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<<DDL SULLA RIFORMA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE>>
Presentata una nuova proposta di legge sulla sua riforma.

 

Sin dalla sua istituzione, circa 30 anni fa, la rappresentanza militare non ha subito nessuna riforma considerevole. Sono intervenute soltanto piccole modifiche ma quasi insignificanti per la difesa degli interessi del personale. Tutto l'impianto della concertazione e' rimasto tale.

Centinaia sono stati i disegni di legge nati per modificarla, ma a tutt'oggi con scarso risultato.

Per quanto sopra pubblichiamo questo nuovo disegno di legge d'iniziativa del Senatore Malabarba..

 

 

SENATO DELLA REPUBBLICA

 

      ———– XV LEGISLATURA ———–

    N. 74
 
 


DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa del senatore MALABARBA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 28 APRILE 2006

———–

Riforma della rappresentanza militare e norme sul diritto di associazione del personale delle Forze armate e delega al Governo in materia di contrattazione collettiva del personale delle Forze armate

———–

Onorevoli Senatori. – La legge 11 luglio 1978, n. 382, meglio nota come «legge dei princìpi», introdusse per la prima volta nell’ordinamento militare la nozione di rappresentanza soggettiva del militare in relazione alla tutela dei propri diritti individuali e collettivi, nonché il principio che anche il militare è titolare di interessi legittimi che non possono ritenersi conclusi nell’ambito del rapporto gerarchico-disciplinare.

