Ordinanza 409/2000
Giudizio GIUDIZIO DI
LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente MIRABELLI
Relatore FLICK
Camera di Consiglio del 24/05/2000
Decisione del 13/07/2000
Deposito del 31/07/2000
Pubblicazione in G. U. 09/08/2000
Ordinanze di rimessione
246/1999
Massime: 25678
N. 409
ORDINANZA 13-31 LUGLIO 2000 Giudizio di
legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati militari - Reati puniti
con la reclusione militare non superiore a sei mesi - Richiesta di procedimento
del comandante del corpo - Omessa previsione dell'obbligo di motivazione -
Conseguente inibizione del controllo giurisdizionale sul corretto esercizio del
potere attribuito al comandante - Lamentato contrasto con i principî di
imparzialita' e di buon andamento dell'amministrazione, e con il principio di
eguaglianza, rispetto al diverso regime della generalita' degli atti
amministrativi (ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241) - Premessa
interpretativa, in ordine alla natura dell'atto, contrastante con l'orientamento
giurisprudenziale del giudice di - Assenza di argomenti nuovi rispetto a
precedenti decisioni costituzionali di rigetto - Manifesta infondatezza della
questione. - Cod. pen. mil. pace, art. 260. - Costituzione, artt. 3 e 97.
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI,
Fernando SANTOSUOSSO,
Massimo VARI,
Cesare RUPERTO,
Riccardo CHIEPPA,
Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda CONTRI,
Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI,
Annibale MARINI,
Franco BILE,
Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel
giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 260 del codice penale militare
di pace, promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio 1999 dal Tribunale militare
di Torino nei procedimenti penali riuniti a carico di Martino Walter, iscritta
al n. 246 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1999. Visto l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio del ministri; Udito nella camera di
consiglio del 24 maggio 2000 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto
che, con ordinanza emessa il 12 gennaio 1999 nel corso di un procedimento nei
confronti di persona imputata del reato di allontanamento illecito, previsto
dall'art. 147 del codice penale militare di pace, il Tribunale militare di
Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 260 del codice penale
militare di pace, nella parte in cui non prevede che la richiesta di
procedimento del comandante del corpo o di altro ente superiore, da cui dipende
il militare colpevole - alla quale e' subordinata la perseguibilita' dei reati
puniti con la reclusione militare non superiore a sei mesi - debba essere
motivata;che il rimettente premette che, nel giudizio a quo l'azione penale e'
stata promossa - cosi' come consentito, allo stato, dalla norma denunciata -
sulla base di due richieste di procedimento del tutto prive di motivazione; che,
ad avviso del rimettente, la richiesta di procedimento del comandante del corpo
non potrebbe essere assimilata alla querela - in quanto volta alla tutela di
interessi pubblicistici, e non privatistici - ma andrebbe qualificata come atto
oggettivamente amministrativo, concretandosi in una manifestazione di volonta'
proveniente da un organo della pubblica amministrazione, avente rilevanza
esterna, riferita ad un caso concreto ed indirizzata ad un destinatario
determinato; che, in tale ottica, la norma impugnata violerebbe, in parte qua i
principi di imparzialita' e di buon andamento dell'azione amministrativa,
giacche' la mancata previsione dell'obbligo di motivazione impedirebbe il
controllo giurisdizionale sul corretto esercizio del potere discrezionale
attribuito al comandante e l'eventuale disapplicazione della richiesta, ai sensi
dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, nel caso di
accertata insussistenza dell'interesse pubblico alla punizione del reo nello
specifico frangente;che risulterebbe altresi' compromesso il principio di
uguaglianza, sia a fronte del diverso regime riservato alla richiesta di
procedimento rispetto alla generalita' degli atti amministrativi, per i quali
l'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 prescrive la motivazione e che,
attraverso la stessa, possono essere sottoposti a controllo giurisdizionale; sia
in rapporto alle disparita' di trattamento che, in conseguenza delle
insindacabili determinazioni del comandante del corpo, sono suscettive di
verificarsi tra soggetti responsabili di identici fatti (ad esempio, nel caso di
ingiurie reciproche, il comandante potrebbe proporre la richiesta nei confronti
di uno soltanto dei militari coinvolti, in quanto legato all'altro da vincoli di
amicizia); che la rilevanza della questione si lega, nella contingenza, alla
circostanza che, in caso di suo accoglimento, l'imputato potrebbe essere
prosciolto dal reato contestatogli, previa disapplicazione delle due richieste
di procedimento proposte nei suoi confronti, in quanto affatto immotivate;che e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria
di inammissibilita' e infondatezza della questione; che l'Avvocatura erariale
rileva segnatamente, in primo luogo, che la violazione dell'art. 3 Cost.,
dedotta dal rimettente, e' gia' stata esclusa da questa Corte con sentenza n.
