IL MESSAGGERO
23/6/2004 Orvieto,
probabile causa l’uranio
Morì per un tumore: Difesa condannata a pagare
500.000 euro ai familiari
di GIULIO LADI
ORVIETO - La lunga battaglia di Paola, la moglie di Stefano Melone, è
stata vinta. E, insieme a lei, ora, possono vincere anche tutti i
familiari dei soldati italiani morti, dopo aver partecipato a missioni
all'estero. Il Tribunale di Roma ha dato ragione alla vedova di Melone,
riconoscendo che la morte dell'elicotterista di Canale di Orvieto, in
provincia di Terni, è avvenuta, nel 2001, per cause di servizio e ha
stabilito un risarcimento, da parte del Ministero della Difesa, di 500.000
euro.
La causa contro il Ministero era stata iniziata già da Stefano Melone
nell'agosto del 2000, dopo che era stato messo in congedo definitivo e
permanente per causa di servizio. L'uranio impoverito, ma non solo, la
causa del tumore che aveva colpito il militare. Forse, ora, dopo la
sentenza del Tribunale di Roma, potrà essere riaperta l'indagine sulle
tante morti che hanno costellato il rientro in patria dei militari inviati
in missioni all'estero, in zone teatro di battaglie e, quindi, di uso di
esplosivi. Nemmeno la commissione Mandelli era riuscita, tra mille
polemiche a fare luce piena su quegli episodi. Stefano Melone si era
ammalato nel febbraio del 2000. Un ricovero urgente all'ospedale di Terni
e la terribile notizia: gli viene diagnosticata una neoplasia
pleuro-polmonare maligna, patologia dovuta all'esposizione a sostanze
radioattive e cancerogene. Il maresciallo maggiore Melone, nel 1996, era
stato comandato a frequentare il corso di qualificazione per la difesa
Nucleare Batteriologica e Chimica e alla fine dello stesso anno era stato
inviato all'estero presso il contingente Onu operante nel sud del Libano
dove aveva ricoperto l'incarico di equipaggio fisso di volo e di
sottotenente addetto alla difesa. Poi, era stato assegnato a missioni in
Albania, in Somalia, in Medio Oriente e in Kosovo. Dopo l'insorgere della
malattia la vita di Melone e della moglie Paola era stata un continuo
spostarsi da un ospedale all'altro, fino al novembre 2001, quando l'elicotterista
era deceduto al Centro nazionale dei tumori di Milano. La moglie di
Stefano Melone, Paola, assistita dall'avvocato orvietano Francesco
Venturi, stanca di aspettare, delusa dal comportamento dello Stato, aveva
lanciato qualche mese fa un appello: «Noi componenti della famiglia
Melone, io ed i miei figli, discriminati e beffati dallo Stato non staremo
a guardare. Mi rivolgo a tutti coloro che hanno perso un loro caro, un
militare, a causa di questo uranio impoverito che le istituzioni non
vogliono ammettere sia il responsabile di queste "strane" morti di
militari impiegati all'estero. Per i nostri morti al servizio dello Stato
che no possono parlare e quindi non possono accusare, abbiamo noi
familiari il dovere di farlo». Ora, sarà più agevole anche per lei la
strada della pensione privilegiata che anche il marito aveva chiesto
subito dopo l'insorgere della malattia e il congedo definitivo che gli era
stato concesso proprio per causa di servizio.
Il Messaggero del 23.6.2004 |
|
TG 5
23/6/2004
Maresciallo morto di leucemia durante missioni all'estero: lo Stato
dovrà risarcirlo
È morto di cancro, al termine di una
lunga serie di missioni all'estero. E la colpa, forse è proprio
dell'uranio impoverito utilizzato nei teatri di guerra. È la conclusione
del Tribunale civile di Roma che per la prima volta in processi di questo
tipo ha riconosciuto, oltre alla causa di servizio, anche il danno
biologico e ha condannato il Ministero della Difesa al risarcimento alla
famiglia di 500.000 euro. Non può gioire Paola Melone, ma si dice
soddisfatta di aver mantenuto la promessa fatta a suo marito prima di
morire: e cioè portare a termine quella battaglia legale avviata quattro
anni fa dal maresciallo dell'Aeronautica di 40 anni, originario di
Caserta, Stefano Melone, veterano delle missioni di pace all'estero. Prima
in lbania, poi in Somalia, Bosnia, Medioriente come pilota elicotterista.
Al ritorno dall'ultima missione in Kosovo, nel 1999, gli era stata
diagnosticata una rara forma di leucemia che nel giro di due anni lo
avrebbe portato alla morte. La causa, secondo i medici, l'esposizione a
sostanze radioattive e cancerogene.
In Kosovo, Melone aveva lavorato alla manutenzione di armi, maneggiando
sostanze tossiche come benzene, amianto, cloruro di vinile. Per questa
ragione aveva deciso di avviare la sua battaglia legale, convinto che
fosse da ricercare lì la causa dei suoi mali. Ma col passare dei mesi gli
era venuto il sospetto che la responsabilità potesse essere di quelle armi
all'uranio impoverito utilizzate durante il conflitto in Bosnia, sulle cui
reali conseguenze il dibattito scientifico è ancora aperto, visto che
nemmeno la commissione presieduta dal noto ematologo Franco Mandelli è
arrivata a conclusioni certe.
TG5 del 23.6.2004
|