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JurisMil
CENTRO
STUDI
DIRITTO
MILITARE |
L’autorità
militare interviene nella vita privata dei militari:
Azione legittima o abuso di potere?
Licenze e
permessi:
Possono essere imposti dai superiori?
Il padre di un militare
dell’Esercito che presta servizio a Treviso ci ha contattati
esprimendo preoccupazione per alcuni accadimenti che recentemente
hanno coinvolto il figlio, e per i quali ci chiede di esprimere un
parere tecnico.
Nello specifico vengono formulati due quesiti:
con il primo si chiede se un superiore può ordinare ad un militare
la fruizione delle licenze e delle ore di recupero che avverrebbe
quindi in periodi non richiesti dall’interessato; il secondo quesito
si riferisce invece ad una recente direttiva interna alla caserma,
con cui l’autorità militare manifesta il suo disappunto per aver
rilevato degli eccessi di confidenza tra militari di grado diverso
durante un’attività ludica svoltasi al di fuori dell’orario di
servizio, invitando i comandanti a porre in essere le dovute azioni
di controllo. Su questo argomento ci viene chiesto di valutare fino
a che punto un comandante può intromettersi nella vita privata di un
soldato, arrivando a dare disposizioni finanche sui rapporti
interpersonali esistenti tra militari fuori servizio.
Sull’imposizione
delle licenze e dei recuperi
L’articolo 36 della Costituzione stabilisce il diritto del
lavoratore a fruire di ferie annuali retribuite.
La funzione delle ferie del lavoratore è quella
del “... recupero delle energie psico-fisiche e di cura delle
relazioni affettive e sociali ...” (Cassazione civile sez.
lavoro 28/08/2003 n° 12635).
In base all’articolo 10 del D.lgs.66/2003, fermo
restando quanto previsto dall'articolo 2109 del codice civile, il
prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie
retribuite non inferiore a quattro settimane (la contrattazione
collettiva poi può prevedere trattamenti più favorevoli). Tale
periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o
dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui
all'articolo 2, comma 2 dello stesso decreto, va goduto per almeno
due settimane consecutive, in caso di richiesta del lavoratore, nel
corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei
18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione.
Il comma 2 dell’articolo 2109 del codice civile
stabilisce il diritto [dopo un anno d'ininterrotto
servizio – dichiarato incostituz.] ad un periodo annuale di ferie
retribuito [c.c. 2243],
possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce,
tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del
prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita
dalla legge, dagli usi o secondo equità. Il predetto periodo minimo
di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa
indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del
rapporto di lavoro.
L’articolo 12 comma 7 del D.P.R. 394/95 (Recepimento
concertazione forze armate, 1995) stabilisce che la licenza
ordinaria “è un diritto irrinunciabile e non è
monetizzabile” ed inoltre l’articolo 10 comma 5 del D.P.R.
255/99 (Recepimento concertazione forze armate 1998/2001) e
l’articolo 11 comma 3 del D.P.R. 163/2002 (Recepimento concertazione
forze armate 2002-2003) stabiliscono che le ore straordinarie non
retribuite devono essere recuperate mediante riposo compensativo,
“tenendo presenti le richieste del personale e fatte salve
le improrogabili esigenze di servizio”.
Ed ancora in
base all’articolo 10 comma 7 del D.P.R. 394/95 (Recepimento
concertazione forze armate, 1995), le ore da compensare con il
recupero “sono assoggettate alla stessa normativa della licenza
ordinaria”.
Appare quindi
evidente che la licenza ordinaria e le ore da recuperare possono
essere classificate come diritti soggettivi, ovvero diritti a cui
l’ordinamento offre una piena tutela. Per consolidata giurisprudenza,
oltretutto, il riposo ordinario è finalizzato al recupero delle
energie psico-fisiche e, pertanto, deve essere esercitato
principalmente in relazione alle necessità personali del richiedente
(relative alla sfera privata; es. disponibilità degli altri membri
della famiglia, organizzazione eventuali viaggi, ecc.). Le
disposizioni richiamate tuttavia riproducono l’evenienza delle
improrogabili necessità di servizio che possono limitare la
fruizione del diritto.
Da una parte,
quindi, è opportuno che l’interessato tuteli la sua posizione
evidenziando che la mancata fruizione della licenza e delle ore di
recupero non è dovuta ad una sua libera scelta bensì ad una
imposizione dei suoi superiori gerarchici; ciò quantomeno al fine di
beneficiare delle conseguenze connesse con tale circostanza (ad
esempio il rinvio della fruizione all’anno successivo, e
corresponsione economica in caso di congedo). A tal riguardo è
opportuno che l’interessato presenti comunque la sua richiesta; sarà
cura poi dei suoi superiori rigettare eventualmente la domanda per
le ragioni di servizio che dovranno essere specificate (la
motivazione, in ossequio ai principi di trasparenza ed imparzialità,
è necessaria a maggiore ragione poiché viene limitarto un diritto
soggettivo).
