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<<IL CO.CE.R. DELLA MARINA MILITARE SULLA RIFORMA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE>>

 

 

Riceviamo e pubblichiamo un nuovo documento sulla riforma della rappresentanza, del Cocer Marina Militare.


SideWeb, 17/6/2007
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Documento in tema di riforma della rappresentanza militare

 

La legge 11 luglio 1978 n. 382 ha introdotto nell’Ordinamento militare l’istituto della rappresentanza militare allo scopo di creare uno strumento di proposizione di istanze collettive o comunque di consultazione dell’Autorità militare in tutte quelle materie che afferiscono il benessere e la condizione del militare, fatta eccezione il settore delle operazioni, logistico/ operativo, addestrativo, il rapporto gerarchico e l’impiego del personale.

Tale strumento, democraticamente eletto e strutturato su tre livelli rappresentativi, dopo circa un trentennio ha cercato di adattarsi alle mutate esigenze sociali e normative, cercando di riempire  la carenza del ruolo di “parte sociale”, che nei rimanenti settori del  pubblico impiego viene interpretato a pieno titolo dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori.

Proprio tale infruttuoso tentativo “adattarsi a surrogato di parte sociale dei lavoratori” ha dimostrato in maniera inequivocabile come l’impronta normativa di uno strumento nato per finalità di mera consultazione e di proposizione di istanze di carattere collettivo lo rende del tutto inadeguato a svolgere ed attendere alle funzioni di tutela e di dialogo, anche in contrapposizione, che è proprio delle rappresentanze sindacali dei lavoratori.

Tuttavia, la palese assenza di rappresentatività in senso sindacale nel mondo di lavoro militare ha portato più parti ad insistere su istanze di rivisitazione dell’attuale strumento di rappresentanza, onde adeguarlo al mutato ruolo che la società impropriamente gli riconosce (il sindacato dei militari) e che il mutato assetto normativo in tema di contrattazione collettiva e tutela della condizione e della dignità dei lavoratori impone, ormai affidando quasi esclusivamente tali prerogative alle organizzazioni sindacali, prima che al singolo.

Infatti, non deve essere sottaciuta la palese confusione nascente da un ruolo improprio che il contesto sociale riconosce all’attuale istituto della rappresentanza militare, al quale viene comunemente ed erroneamente attribuito lo pseudonimo di sindacato dei militari, nonostante la Corte Costituzionale abbia chiaramente enunciato come l’attuale quadro normativo non consente ai Consigli di rappresentanza dei militari di interpretare il “ruolo di parte sociale”, essendo la rappresentanza militare, secondo la normativa vigente, un mero istituto di proposizione di istanze collettive e mera consultazione nelle materie consentite dalla legge.

Tuttavia, proprio la palese confusione sociale dei ruoli comporta per il mondo militare un duplice pregiudizio:

da un lato attenua l’attenzione sociale e normativa sulla problematica della carenza istituzionalizzata del ruolo di parte sociale per i lavoratori militari, dall’altro aumenta il pericolo di una strumentalizzazione di una “finzione” di rappresentatività di parte sociale del mondo militare che il Legislatore ha già altrimenti stigmatizzato con il divieto di creazione dei “sindacati gialli” o più propriamente detti sindacati di comodo (art. 17  Statuto dei Lavoratori).     

Se da un lato l’esigenza di riempire dei vuoti istituzionali di rappresentatività dei lavoratori militari induce ad ipotizzare la necessità di intraprendere un percorso di progressiva sindacalizzazione  di uno strumento militare sempre più professionale, la salvaguardia di un principio di “specificità militare” unitamente ad eventuali esigenze di apoliticità ed apartiticità delle organizzazioni di rappresentanza dei militari, possono indurre ad ipotizzare particolari cautele normative nella genesi di tali forme rappresentative.

Infatti si deve procedere ad interventi normativi miranti a riprodurre  quanto già previsto agli art. 82 e segg. della legge 121/81 per le Forze di Polizia ad Ordinamento Civile, o trasferire i contenuti e le prerogative delle rappresentanze sindacali dei lavoratori in capo ad una rivisitata forma di rappresentatività militare che potrebbe, in tal modo, assurgere al quel ruolo di parte sociale che un mutato assetto normativo impone e di cui il mondo militare è inequivocabilmente carente.

In questa prospettiva si rende necessario un intervento normativo che vada o nel senso già delineato per le Forze di Polizia,  e che si concretizzi quindi in una capacità associativa di natura professionale o sindacale fra i militari o, parimenti si orienti ad una rivisitazione in senso sindacale dell’attuale strumento della rappresentanza militare, conferendo a quest’ultimo le prerogative e le attribuzioni altrimenti assolte dalle rimanenti rappresentanze sindacali dei lavoratori.

Se nel primo caso, previa abrogazione dell’art. 8 della legge 11 luglio 1978, n. 382, si ritiene che il dettato normativo valevole per le Forze di Polizia ad Ordinamento Civile, se riprodotto, possa essere pienamente satisfattivo delle esigenze prospettate, nel caso, invece, di un processo di rivisitazione in senso sindacale della riforma della rappresentanza militare, non si  potrà prescindere da una definizione normativa del ruolo dell’istituto normativo e da una norma di salvaguardia che, fatte salve le specificità del settore militare, riconosca che le attribuzioni assolte negli altri comparti lavorativi dalle rappresentanze sindacali, in ambito militare siano assolte dal riformato istituto della rappresentanza militare.

