Pres. Quaranta, Est. Farina - Palimisano (Avv. Berardi) c. Comune di
Francavilla Fontana (n.c.)
(annulla T.A.R. Puglia-Bari, 11 dicembre 2001, n. 7821).
Pubblico impiego – Infermità e lesioni – Riconoscimento della
causa di servizio – Termine semestrale per la presentazione della domanda –
Decorrenza – Dalla data di piena conoscenza non solo della natura, ma anche
della gravità della menomazione che ne deriva.
Sia ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. 3 maggio 1957, n. 686,
che secondo l’art. 3 del d.p.r. 20 aprile 1994, n. 349 e dell’analoga disciplina
ormai prevista dall’art. 2 del d.p.r. 29 ottobre 2001, n. 461, il termine
semestrale di decadenza previsto per la proposizione della domanda di
riconoscimento di un’infermità come dipendente da causa di servizio decorre dal
giorno in cui il dipendente ha realmente avuto la consapevolezza dell’incidenza
della sua malattia o del fatto traumatico subito sulla capacità di attendere
alle ordinarie occupazioni, cioè la piena conoscenza non solo della natura, ma
anche della gravità della menomazione che ne deriva (1).
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(1) Giurisprudenza costante; v. per tutte Cons. Stato,
Sez. IV, 22 giugno 1993, n. 639, in Foro amm. 1993, 1259, secondo cui non
è sufficiente la sola consapevolezza di essere affetto da un’infermità, ma
occorre che l’interessato abbia acquisito conoscenza della circostanza che
l’infermità è da ricollegare ad un fatto di servizio.
Secondo la stessa sentenza, infatti, il termine
semestrale, previsto dall'art. 36 d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 per la
presentazione della domanda di accertamento della dipendenza da causa di
servizio dell'infermità contratta dal pubblico dipendente, inizia infatti a
decorrere allorchè il dipendente è consapevole della gravità della malattia
contratta e della sua possibile dipendenza da causa di servizio, non già dal
momento di mera conoscenza dell'infermità; pertanto, per le malattie che con il
decorso del tempo diventano permanenti, il dipendente può proporre la domanda di
accertamento della dipendenza entro il termine semestrale decorrente dalla
conoscenza della permanenza della malattia.
E neppure può affermarsi che la norma abbia mirato (oggi è
stata abrogata per effetto dell’entrata in vigore del d.p.r. 29 ottobre 2001, n.
461, il cui art. 2, però, dispone nello stesso senso) al risultato che ogni
qualvolta si presentavano fatti morbosi o infortuni si dovesse produrre la
domanda in questione, con un proliferare di procedimenti palesemente inutili su
velleitarie istanze degli impiegati (in termini IV n. 639/1993, citata, e 11
ottobre 1993, n. 868).
Secondo la disciplina sopra richiamata (che è rimasta
pressocchè immutata a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2 d.p.r. 29
ottobre 2001, n. 461), quindi, il termine semestrale non può decorrere dal
semplice verificarsi di un evento, i cui danni possano manifestarsi in futuro, o
dalla conoscenza di una malattia o lesione, ma dal momento dell’esatta
percezione della natura e della gravità dell’infermità e del suo nesso causale
con un fatto di servizio (Sez. VI, 14 aprile 1999, n. 43, 27 dicembre 2000, n.
6880, 3 luglio 2001, n. 3877; Sez. IV, 10 aprile 2002, n. 1921).
Ed infatti, come già disponeva l’art. 36 del d.p.r.
686/57, l’art. 3 del d.p.r. n. 349/94, stabilisce che l’impiegato deve
specificare la natura dell’infermità o lesione, i fatti di servizio che la
causarono o vi concorsero e, se possibile, le menomazioni subite (letteralmente:
"le conseguenze sull’integrità fisica").
FATTO
1. Il ricorso n. 281 del 2003 è proposto dal sig. Luigi
Palmisano. È stato notificato al comune di Francavilla Fontana il 16 dicembre
2002 ed è stato depositato il 14 gennaio 2003.
2. È impugnata la sentenza n. 7821/01, pubblicata l’undici
dicembre 2001, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia,
sede di Lecce, II Sezione, ha respinto il ricorso per l’annullamento della
deliberazione della giunta comunale n. 12 del 30 gennaio 1998. Con tale
provvedimento, la giunta ha "preso atto" della determinazione del comitato per
le pensioni privilegiate ordinarie, in ordine alla domanda di equo indennizzo
del ricorrente, di "non luogo a provvedere" per tardività della domanda.
