CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV -
837 (ord.) - 2 giugno 1998 - Pres. Iannotta, est. Baccarini - Vistp l’appello
proposto da Pallotta Ernesto (Avv. Rienzi) quale legale rappresentante
dell’Associazione Unarma, ed altri, contro il Ministero della
Difesa (Avv. Stato De Figueiredo).
Militare e militarizzato - Generalità
- Divieto di costituzione di associazioni professionali a carattere sindacale e
di adesione ad altre associazioni sindacali - Ex art. 8, comma 1°, L. 11 luglio
1978 n. 382 - Violazione del principio di eguaglianza, sotto il profilo
dell’irragionevolezza e del deteriore trattamento dei militari rispetto alle
Forze di polizia ad ordinamento civile - Incidenza sui principi della libertà
sindacale e dell’ispirazione a principi democratici dell’ordinamento delle
Forze armate - Questione di legittimità costituzionale - Va sollevata. (L. 11
luglio 1978 n. 382, art. 8, primo comma, ultimo periodo) (Cost., artt.3,39 e 52,
terzo comma). Va sollevata - in riferimento agli artt.39, 52, terzo comma e 3
Cost. - questione di legittimità costituzionale dell’art.8, primo comma,
ultima parte, della legge 11 luglio 1978 n. 382 (il quale stabilisce che:
"I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire
associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni
sindacali"), limitatamente al divieto di costituire associazioni
professionali a carattere sindacale ed aderire ad altre associazioni sindacali.
DIRITTO:
1- Occorre preliminarmente
ordinare d’ufficio (cfr. Cass., 3 novembre 1994 n. 9040; 23 maggio 1990 n.
4651), ai sensi dell’art.89 c.p.c., la cancellazione, siccome sconvenienti,
delle espressioni attinenti ad un terzo, qui non in grado di difendersi, per
fatti tuttora oggetto di indagine penale ed estranei all’oggetto del giudizio,
contenute nella memoria degli appellanti del 21 maggio 1998 (dalle parole:
"è emblematico il caso..." di cui all’ultima riga di p.6 alla
seconda di p.7).
2.- I dinieghi di costituire
associazioni professionali a carattere sindacale o di aderire ad associazioni
sindacali già costituite, che formano oggetto del presente appello, sono stati
pronunciati sul fondamento dell’art.8, primo comma della legge 11 luglio 1978
n. 382, che così dispone: "I militari non possono esercitare il diritto di
sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire
ad altre associazioni sindacali". Ciò rende rilevante la questione di
legittimità costituzionale della disposizione predetta, sollevata con il terzo
motivo di ricorso in primo grado, qui riproposto. Il divieto di esercizio del
diritto di sciopero, contenuto nella prima proposizione del comma 1 della
disposizione in esame, non è in contestazione.
3.- La posizione degli
appartenenti all’ordinamento militare va valutata, in conformità alla
giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo un criterio di bilanciamento
di valori: tra la natura del servizio militare, che richiede necessariamente,
per l’efficienza dell’organizzazione, gerarchia e disciplina, e i diritti
costituzionali spettanti ai cittadini, ai quali fa, riferimento l’art.52,
terzo comma Cost., che dispone che l’ordinamento delle Forze armate si informa
allo spirito democratico della Repubblica. In questo senso, dispone anche
l’art.3, primo comma della legge 11 luglio 1978 n. 382: "Ai militari
spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini.
Per garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate la legge
impone ai militari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché
l’osservanza di particolari doveri nell’ambito dei principi
costituzionali". In questa prospettiva, compito dell’interprete è quello
di esaminare la questione di specie nell'ambito del quadro normativo
complessivo, al fine di verificare la ragionevolezza della scelta del
legislatore. Così, la Corte costituzionale: con sentenza n. 126 del 1985, ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.180, primo comma, c.p.m.p.,
che puniva il fatto del militare che avesse presentato un reclamo collettivo,
scritto o verbale, in riferimento all’art.21 Cost., segnalando che: "è
da ritenere che la pacifica manifestazione di dissenso dei militari nei
confronti dell’autorità militare - anche e soprattutto in forma collettiva
per l’espressione di esigenze collettive attinenti alla disciplina o al
servizio - non soltanto concorra alla garanzia di pretese fondate o
astrattamente formulabili sulla base della normativa vigente e quindi
all’attuazione di questa, ma promuova lo sviluppo in senso democratico
dell’ordinamento delle Forze armate e quindi concorra ad attuare i
comandamenti della Costituzione"; con sentenza n. 24 del 1989, ha
dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art.184, secondo comma, c.p.m.p., che punisce le riunioni arbitrarie di
militari in luoghi di militari, nei sensi di cui in motivazione, segnalando che
"riunioni/arbitrarie sono soltanto quelle a carattere sedizioso o rivoltoso
e che la riunione, se è pacifica e disarmata e se è diretta a trattare senza
animosità di cose attinenti al servizio o alla disciplina nell’intento di un
inserimento partecipativo alla vita della caserma, lungi dall’essere
pericolosa, può rappresentare mezzo di promozione e di sviluppo in senso
democratico dell’ordinamento delle Forze armate"; con sentenza n. 37 del
1992, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.15 secondo
comma della legge 11 luglio 1978 n. 382 nella parte in cui non prevede che il
militare sottoposto a procedimento disciplinare ha la facoltà di indicare come
difensore nel procedimento stesso un altro militare non appartenente
all’ente" nel quale egli presta servizio, segnalando che "il
condizionamento derivante dal vincolo di subordinazione gerarchica che
caratterizza l’ambiente di vita del difensore può esser tale, in alcuni casi,
da non garantire l’espletamento del mandato in modo adeguatamente imparziale e
indipendente da pressioni esterne". Per effetto di tali pronunce, che hanno
riconosciuto sia la liceità penale dei reclami collettivi e delle riunioni a
carattere non sedizioso nè rivoltoso, sia la facoltà dell’incolpato di
nominare difensore anche un militare non appartenente all'ente presso cui presta
servizio, la sfera del collettivo e della solidarietà tra militari si è
significativamente ampliata.