    Con l’affermazione di questo principio di democrazia, nasceva all’interno delle Forze armate italiane la «rappresentanza militare», un complesso sistema di organismi elettivi, sostanzialmente articolato su tre livelli, con un sistema elettorale di secondo grado che solo parzialmente garantisce una reale rappresentatività delle istanze e delle aspirazioni del personale militare. Principio fondante della rappresentanza militare è di essere un organismo dell’organizzazione militare, e in quanto tale inserito nel sistema gerarchico-disciplinare. Ne conseguono alcune peculiarità strutturali, talvolta contraddittorie rispetto alla sua natura di organismo rappresentativo. Citiamo, tra quelle più discusse, la presidenza dei consigli della rappresentanza affidata de iure al membro più alto in grado, l’impossibilità di una comunicazione autonoma con l’esterno dell’organizzazione, la rigida articolazione in comparti di categoria e di ruolo, la conseguente non corrispondenza tra consistenza della rappresentanza e dimensione della base rappresentata.
    A più di un quarto di secolo da quella riforma, che fu certamente rivoluzionaria rispetto alle condizioni di allora, il sistema della rappresentanza mostra tutti i suoi limiti. Da almeno un decennio questa insufficienza è avvertita, ma le soluzioni prospettate sono state per lo più contraddittorie, nel migliore dei casi, se non addirittura regressive rispetto alla condizione giuridica esistente.
    Tra quanti si sono posti concretamente negli anni più recenti la questione di quali soluzioni proporre per restituire al sistema della rappresentanza una reale capacità di interlocuzione sia con la gerarchia che con la base rappresentata, è stato sempre ben presente l’interrogativo sulla natura formale e sostanziale di questo organismo. Il tema di confronto più rilevante è naturalmente relativo alla capacità reale di una struttura interna all’organizzazione militare di esprimere con sufficiente autorevolezza contenuti propri di una dialettica che in altri settori della pubblica amministrazione assume naturalmente anche forme conflittuali proprie della rappresentanza sindacale.
    Si può immaginare l’adozione, anche per le Forze armate, di un sistema di rappresentanza del personale con le forme proprie del sindacato, oppure la speciale natura dello strumento militare preclude questa possibilità? La domanda non è banale, né è semplice la risposta.
    È ben vero che bisogna distinguere, quando si parla di rappresentanza militare, tra i due comparti in cui sostanzialmente si articola: il comparto sicurezza, al quale appartengono l’Arma dei carabinieri e il Corpo della guardia di finanza, e il comparto difesa, del quale fanno parte le tre Forze armate, compreso il Corpo delle capitanerie di porto la cui natura ibrida non ne rende facile una classificazione.
    Questa distinzione sottolinea la principale contraddizione interna al sistema della rappresentanza militare, cioè la rilevante differenza di condizione e di rappresentanza esterna che contraddistingue nel nostro Paese le Forze di polizia a ordinamento civile (Polizia di stato e Polizia penitenziaria) rispetto a quelle militarmente ordinate (Arma dei carabinieri, Corpo della guardia di finanza e, per alcuni aspetti, Corpo delle capitanerie di porto). Di fatto, cittadini che svolgono sostanzialmente il medesimo servizio di polizia vivono diverse condizioni personali in virtù del permanere, nel nostro Paese, dell’anacronismo rappresentato da corpi di polizia a ordinamento militare che svolgono tuttavia compiti essenzialmente civili. Ciò è del tutto vero per
la Guardia di finanza, lo è sostanzialmente anche per i Carabinieri, i cui compiti residui di polizia militare e di sicurezza riguardano forse meno del 15 per cento della forza organica. Si tratta tuttavia di un tema che esula dall’oggetto di questo disegno di legge, anche se si riferisce a una problematica che dovrà essere affrontata nel breve periodo.
    Nel quarto di secolo di vita della rappresentanza sono anche intervenute sostanziali novità per quanto riguarda la struttura del nostro apparato militare, oltre che per le missioni affidategli. La più recente delle riforme, quella relativa alla professionalizzazione delle Forze armate, è anche quella che maggiormente impatta con la problematica della rappresentanza del personale.
    In effetti uno degli elementi sui quali era stato fondato il sistema della rappresentanza militare, così come voluto dal legislatore con la citata legge n. 382 del 1978, era costituito proprio dalla coesistenza all’interno delle Forze armate di un nucleo maggioritario di personale composto dai militari di leva, per i quali doveva essere garantita comunque una forma di espressione delle istanze collettive.
    Con la fine del sistema di reclutamento ibrido e con la completa professionalizzazione delle Forze armate, il problema della rappresentanza militare deve porsi necessariamente in termini diversi.
    Negli ultimi anni si è assistito allo sviluppo di una pletora di associazioni che a vario titolo si propongono di difendere gli interessi del personale militare. Alcune di queste associazioni dichiarano di contare su parecchie migliaia di aderenti, tutti militari in servizio.
    Nel 1999,
la Corte costituzionale, investita del problema sulla legittimità costituzionale dell’articolo 8 della detta legge n. 382 del 1978, aveva dichiarato non incostituzionale il divieto per i militari di costituire associazioni professionali o sindacali. La stessa Corte, tuttavia, ribadiva nella sua sentenza come dovesse essere il legislatore a definire la disciplina associativa per i militari.
    La richiesta di una diversa possibilità di rappresentanza per i militari in servizio è diventata sempre più forte, in concomitanza con il progressivo svuotamento di ruolo dei consigli esistenti, stretti tra insensibilità della linea di comando e ambizioni politiche di alcuni loro membri che hanno talvolta cercato, in tempi recenti, di condizionarne l’attività.
    L’insoddisfazione del personale militare verso un istituto importante, ma che mostra evidentemente anche i propri limiti oggettivi, ha portato anche a numerosi pronunciamenti degli stessi organismi rappresentativi, fortemente critici nei confronti di proposte di riforma puramente nominalistiche.
    Ultima in ordine di tempo, la delibera votata da ben 58 comitati di base di rappresentanza (COBAR) dell’Esercito, riuniti in assemblea dal comitato intermedio di rappresentanza (COIR) del Comando delle Forze operative terrestri (categoria B, sottufficiali) il 10 ottobre 2001, con la quale si propone una modifica della normativa in essere, nel senso di consentire libertà di associazione dei militari in organizzazioni di carattere sindacale e professionale.
    Analogamente, in occasione della riunione a Roma il 7 e 8 novembre 2001 dei delegati del consiglio centrale della rappresentanza (COCER) e dei COIR dell’Esercito (categoria sottufficiali), i delegati hanno espresso una forte critica e manifestato formale sfiducia al COCER per la proposta di riforma delle rappresentanze avanzata dallo stesso, proponendo in alternativa la libertà di associazione sindacale.
    Sembrano dunque maturi i tempi per garantire ai militari il diritto di aderire a libere associazioni di carattere sindacale. In tale senso va la nostra proposta, che prevede un doppio sistema di rappresentanza, uno libero costituito da organizzazioni sindacali per il personale militare della difesa, che dovrà garantire sostanzialmente la contrattazione e la difesa degli interessi collettivi dei militari, e un altro, interno alla struttura gerarchica, costituito da un solo livello di rappresentanza eletto con suffragio generale e diretto, su liste, al quale affidare la tutela del personale rispetto a trasferimenti, organizzazione del lavoro, turni, nonché la protezione degli interessi dei militari impegnati in missioni all’estero.