3. Viene lamentato che la conoscenza dell’infermità
menomante è avvenuta soltanto nel 1994 e che il titolo alla liquidazione
dell’equo indennizzo, per causa di servizio, è sorto soltanto a seguito
dell’accertamento contenuto nel verbale della commissione medica ospedaliera del
19 dicembre 1996. La decisione di tardività della domanda è perciò erronea,
tenuto conto di quanto disposto dall’art. 36 del d.p.r. 3 maggio 1957, n. 686, e
dall’art. 3 del d.p.r. 20 aprile 1994, n. 349.
È stata depositata una memoria illustrativa il 9 maggio
2003.
4. Il comune di Francavilla Fontana non si è costituito in
appello.
5. All’udienza del 20 maggio 2003, il ricorso è stato
chiamato per la discussione ed è passato in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorrente, dipendente del Comune intimato, era
addetto al carico e scarico nel macello comunale, dove ha subito un infortunio
l’otto ottobre 1979. Successivamente è stato adibito ad altri servizi, sempre
alle dipendenza della stessa amministrazione comunale.
Il 17 novembre 1994, a seguito di visita medica cui si era
di sua iniziativa sottoposto alcuni giorni prima, ha chiesto l’avvio del
procedimento per il riconoscimento di una sua infermità come dipendente da causa
di servizio.
Con verbale del 19 dicembre 1996, la commissione medica
ospedaliera dell’ospedale militare marittimo di Taranto ha riconosciuto che
l’infermità riscontrata era dipendente da causa di servizio, segnalando che
l’infortunio aveva avuto luogo nel 1979.
L’interessato ha, quindi, chiesto la liquidazione
dell’equo indennizzo, con domanda acquisita agli atti del Comune il 24 dicembre
1996, sostenendo la tempestività della domanda stessa.
È seguita la deliberazione di giunta n. 301 del 20 marzo
1997, con la quale si metteva in rilievo che, rispetto alla data
dell’infortunio, l’istanza era stata presentata il 17 novembre 1994 e si
disponeva la trasmissione degli atti al comitato per le pensioni privilegiate
ordinarie.
Infine, con l’impugnata deliberazione n. 12 del 30 gennaio
1998, la giunta decideva di "prendere atto" del fatto che il C.P.P.O. aveva
deliberato che non vi era "luogo a procedere", a causa "dell’eccezione di
tardività sollevata" dalla stessa amministrazione".
2. Il ricorrente ha sostenuto, in prime cure, che non era
tardiva la sua domanda, giacché egli aveva avuto conoscenza della sua infermità
soltanto con la visita medica privata, alla quale si era sottoposto il 13
novembre 1994. Ad essa aveva fatto seguire l’istanza del 17 novembre, e perciò
entro il prescritto termine semestrale, ex art. 36 d.p.r. n. 686 del 1957 ed
art. 3 d.p.r. n. 349 del 1994.
Ripropone questa censura anche in appello.
3. Il primo giudice ha condiviso la tesi della decorrenza
del termine semestrale, per la domanda di accertamento della dipendenza da causa
di servizio dell’infermità contratta, dal momento in cui si sia avuta precisa e
sicura notizia della gravità e delle conseguenze invalidanti della malattia o
lesione.
Ha però, in concreto, rilevato che la notizia non risaliva
al 1979, come invece sostenuto nel provvedimenti impugnato, ma al
1987-1988, quando l’INAIL e poi il collegio medico presso l’U.S.L. di Brindisi 3
avevano rilevato che l’infermità lasciava l’interessato idoneo al lavoro,
ma con mansioni richiedenti "estrinsecazione energetica di grado medio-lieve".
L’infermità era perciò "conosciuta sin dagli anni
1987-88", secondo il T.A.R.
4. L’appello è fondato.
Sia secondo l’art. 36 del d.p.r. 3 maggio 1957, n. 686,
sia secondo l’art. 3 del d.p.r. 20 aprile 1994, n. 349 – entrato in vigore il 5
dicembre 1994 e, quindi, applicabile, "ratione temporis", con riguardo al
provvedimento del 1998, impugnato – il termine entro il quale va presentata
domanda per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di
un’infermità contratta, è stabilito in sei mesi "dalla data in cui si è
verificato l’evento dannoso" o da quella in cui l’impiegato "ha avuto conoscenza
dell’infermità".
La norma non consente, perciò, di ritenere che il termine
suddetto decorra dal semplice verificarsi di un evento, i cui danni possano
manifestarsi in futuro, o dalla conoscenza di una malattia o lesione, ma dal
momento dell’esatta percezione della natura e della gravità dell’infermità e del
suo nesso causale con un fatto di servizio ( VI Sez. 14 aprile 1999, n. 43, 27
dicembre 2000, n. 6880, 3 luglio 2001, n. 3877; IV Sez. 10 aprile 2002, n.