4.1.- Per quanto attiene al
quadro normativo, ai militari è fatto divieto, oltre che di esercitare il
diritto di sciopero, di costituire associazioni professionali a carattere
sindacale e di aderire ad altre associazioni sindacali (art. 8, primo comma,
legge n. 382/1978). I militari in servizio di leva e quelli richiamati in
temporaneo servizio, peraltro, possono iscriversi o permanere associati ad
organizzazioni sindacali di categoria, ma è fatto loro divieto di svolgere
attività sindacale quando:
svolgono attività di
servizio;
sono in luoghi militari o
comunque destinati al servizio;
indossano l'uniforme;
si qualificano, in relazione
ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in
divisa o che si qualificano come tali (artt. 8, comma 2, e 5, comma 3, legge
n. 382 cit.).
La costituzione di
associazioni o circoli fra militari è ammessa, anche se subordinata al
preventivo assenso del Ministro della difesa (art. 8, comma 3, legge n. 382
cit.).
4.2.- Inoltre esistono organi
rappresentativi - centrale, intermedi e di base - dei militari, eletti con voto
diretto, nominativo e segreto (art. 18, legge n. 382/1978), competenti alla
formulazione di pareri, di proposte e di richieste su tutte le materie che
formano oggetto di norme legislative o regolamentari circa la condizione, il
trattamento, la tutela - di natura giuridica, economica, previdenziale,
sanitaria, culturale e morale - dei militari (art. 19, legge n. 382/1978). Gli
organi rappresentativi hanno inoltre la funzione di prospettare le istanze di
carattere collettivo, relative ai seguenti campi di interesse: conservazione dei
posti di lavoro durante il servizio militare, qualificazione professionale,
inserimento nell’attività lavorativa di coloro che cessano dal servizio
militare; provvidenze per gli infortuni subiti e per le infermità contratte in
servizio e per causa di servizio; attività assistenziali, culturali, ricreative
e di promozione sociale, anche a favore dei familiari; organizzazione delle sale
convegno e delle mense; condizioni igienico-sanitarie; alloggi (art. 19 cit.).
4.3.- Infine, i militari
concorrono, mediante partecipazione degli organi di rappresentanza alla
concertazione dei ministri competenti, al procedimento di formazione dei
provvedimenti che disciplinano il contenuto del rapporto d’impiego delle Forze
di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate, ai sensi dell’art.2
della legge 6 marzo 1992 n. 216 e del conseguente d.lgs. 12 maggio 1995 n. 195.
A tal proposito, i motivi aggiunti proposti dagli appellanti per denunciare la
legittimità costituzionale del d.lgs. n.195/1995 sono inammissibili, perchè
trattasi di disposizioni di cui i provvedimenti impugnati non fanno
applicazione.
5.l.- Ciò posto, appare
dubbio che l’esclusione della libertà sindacale per i militari trovi un
ragionevole fondamento. Tale esclusione non è una conseguenza necessaria
dell’esclusione della titolarità del diritto di sciopero, come è reso
evidente dall’ordinamento della Polizia di Stato, nel quale l’esclusione del
diritto di sciopero (art. 84, legge 1° aprile 1981 n. 121) coesiste con il
riconoscimento della libertà sindacale.
5.2.- Quanto al resto, i
militari godono di libertà di associazione. Una libertà di associazione,
peraltro - consentita tra soli militari con il previo assenso del ministro -
confinata in un limbo funzionale, delimitato dal divieto per l’associazione di
assumere iniziative che possano avere carattere sindacale e dai conseguenti
immanenti controlli dell'autorità militare. I militari di leva, per contro,
possono iscriversi o permanere associati ad associazioni di categoria, sia pure
con determinati divieti nello svolgimento dell'attività sindacale.
5.3. - I militari eleggono
organi rappresentativi con compiti propositivi e di tutela in tutte le materie
attinenti al rapporto di servizio, ivi compresa la partecipazione alla
concertazione interministeriale in ordine al contenuto del rapporto d’impiego.