 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Diritto di associazione dei militari)

    1. In attuazione degli articoli 39 e 52 della Costituzione, è riconosciuto agli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare il diritto di associarsi in sindacati e organizzazioni professionali.

    2. Gli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare possono aderire a organizzazioni di carattere sindacale formate, dirette e rappresentate da appartenenti, rispettivamente, all’Aeronautica, all’Esercito, alla Marina, all’Arma dei carabinieri e al Corpo della guardia di finanza in attività di servizio o comunque assoggettabili a obblighi di servizio. L’adesione è libera, volontaria e individuale.
    3. Le organizzazioni sindacali o professionali formate ai sensi del presente articolo possono coordinarsi tra loro nonché aderire, affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali.

Art. 2.

(Facoltà e limiti dell’azione sindacale)

    1. Gli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare non esercitano il diritto di sciopero o azioni sostitutive di esso che possano pregiudicare il servizio.

    2. L’attività sindacale si svolge senza interferire con le attività di servizio e operative. Alle organizzazioni sindacali è tuttavia riconosciuto il diritto di riunirsi nelle infrastrutture delle amministrazioni di rispettiva appartenenza nel limite di dieci ore annue in orario di servizio e senza limiti di tempo al di fuori del normale orario di servizio.
    3. Per l’attribuzione ai sindacati di cui all’articolo 1 dei poteri di contrattazione nazionale e decentrata si applicano le norme di cui alla legge 6 marzo 1992, n. 216, e al decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195.

Art. 3.

(Diritti dei dirigenti sindacali)

    1. Il Ministro per la funzione pubblica, di concerto, rispettivamente, con il Ministro della difesa e con il Ministro dell’economia e delle finanze in relazione alle rispettive competenze, concorda con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative le collocazioni in aspettativa spettanti ad ogni singola organizzazione sindacale di categoria, sia a livello nazionale che a livello territoriale.

    2. I componenti degli organi statutari dei sindacati di cui all’articolo 1 che non si trovino in aspettativa in base al comma 1 del presente articolo sono autorizzati, su richiesta dei dirigenti della rispettiva organizzazione e salve inderogabili esigenze di servizio, a usufruire di permessi retribuiti per il tempo strettamente necessario all’espletamento della normale attività sindacale e per la partecipazione alle riunioni degli organi di appartenenza.
    3. Ai militari collocati in aspettativa ai sensi del comma 1 si applica il trattamento giuridico ed economico previsto per il personale del pubblico impiego in analoga posizione.

Art. 4.

(Consigli nazionali dei rappresentanti)

    1. Sono istituiti:

        a) il Consiglio nazionale dei rappresentanti per i militari appartenenti all’Aeronautica, all’Esercito, alla Marina e al Corpo delle capitanerie di porto;

        b) il Consiglio nazionale dei rappresentanti per gli appartenenti all’Arma dei carabinieri;
        c) il Consiglio nazionale dei rappresentanti per gli appartenenti al Corpo della guardia di finanza.

    2. I Consigli nazionali dei rappresentanti militari, di seguito denominati «Consigli», deliberano congiuntamente per le materie di interesse generale, separatamente per Consiglio nazionale per le materie di specifica rilevanza per ciascun Consiglio.

    3. I regolamenti interni di ciascun Consiglio definiscono le modalità di riunione e di deliberazione per sezioni di Forza armata o per categoria.

Art. 5.