Quando un
superiore impone il riposo con un ordine, la licenza e le ore di
recupero, piuttosto che un diritto, assumono la veste di un “dovere”,
dimostrandosi quindi incompatibili con la natura degli istituti in
analisi; sicché all’imposizione corrisponde una negazione del
diritto riconosciuto dalle fonti normative in appresso richiamate,
in quanto la fruizione dei giorni di licenza avverrebbe senza alcuna
considerazione delle necessità personali dell’interessato.
Con riferimento
alle forme amministrative con cui viene negato il diritto, merita
evidenza il fatto che sovente alla richiesta di licenza o permesso
formulata per iscritto, facciano seguito dei dinieghi taciti che di
fatto lasciano l’interessato sprovvisto di un riscontro oggettivo,
utile invece nei casi in cui debba far valere i benefici connessi
con il diniego per “motivi di servizio”. In questi casi è necessario
quindi documentare le ragioni del mancato godimento della licenza
nei periodi richiesti, ovvero “stimolare” una “formalizzazione”
degli impedimenti apposti dall’autorità militare.
Può essere utile
ad esempio la presentazione di una richiesta d’informazioni ex
legge 241/90 finalizzata a conoscere la determinazione
dell’amministrazione in merito alla richiesta della licenza
ordinaria e le ragioni che ne impediscono la fruizione; oppure una
istanza scritta di rapporto, ai sensi dell’articolo 39 del D.P.R.
545/86 - R.D.M. (Regolamento di Disciplina Militare), all’autorità
gerarchica sovraordinata, allo scopo di chiedere le ragioni del
diniego.
Ad ogni modo
deve essere evidenziato che la licenza è stata negata dai superiori
ovvero imposta in periodi non richiesti e che perciò non fa
riscontro alle proprie necessità personali/familiari.
Resta ovviamente salva la
possibilità per quest’ultimo di valutare la legittimità della
risposta ricevuta ed, eventualmente, adire le vie legali per
tutelare i propri diritti.
Si evidenzia infine che, quando le esigenze di servizio causano
problemi nella gestione delle licenze e dei permessi, ovvero tale
situazione si protrae per lunghi periodi, potrebbe essere adottata
come soluzione una programmazione dei permessi e delle licenze, al
fine di conciliare le necessità di servizio con quelle personali. Il
militare, oltretutto, ha la facoltà di esporre i suoi problemi e le
sue proposte avvalendosi del diritto a conferire con un superiore,
fattispecie stabilita dall’art. 39 del Regolamento di Disciplina;
mentre, d’altra parte, l’audizione dei subordinati e la valutazione
dei problemi familiari, costituisce un onere/dovere che le stesse
norme disciplinari impongono all’amministrazione e quindi ai
superiori gerarchici (artt. 3, 4 legge 382/78, art. 21 R.D.M.).
Sull’interferenza dell’autorità militare nella vita privata
In merito al secondo quesito, relativo ai rapporti interpersonali
adottati nella vita privata da militari aventi grado diverso (ma il
discorso non cambia per i militari in genere), riteniamo opportuno
citare integralmente un passo della pubblicazione “Disciplina
Militare”, edita da Sideweb e curata da Enzo Trevsiol.
<< … Il regolamento
di Disciplina Militare è stato emanato dal Governo nella forma del
Decreto Presidenziale (D.P.R. 545/86), in virtù della norma di
rinvio prevista dall’articolo 5 della legge sui principi della
disciplina militare n° 382 dell’11 luglio 1978. Nonostante lo scopo
dei regolamenti sia in generale quello di dare attuazione-esecuzione
alla legge, spesso accade che le norme in essi contenute siano
carenti sul piano della chiarezza e della completezza, e lascino
dunque degli enigmatici spazi interpretativi.
Le fonti
regolamentari possono altresì contrastare con i principi stabiliti
dalla stessa legge cui si riferiscono o con altre fonti di ragno
regolamentare o legislativo o di altro tipo. E così i “lati oscuri”
delle norme devono essere colmati dall’interprete chiamato ad
applicare la stessa fonte normativa in sede amministrativa (ad
esempio l’autorità militare) o in quella giurisdizionale (es. il
giudice che deve decidere su un ricorso)
In questi casi è
quindi l’interprete ad attribuire il significato alla norma,
scegliendo il criterio interpretativo utile al caso (v. art. 12
preleggi codice civile).
Nell’ambito della
disciplina militare, l’interpretazione sistematica può rivelarsi un
criterio utile se non determinante. Questo percorso interpretativo
impone invero di considerare la norma da applicare come una parte di
un sistema organico più complesso costituito da un insieme di
fonti normative: partendo ad esempio dalle fonti specifiche di
settore si può arrivare alle norme costituzionali e ai principi che
queste esprimono, al fine di individuare un significato ermeneutico
che sia in grado di dare coerenza alle diverse disposizioni e quindi
al sistema.