Il legislatore, dunque, pur
negando ai militari la libertà sindacale, ha riconosciuto loro facoltà tipiche
del contenuto della libertà sindacale medesima, sia pure devolvendole a
specifici organi di rappresentanza, configurati in posizione collaborativa - e
non antagonistica - rispetto alle autorità. Non giova, peraltro, argomentare
dall’esistenza degli organi rappresentativi per negare la necessità del
riconoscimento della libertà sindacale. Con gli organi di rappresentanza,
infatti, "non è coperto l’arco delle possibili istanze collettive"
(Corte cost., sent. n. 126 del 1985, punto 6 della motivazione): così, ad
esempio, in materia di contenzioso. Inoltre, quello degli organi di
rappresentanza non costituisce un sistema alternativo al principio della libertà
sindacale ad libitum del legislatore: con esso, infatti, vengono sacrificati i
principi della libertà dell’organizzazione sindacale e del pluralismo
sindacale. Di particolare rilievo, quest’ultimo, quando si tratti, secondo la
normazione vigente, di eleggere i componenti degli organi di rappresentanza,
potendosi le scelte dei militari elettori avvalere - contrariamente alla prassi
attuale - delle indicazioni emergenti dalla dialettica sindacale. Inoltre,
mentre il sistema degli organi di rappresentanza dà luogo ad una mera
partecipazione dei rappresentanti degli stessi alla concertazione
interministeriale diretta alla determinazione del contenuto del rapporto di
impiego del personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare (art.2,
comma 1, lett. B) del d.lgs. 12 maggio 1995 n. 195) e delle Forze armate (art.2,
comma 2, d.lgs. n. 195 cit.), il sistema della libertà sindacale può dar luogo
al più incisivo strumento dell'accordo sindacale, in vigore per le Forze di
polizia ad ordinamento civile (art. 2, comma 1, lett. A) d.lgs. n. 195 cit.).
5.4.- Nemmeno potrebbe
fondarsi l'esclusione della libertà sindacale sull’esigenza di non indebolire
la disciplina militare. Le norme disciplinari, infatti, non subirebbero, con il
riconoscimento della libertà sindacale, alcuna modifica. Inoltre,
all’argomentazione di tipo "ideologico" sembrano potersi estendere
le acquisizioni della Corte costituzionale circa il limite alla libertà di
manifestazione del pensiero dei militari, secondo cui "per la
configurabilità del limite suindicato non è sufficiente la critica anche aspra
delle istituzioni, la prospettazione della necessità di mutarle, la stessa
contestazione dell'assetto politico sociale sul piano ideologico, ma occorre un
incitamento all'azione e quindi un principio di azione, e così di violenza
contro l'ordine legalmente costituito, come tale idoneo a porre questo in
pericolo" (Corte cost., sent. n. 126 del 1985 cit., punto 5 della
motivazione). Sempre secondo la Corte costituzionale, "ciò non importa
obliterare quelle particolari esigenze di coesione dei corpi militari che si
esprimono nei valori della disciplina e della gerarchia; ma importa negare che
tali valori si avvantaggino di un eccesso di tutela in danno delle libertà
fondamentali e della stessa democraticità dell'ordinamento delle Forze
armate" (Corte cost., sent. n.126 del 1985 cit., punto 6 della
motivazione).
6.- Ciò posto, la questione
di legittimità costituzionale della disposizione in esame appare non
manifestamente infondata. Ed invero, chiarito che il divieto dell'esercizio del
diritto di sciopero resta fermo, con tutto il sistema della disciplina militare,
pur con il riconoscimento della libertà sindacale, sembra di dover dubitare
della ragionevolezza complessiva di un sistema che da un lato conferisce
separata evidenza alle istanze collettive della categoria, dall’altro esclude
il principio della libertà sindacale senza che sembrino ricorrere motivi
fondati su valori costituzionali preminenti. Tale disciplina non appare
ragionevole, in riferimento: agli artt.39 e 52, terzo comma Cost., atteso che,
nel quadro normativo complessivo, non si ravvisano motivi plausibili per
sopprimere per i militari uno tra i diritti costituzionalmente garantiti, di cui
lo stesso art. 3 della legge n. 382/1978 prevede soltanto limitazioni
nell’esercizio; all'art.3 Cost., atteso che, nel quadro normativo complessivo,
non sembra ragionevole la diversità di disciplina rispetto alle Forze di
polizia ad ordinamento civile, che godono della libertà sindacale. La
questione, pertanto, va rimessa alla Corte costituzionale e il processo va
sospeso.
P.Q.M.
Ordina la cancellazione, nei
sensi di cui in motivazione delle espressioni contenute nella memoria degli
appellanti del 21 maggio 1998, mandando alla segreteria per l’esecuzione;
Dichiara non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, primo comma
ultima parte della legge 11 luglio 1978 n. 382, limitatamente alle proposizioni:
"costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad
altre associazioni sindacali", in riferimento agli artt. 39, 52, terzo
comma e 3 Cost.;
Dispone l’immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio;
Ordina che a cura della
segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonchè al
Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due
Camere del Parlamento.