114 del 1982; in secondo luogo, che il precetto dell'art. 97, primo comma, della
Costituzione attiene alla materia dell'organizzazione dei pubblici uffici, e non
anche all'attivita' amministrativa incidente sulla sfera soggettiva dei privati;
e, da ultimo, che l'obbligo di motivazione non costituisce, per gli atti
amministrativi, a differenza che per quelli giurisdizionali, un principio
costituzionalmente garantito. Considerato che, secondo quanto piu' volte
affermato da questa Corte, l'istituto della richiesta di procedimento del
comandante del corpo, previsto dall'art. 260 del codice penale militare di pace,
trova la sua giustificazione nell'opportunita' di affidare al comandante, di
fronte a condotte prive di rilevante attitudine offensiva, una facolta' di
scelta tra l'adozione di provvedimenti di natura esclusivamente disciplinare ed
il ricorso all'ordinaria azione penale, evitando che l'esercizio incondizionato
di quest'ultima determini un pregiudizio - in termini di menomazione del
prestigio e della dignita' delle forze armate - proporzionalmente maggiore di
quello prodotto dal reato (cfr. sentenze nn. 449 del 1991 e 42 del 1975, nonche'
ordinanze nn. 396 del 1996 e 189 del 1976): e cio' anche in correlazione all'estraneita'
al diritto penale militare dell'istituto della querela, incompatibile con le
caratteristiche dei reati militari, nei quali e' sempre insita "un'offesa
alla disciplina e al servizio, una lesione quindi di un interesse eminentemente
pubblico che non tollera subordinazione all'interesse privato caratteristico
della querela" (cfr. sentenze nn. 449 del 1991 e 42 del 1975, nonche'
ordinanza n. 229 del 1988); che, tanto ribadito, la premessa interpretativa da
cui muove il giudice a quo - in forza della quale la richiesta di procedimento
del comandante del corpo andrebbe qualificata come atto oggettivamente
amministrativo - si pone in aperto contrasto con l'orientamento della
giurisprudenza di legittimita', che cataloga per converso la richiesta (pur
concretante un atto amministrativo a parte subiecti) fra i veri e propri atti
processuali, stante il suo inserimento nell'iter del processo penale,
necessariamente sfociante nella valutazione giurisdizionale, non solo della
sussistenza e della attribuibilita' del fatto oggetto della richiesta stessa, ma
anche della ritualita' di tutta la relativa attivita' procedimentale; che il
ricordato orientamento giurisprudenziale e', d'altro canto, in sintonia con le
indicazioni di questa Corte, la quale - sia pure nella cornice della risoluzione
di questioni di legittimita' costituzionale di diverso taglio - ha costantemente
riconosciuto natura processuale all'atto in parola (cfr. ordinanze nn. 467 del
1995; 238, 293 e 295 del 1992; 397 del 1987);che l'esclusione dell'obbligo di
motivazione, censurata dal giudice a quo, rappresenta proprio un corollario, di
ordine interpretativo, della classificazione della richiesta come atto
processuale; classificazione la quale - al lume dell'accennato indirizzo della
Corte di cassazione, peraltro apprezzabile in termini di diritto vivente - vale
a sottrarla all'applicazione del generale disposto dell'art. 3 della legge n.