Infatti, deve evidenziarsi come l’apertura verso forme di associazioni professionali fra militari sia un esperimento di democraticità reso possibile oltre che dall’esempio normativo di altri Paesi Europei, proprio da recenti e ripetute Raccomandazioni Comunitarie che non hanno ravvisato particolari cause ostative al riconoscimento dei diritti sindacali in capo ai militari.

In ogni caso, sebbene si ritenga che la professionalizzazione dello strumento militare renda matura ed ineludibile una riforma sindacale del mondo militare nel senso già delineato per le Forze di Polizia ad Ordinamento Civile, è opportuno sottolineare come un proposito normativo che voglia limitarsi ad attribuire il ruolo di parte sociale ad un riformato istituto della rappresentanza militare non potrà prescindere dall’enunciazione di quelle garanzie minime di autonomia, efficacia ed effettività che dovranno caratterizzare il mutato ruolo dell’istituto rappresentativo dei militari.

Si deve sottolineare come l’attuale assetto normativo non riconosce all’istituto della rappresentanza militare la valenza “di surrogato sindacale” o comunque di parte sociale dei lavoratori militari.

Tale limite è stato chiaramente evidenziato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 449/99, la quale anche nell’intento di dirimere ogni dubbio interpretativo, ha rimesso al Legislatore l’onere di adeguare le competenze della rappresentanza militare allo scopo di renderle compatibili con le procedure di confronto sulle tematiche afferenti il rapporto d’impiego già introdotte nei rimanenti comparti della Pubblica Amministrazione.

Tuttavia non deve sottacersi, come nella stessa sede, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha testualmente evidenziato “ il sistema degli interessi introdotto dalla legge del 1978 non garantisce alcuna libertà di organizzazione, né di proselitismo, perché la rappresentanza militare resta vicenda interna all’apparato: …………la commistione di interessi fra datore di lavoro e sindacati vietata dall’art. 17 dello Statuto dei Lavoratori costituisce per il personale militare la regola”.

Per tale motivo, ogni proposito di riforma in tema di rappresentatività dei lavoratori militari che intenda implementare le competenze dell’attuale istituto rappresentativo senza avere preventivamente eliminato possibilità di commistione e confusione fra interessi del lavoratore militare e quelli del datore di lavoro, deve ritenersi una grave lesione dei precetti di civiltà della vita democratica del Paese, alla quale il mondo militare vi partecipa a pieno titolo e a cui anche l’Ordinamento militare deve informarsi.

Non può quindi accettarsi alcuna soluzione di compromesso in tema di rappresentanza delle istanza del mondo lavorativo militare.

Bisogna avere il coraggio di mettere a nudo e giustificare all’opinione pubblica l’esistenza di un retaggio storico che fa sopravvivere costruzioni e mostruosità giuridiche che vogliono giustificare l’avocazione del singolo diritto del militare in capo all’Ordinamento. Non bisogna dimenticare come a tutt’oggi il diritto di querela è estraneo al personale militare e, la stessa condizione di procedibilità è rimessa alla valutazione meramente discrezionale dell’Autorità militare, a nulla rilevando la lesione al diritto del soggetto leso, attualmente privo di ogni autonoma tutela.

Allo stesso modo non può più condividersi l’impostazione di un istituto della rappresentanza militare che, come giustamente osserva in sede di giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, non nasce per dare espressione ai diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini militari ma, si pone  “in posizione collaborativa e non antagonista rispetto all’Autorità militare” .

Per la causale un intento di riforma deve ricercare un modello di rappresentatività non fittizio ma effettivo, come sull’esempio di comparti pubblici similari, ad esempio i Magistrati, che  hanno delineato nelle loro peculiari associazioni tutte le garanzie ed i compromessi fra la nozione di parte sociale e tutela ed integrità dell’Ordinamento.    

Oggi si dibattono due panoramiche della vita, da un lato un visione conservatrice, dall’altra progressista. Queste due forze per fortuna non si identificano in una coalizione ma, in degli atteggiamenti di merito. Si potrebbero citare tanti esempi che dimostrano i passi avanti in questo o quel settore, da questo o quel Governo a prescindere dallo schematismo ideologico. Nel nostro caso la discriminante che delinea una posizione progressista o conservatrice è sicuramente l’intento ed il proposito di addivenire alla necessità di un pieno riconoscimento di un ruolo di parte sociale per i lavoratori militari.

E’ proprio il riconoscimento della necessità di una parte sociale per i militari a fare la differenza. Stabilire che i militari sono una realtà, riconosciuta e ben accettata parte sociale è la vera conquista di civiltà di un mondo militare sempre più maturo e professionale.

Riusciremo in questo mandato, con questo Parlamento a fare un passo avanti ?

Co.ce.r. -  m.m. 


SideWeb, 17/6/2007
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