1921). Ed infatti, come già disponeva l’art. 36 del d.p.r. 686/57, l’art. 3 del
d.p.r. n. 349/94, stabilisce che l’impiegato deve specificare la natura
dell’infermità o lesione, i fatti di servizio che la causarono o vi concorsero
e, se possibile, le menomazioni subite (letteralmente: "le conseguenze
sull’integrità fisica").
Dunque, non è sufficiente la sola consapevolezza di essere
affetto da un’infermità, ma occorre che l’interessato abbia acquisito conoscenza
della circostanza che l’infermità è da ricollegare ad un fatto di servizio (IV
Sez. 22 giugno 1993, n. 639). E neppure può affermarsi che la norma abbia mirato
(oggi è stata abrogata per effetto dell’entrata in vigore del d.p.r. 29 ottobre
2001, n. 461, il cui art. 2, però, dispone nello stesso senso) al risultato che
ogni qualvolta si presentavano fatti morbosi o infortuni si dovesse produrre la
domanda in questione, con un proliferare di procedimenti palesemente inutili su
velleitarie istanze degli impiegati (in termini: IV n. 639/1993, citata, e 11
ottobre 1993, n. 868).
5. In conclusione, il termine di decadenza previsto per la
proposizione della domanda di riconoscimento di un’infermità come dipendente da
causa di servizio decorre dal giorno in cui il dipendente ha realmente avuto la
consapevolezza dell’incidenza della sua malattia o del fatto traumatico subito
sulla capacità di attendere alle ordinarie occupazioni, cioè la piena conoscenza
non solo della natura, ma anche della gravità della menomazione che ne deriva (IV
Sez. n. 868/1993 citata e 10 ottobre 1994, n. 784; VI Sez. 10 agosto 1994, n.
1302 e giurisprudenza citata sopra).
6. Ne segue che:
a) è illegittima la deliberazione impugnata in prime cure,
con i precedenti atti endoprocedimentali, per aver ancorato la tempestività
della domanda al momento dell’originario infortunio;
b) che non va condivisa neppure la tesi del T.A.R., il
quale ha legittimamente rilevato che occorreva aver riguardo al momento della
conoscenza della consapevolezza dell’incidenza del fatto sulla riduzione della
capacità di lavoro, ma ha, poi, fatto riferimento alla data delle visite mediche
collegiali (2 febbraio e 22 marzo 1988), nelle quali è stato rilevato che
un’infermità esisteva, ma che questa non menomava l’idoneità al lavoro. Ed,
invero la conseguenza che ne è stata tratta non è condivisibile
a.1) sia perché il primo giudice ha operato
un’inammissibile integrazione della motivazione del provvedimento impugnato, col
dare rilievo ad un fatto del quale il Comune non aveva tenuto conto;
a.2) sia perché l’esito di quelle visite si è tradotto in
un giudizio d’idoneità "a proficuo lavoro", per essere stata rilevata un’esigua
menomazione dell’integrità fisica;
a.3) sia perché, in difetto di altra prova certa, il cui
onere gravava sull’amministrazione comunale, e che non è stata offerta,
l’acquisizione della conoscenza degli elementi necessari e sufficienti per far
decorrere il termine in questione, si deve far risalire, nel caso concreto,
all’accertamento medico che il ricorrente ha documentato come eseguito il 13
novembre 1994, rispetto al quale sono tempestive la domanda del 17 novembre
successivo e la sua reiterazione del 10 aprile 1995.
7. È solo nella data del 13 novembre 1994 che
all’interessato, sottopostosi ad accertamenti di sua iniziativa, il sanitario ha
certificato che, appunto dopo la predetta verifica del 1988, l’attività di
bidello scolastico nella quale era stato impegnato aveva "comportato un
complessivo peggioramento" delle sue condizioni fisiche e che egli era affetto
da infermità "in fase di aggravamento" (v. ultima pagina del referto). E, da
questa data, egli ha avuto la percezione della menomazione ormai subita.
8. All’accoglimento dell’appello, con annullamento degli
atti suindicati, consegue che – diversamente da quanto richiede la difesa
dell’appellante – il procedimento deve riprendere dal momento successivo alla
pronuncia del collegio medico ospedaliero.
9. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta, accoglie l’appello n. 281 del 2003 e, per l’effetto, in riforma della
sentenza impugnata, annulla la deliberazione n. 12 del 30 gennaio 1998 della
giunta del comune di Francavilla Fontana, come da motivazione.
Condanna l’amministrazione al pagamento delle spese del
giudizio, che liquida in duemila euro.
Ordina che la presente decisione sia eseguita
dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 20 maggio 2003,
con l'intervento dei Signori:
Alfonso Quaranta Presidente
Raffaele Carboni Consigliere
Giuseppe Farina rel. est. Consigliere
Aldo Fera Consigliere
Marzio Branca Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Giuseppe Farina f.to Alfonso Quaranta
Depositata in segreteria il 3 luglio 2003.