241 del 1990: e cio' in coerenza con la funzione dell'istituto, che da un lato
si sovrappone, escludendola, alla querela prevista dal diritto penale comune e,
dall'altro lato, rientra nella generale categoria delle richieste di
procedimento di competenza dell'autorita' amministrativa, cui e' riferimento
nell'art. 342 cod. proc. pen., caratterizzate da un'ampia e non vincolata
discrezionalita';che tale ricostruzione del quadro normativo e' avvalorata -
sempre alla stregua del ricordato orientamento giurisprudenziale - anche dalla
concreta disciplina dell'istituto, caratterizzata dal regime di irrevocabilita'
della richiesta (art. 129 cod. pen.) e dalla mancanza (incompatibile con la
pretesa natura di atto oggettivamente amministrativo) di qualsiasi forma di
autotutela dell'amministrazione o di reclamo da parte dell'interessato; una
prospettiva nella quale il sindacato del giudice penale resta quindi
circoscritto alla verifica della competenza del richiedente, dei requisiti
formali e della tempestivita' dell'atto, senza che ne sia ammessa la
disapplicazione, ad esempio, per la mancata astensione in presenza di un
interesse personale dell'autore della richiesta: ed e' proprio per tale ragione
che si e' reso necessario l'intervento di questa Corte (con sentenza n. 449 del
1991) al fine di escludere (trasferendola al comandante di ente superiore) la
competenza del comandante del corpo allorche' questi sia la persona offesa dal
reato; che, peraltro, anche a prescindere da tali ultimi rilievi, risulta in
ogni caso evidente il vizio logico che affetta la prospettazione del giudice a
quo allorche' dalla qualificazione della richiesta come atto oggettivamente
amministrativo fa discendere l'illegittimita' costituzionale della norma
denunciata, sotto il profilo del "trattamento privilegiato" da essa
riservato all'atto in discorso - in punto di esonero dall'obbligo di motivazione
- rispetto alla generalita' degli altri atti amministrativi;che, infatti, se
l'accennata premessa ermeneutica fosse corretta, cadrebbe eo ipso anche il
corollario cui il dubbio di costituzionalita' si connette; laddove, al
contrario, e' dalla differente classificazione dell'atto che discendono, ad un
tempo, il corollario stesso e l'esclusione della ipotizzata frizione con il
principio di uguaglianza e di ragionevolezza, risultando la diversita' di regime
conseguenziale alle peculiari connotazioni dell'atto avuto di mira; che, quanto
al resto, le censure del rimettente ripropongono - traslate dal piano della
legittimita' dell'istituto in se' a quello del controllo sulla motivazione -
dubbi di costituzionalita' gia' piu' volte esaminati e disattesi da questa
Corte, senza che risultino addotti argomenti nuovi atti a giustificare un
eventuale mutamento di indirizzo; che, in particolare, la Corte ha chiarito che
la possibile disparita' di trattamento tra i colpevoli di reati militari, come
conseguenza delle insindacabili determinazioni del comandante del corpo, non
pone la norma denunciata in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto la
discrezionalita' nell'applicazione della legge, attribuita al comandante - al
quale, peraltro, e' doveroso accreditare doti di imparzialita' e distacco (cfr.
sentenza n. 449 del 1991, nonche' ordinanze nn. 396 del 1996 e 467 del 1995) -
"non puo' dar luogo a violazioni apprezzabili sotto il profilo della
violazione del principio di uguaglianza" (cfr. sentenza n. 114 del 1982,
nonche' ordinanze nn. 112 del 1981 e 60 del 1978); che, del pari, si e' escluso
che l'istituto della richiesta di procedimento, risolvendosi nell'attribuzione
al comandante del corpo di un potere svincolato da ogni controllo, leda il
principio del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica
amministrazione, stante la non arbitrarieta' della disciplina dettata dal
legislatore ordinario in rapporto agli obiettivi perseguiti dalla previsione
normativa (cfr. ordinanze nn. 112 del 1981 e 60 del 1978). Visti gli artt. 26,
secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 260 del codice penale
militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della
Costituzione, dal Tribunale militare di Torino con l'ordinanza in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2000. Il Presidente:
Mirabelli
Il redattore: Flick Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 31 luglio 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola
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