Se invece avete i piedi piantati per terra e puntate a
un impiego sicuro, magari da ottenere attraverso
concorso pubblico, oppure sognate una vita di routine in
fabbrica, meglio pensarci due volte. E non sia mai che,
dopo essersi fatto un tatuaggio, uno ambisca ad indossare
l'uniforme per difendere i cittadini. Come ha riportato
ieri il Secolo XIX, una ventiduenne di Spezia, Ramona
Angiolini, è stata scartata da un concorso pubblico per il
reclutamento di 1507 allievi agenti di polizia. Tutta
colpa di una farfalla («Grande due centimetri») sulla
caviglia destra. Bocciata Ramona, nonostante avesse
superato i test psico-attitudinali. E' stata ritenuta «non
idonea al servizio di Polizia».
La ragazza è stata
scartata in base alle disposizioni di un decreto
ministeriale del 2003 che stabilisce, tra le cause
di non idoneità a vestire la divisa «i tatuaggi sulle
parti del corpo non coperte dall'uniforme o quando, per la
loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro
contenuto siano indice di personalità abnorme». Il caso
non è nuovo e Angiolini si è rivolta a un avvocato
presentando ricorso al Tar.
«Tatuaggi, collanine, cicatrici non sono il massimo
per chi vuole indossare l'uniforme. Si parla di segni
esteriori evidenti, questo per ragioni di sicurezza. Un
tatuaggio rende più facilmente riconoscibile una persona.
Non il massimo per chi vuole fare questo mestiere», dice
Filippo Saltamartini, segretario generale del Sap, il
sindacato autonomo di Polizia. «In realtà il problema si
pone soprattutto per chi è già in servizio. Un agente che
si fa un tatuaggio subisce sanzioni disciplinari per
lesione del decoro della Polizia. Ma non c'è una vera e
propria normativa. Sono stati arruolati ragazzi che hanno
tatuaggi, anche evidenti, con riferimenti a mafia e
camorra per poi impiegarli in missioni sotto copertura».
Dunque, se non siete calciatori, attori, veline e
rockstar preparatevi ad essere discriminati per colpa
di quel tatuaggio fatto in ricordo di una vacanza, di un
amore o per colpa di una sbronza. Anche perché, in
materia, regna il caos. Fino al al 1998 le linee guida del
ministero della Salute vietavano i tatuaggi sul viso e
nient'altro. Poi, il divieto è decaduto. «Se uno vuole
tatuarsi il collo, cerchiamo di scoraggiarlo proprio per
le difficoltà che potrebbe incontrare sul lavoro»,
assicura Tiziano Pirina vice presidente dell'Associazione
piercer e tatuatori professionisti. «Ma se il cliente
insiste, nessuna legge ci vieta di fare il tatuaggio che
desidera».