(Compiti dei Consigli)

    1. I Consigli esprimono pareri e raccomandazioni relativamente ai riflessi sullo stato e sul benessere dei militari in relazione alle disposizioni e alle norme riguardanti il servizio, i trasferimenti, la formazione professionale dei militari e che siano escluse in quanto inerenti il servizio e la disciplina dalla competenza delle organizzazioni sindacali di cui all’articolo 1.

    2. I Consigli hanno inoltre competenza relativamente alla tutela e al benessere del personale impegnato in servizio collettivo al di fuori del territorio nazionale.
    3. Ciascun Consiglio presenta annualmente al Ministro della difesa o al Ministro dell’economia e delle finanze un rapporto sulla condizione militare. Il Ministro trasmette la relazione, con le osservazioni eventuali, al Parlamento entro il 31 gennaio di ogni anno.

Art. 6.

(Elezione dei rappresentanti e funzionamento dei Consigli)

    1. I componenti dei Consigli sono eletti con voto diretto e segreto dagli appartenenti a ciascuna Forza armata o Forza di polizia a ordinamento militare in ragione di un rappresentante ogni 1.500 aventi diritto al voto, o frazione di 1.500.

    2. La composizione di ciascun Consiglio è stabilita in modo da garantire che nessuna categoria detenga la maggioranza dei voti. Il presidente, il segretario e l’ufficio di presidenza sono eletti tra i componenti di ciascun Consiglio. La presidenza delle riunioni congiunte è assunta, a rotazione, dal presidente di ciascun Consiglio.
    3. L’elezione dei rappresentanti del Consiglio avviene su liste nazionali presentate da almeno 200 aventi diritto al voto, separatamente per le categorie degli ufficiali, dei marescialli, dei sergenti e militari di truppa in servizio volontario.
    4. I rappresentanti eletti nei Consigli restano in carica per tre anni e per non più di due mandati successivi.
    5. Sono istituiti in Roma l’ente denominato «Consiglio nazionale dei rappresentanti delle Forze armate», alle dirette dipendenze del Capo di stato maggiore della difesa, e l’ente denominato «Consiglio nazionale dei rappresentanti del Corpo della guardia di finanza», alle dirette dipendenze del Comandante generale della guardia di finanza.
    6. I rappresentanti eletti nei Consigli sono trasferiti per la durata del mandato agli enti di cui al comma 5. Gli enti hanno autonomia amministrativa e contabile e sono posti al comando del rappresentante eletto più anziano.
    7. L’elezione nei Consigli costituisce titolo ai fini della progressione di carriera.

Art. 7.

(Deleghe al Governo)

    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante modifiche all’articolo 2 della legge 6 marzo 1992, n. 216, e al decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, al fine di adeguarli ai princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge.

    2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è adottato con l’osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) previsione di nuove modalità di contrattazione centrale per le rappresentanze del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, ai sensi di quanto previsto dalla presente legge;

        b) modificazioni agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, e successive modificazioni, al fine di adeguare le materie oggetto della contrattazione alle disposizioni previste per le Forze di polizia a ordinamento civile;
        c) previsione di accordi decentrati a livello periferico, specificando altresì che le modalità e i contenuti sono definiti da accordi nazionali con le organizzazioni sindacali; tali accordi, senza comportare alcun onere aggiuntivo, individuano i criteri applicativi delle norme e dei contratti e sono diretti a garantire un costruttivo rapporto tra rappresentanze e amministrazioni nel rispetto dei diritti individuali, dei doveri e dell’efficienza del servizio.

    3. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1 è trasmesso al Parlamento ai fini dell’esame da parte delle competenti Commissioni, che esprimono il relativo parere entro due mesi dalla data di assegnazione.

    4. Il Ministro della difesa provvede ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti recanti norme per la definizione delle modalità di elezione e l’organizzazione dei Consigli, ai sensi di quanto stabilito dagli articoli 4, 5 e 6 della presente legge.

Art. 8.

(Norme abrogate)

    1. Gli articoli 7, 8, 18, 19 e 20 della legge 11 luglio 1978, n. 382, e successive modificazioni, sono abrogati.

Art. 9.

(Entrata in vigore)

    1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

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tessera 2006/07

 


 

 
 
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