. proc. pen.), anche quando esso è
inquadrato nell’organico delle sezioni di polizia giudiziaria, vi è sempre,
in tutte le distinte configurazioni organizzative, un diretto legame
funzionale con l’autorità giudiziaria, che si riflette in vario modo sulle
condizioni sia di stato che di impiego degli addetti.
Questa duplice dipendenza (dall’amministrazione di appartenenza e, per l’esercizio
delle funzioni di polizia giudiziaria, dall’autorità giudiziaria) determina
la soggezione alle sanzioni disciplinari stabilite dall’ordinamento proprio
di ciascun ufficiale o agente ed applicate dagli organi amministrativi
competenti, e, ad un tempo, la soggezione distinta alle sanzioni disciplinari
specificamente previste per le trasgressioni relative alle funzioni di polizia
giudiziaria, comminate da organi appositi (art. 16 disp. att. cod. proc. pen.).
Per queste ultime trasgressioni, difatti, le sanzioni disciplinari sono
applicate da commissioni di disciplina nelle quali è prevalente la presenza
di magistrati rispetto a quella di una rappresentanza dell’amministrazione
di appartenenza dell’incolpato.
La struttura e la funzione di tali
commissioni non sono dissimili da quelle di ogni altro organo collegiale cui
sia rimesso il giudizio sulle trasgressioni disciplinari e l’applicazione
delle relative sanzioni. Né la disciplina del procedimento (art. 17 disp.
att. cod. proc. pen.) vale di per sé a caratterizzarlo come giurisdizionale,
giacché le garanzie di contestazione dell’addebito e di difesa e gli atti
del procedimento, per il quale si osservano, in quanto applicabili, le
disposizioni dell’art. 127 cod. proc. pen., non si discostano da principi
comuni ai diversi procedimenti disciplinari.
Difatti l’esercizio della funzione disciplinare nell’ambito del pubblico
impiego, della magistratura, come pure di alcune professioni, si esprime con
modalità diverse ma affini. I relativi procedimenti sono normalmente
caratterizzati come amministrativi; talvolta come giurisdizionali, non per una
loro diversa struttura e funzione, ma in continuità con una disciplina
normativa radicata in epoca anteriore alla Costituzione (sentenze n. 145 del
1976, n. 380 del 1992 e n. 52 del 1998). Anche quando tali procedimenti si
svolgano dinanzi a consigli amministrativi di disciplina, essi presentano
numerosi punti di contatto con i procedimenti giurisdizionali, tanto che in
dottrina non si è mancato di sottolineare che essi, di regola, si conformano
a questi ultimi. Non senza ragione: il carattere delle sanzioni disciplinari,
idonee ad incidere sulla dignità della persona nell’ambito della sua
comunità di lavoro, oltre che sullo stato giuridico nell’impiego o nella
professione, richiede che il relativo procedimento rispetti garanzie che,
nella loro espressione essenziale, caratterizzano il procedimento
disciplinare, sia che esso abbia veste amministrativa sia che assuma quella
giurisdizionale (sentenza n. 71 del 1995).
Pertanto la regolamentazione del
procedimento dinanzi alle commissioni di disciplina non vale, di per sé, a
qualificarle come organi di giurisdizione. È invece, come ha sottolineato il
giudice rimettente nel sollecitare il giudizio di legittimità costituzionale,
la prevista possibilità di impugnare la decisione disciplinare proponendo
ricorso alla Corte di cassazione, per violazione di legge (art. 18, comma 5,
disp. att. cod. proc. pen.), a far pervenire a tale qualificazione. Ciò
perché, nel nostro sistema, il ricorso per cassazione è diretto al controllo
su provvedimenti di natura giurisdizionale (sentenza n. 284 del 1986). Il tipo
di impugnazione e l’organo cui essa è rivolta valgono a qualificare, con la
natura della decisione impugnata, quella dell’organo che l’ha emessa.
2.2. - Nell’attribuire l’esercizio della
funzione giurisdizionale a magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle
norme sull’ordinamento giudiziario, la Costituzione (art. 102, secondo
comma) vieta la istituzione di giudici straordinari o speciali, consentendo
soltanto l’istituzione, presso gli organi giudiziari ordinari, di sezioni
specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di
cittadini idonei estranei alla magistratura.
Le commissioni per i procedimenti disciplinari nei confronti degli ufficiali
ed agenti di polizia giudiziaria, qualificate come giurisdizionali
essenzialmente in ragione del tipo di gravame previsto per i loro
provvedimenti, non possono essere considerate sezioni specializzate di organi
giudiziari ordinari. Composte da due magistrati nominati dal consiglio
giudiziario (per le commissioni di primo grado) o dal Consiglio superiore
della magistratura (per la commissione di secondo grado che ha sede presso il
ministero di grazia e giustizia) e da un ufficiale di polizia giudiziaria
nominato dall’amministrazione di appartenenza dell’incolpato (artt. 17 e
18 disp. att. cod. proc. pen.), esse non sono in alcun modo incardinate presso
un organo giudiziario ordinario, cui accedano componenti estranei alla
magistratura (cfr. sentenza n. 83 del 1998). Né si tratta di organi
disciplinari preesistenti alla Costituzione, per i quali, in ipotesi, si possa
richiamare la VI disposizione transitoria e finale della Costituzione per
sostenerne la sopravvivenza come giudici speciali (cfr. sentenze n. 284 del
1986 e n. 380 del 1992).
Il sistema disciplinare per gli ufficiali e
gli agenti di polizia giudiziaria si pone, dunque, in contrasto con il divieto
costituzionale di istituire giudici speciali. La illegittimità costituzionale
non si estende tuttavia alla disciplina del procedimento ed all’esistenza
delle commissioni, ma è limitata alla norma che, nelle disposizioni
denunciate, vale a configurare come giurisdizionale l’attività delle
commissioni di disciplina e quindi a connotare le stesse come giudice
speciale. Dipendendo tale qualificazione dalla prevista possibilità di
proporre direttamente ricorso per cassazione contro le pronunce della
commissione di secondo grado (art. 18, comma 5, disp. att. cod. proc. pen.),
è sufficiente dichiarare l’illegittimità costituzionale di tale norma per
superare i vizi denunciati.
Ne segue che le commissioni assumono la configurazione di organi disciplinari
amministrativi, nei confronti delle cui decisioni rimangono esperibili gli
ordinari rimedi giurisdizionali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto
legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale).
(omissis)
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