Un esempio
interessante può venire dal Regolamento di Disciplina Militare e
precisamente dall’articolo 10 comma 2 e dall’articolo 36: tali norme
prevedono che
“Il militare
“deve astenersi, anche fuori servizio, da
comportamenti che possano comunque condizionare l'esercizio delle
sue funzioni, ledere il prestigio dell'istituzione cui appartiene e
pregiudicare l'estraneità delle Forze armate come tali alle
competizioni politiche, fatto salvo quanto stabilito dal successivo
art. 29.”
(Art. 10 R.D.M.).
“Il militare deve
in ogni circostanza tenere condotta esemplare a salvaguardia del
prestigio delle Forze armate”( Art .36 R.D.M.).
Talvolta questa
disposizione è all’origine di provvedimenti disciplinari che
sanzionano taluni comportamenti posti in essere dai militari
nell’ambito della vita privata.
C’è da chiedersi
tuttavia fino a che punto queste sanzioni siano da considerarsi
legittime.
Sarebbe più
opportuno a questo punto formulare la domanda in termini diversi
ossia: in quali casi i comportamenti della vita privata danno luogo
ad una violazione delle norme disciplinari?
Un’interpretazione
sistematica della norma regolamentare in analisi, che tenga conto
anche del rapporto di gerarchia esistente tra le fonti del diritto,
impone che ogni disposizione del regolamento di disciplina sia letta
in primo luogo alla luce della legge 382/78.
E’ questa, infatti,
la fonte che determina i limiti entro cui può essere applicato il
regolamento di disciplina militare, ed in particolare l’art. 5 il
quale stabilisce che
" I militari sono
tenuti all'osservanza delle norme del regolamento di disciplina
militare dal momento della incorporazione a quello della cessazione
dal servizio attivo. Il regolamento di disciplina deve prevedere
la sua applicazione nei confronti dei militari che si trovino in una
delle seguenti condizioni: a) svolgono attività di servizio;
b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
c) indossano l'uniforme; d) si qualificano, in
relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad
altri militari in divisa o che si qualificano come tali.
L’unico ambito
applicativo del Regolamento di Disciplina Militare estraneo ai
quattro casi sopra indicati, può essere ricercato nell’ultimo
periodo dello stesso art. 5 della legge 382, il quale dispone quanto
segue:
Quando non ricorrono
le suddette condizioni, i militari devono essere comunque tenuti
all'osservanza delle disposizioni del regolamento di disciplina
militare che concernono i doveri attinenti al giuramento prestato,
al grado, alla tutela del segreto e al dovuto riserbo sulle
questioni militari, in conformità alle vigenti disposizioni di legge.
Tale ultima
disposizione non può che essere letta nel sistema rappresentato
innanzi tutto, dallo stesso regolamento di disciplina il quale,
all’articolo 28 “Diritti dei militari”, dispone che
1.
Ai militari spettano i
diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini.
2. Per i fini
previsti dalle norme di principio sulla disciplina militare sono
imposti ai militari le limitazioni ed i particolari doveri ivi
previsti.
In merito alle
finalità perseguite dalla legge 382/78, giova quindi richiamare
l’articolo 3 della stessa legge, il quale introduce un concetto di
“funzionalizzazione” delle Forze Armate stabilendo che:
“Per
garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze Armate
la legge impone ai militari limitazioni nell'esercizio di
alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di
particolari doveri nell'ambito dei princìpi costituzionali”
L’applicazione del
regolamento di disciplina militare incide pesantemente
sull’esercizio di numerosi diritti (si pensi ad esempio ai diritti
fondamentali come manifestazione di pensiero, la libertà personale,
libertà di riunione ecc.), di talché una sua applicazione illimitata
si dimostrerebbe oltremodo contraria ai principi costituzionali e ai
crismi di tipicità e di legalità che sono imposti ad ogni sistema
disciplinare e sanzionatorio.
Si rende necessaria
pertanto una definizione del margine d’applicazione delle regole di
disciplinari, che può essere individuato innanzitutto nella ratio
normativa che sottende la legge 382/78 ed altresì nei principi
dettati dalle norme costituzionali cui la stessa legge si richiama.
La
funzionalizzazione delle forze armate e i compiti istituzionali cui
esse sono preposte forniscono così una prima indicazione sui confini
entro cui applicare il regolamento, sicché le norme disciplinari non
possono essere adottate in relazione a quei comportamenti che non
rientrano nelle fattispecie indicate nell’articolo 5 della legge
382/78, ovvero a quelle condotte che non inficiano o condizionano i
”compiti istituzionali delle FF.AA. “... >>.
Riteniamo di poter condividere sotto il profilo logico-giuridico,
oltre che sostanziale, le conclusioni sopra esposte e, pertanto, a
nostro avviso, l’ambito di una manifestazione ludica, svolta in
luoghi non militari e per finalità non attinenti al servizio, non
può dare luogo all’applicazione del regolamento di disciplina
militare, anche nel caso in cui i partecipanti siano tutti o in
prevalenza militari. Pertanto, una direttiva o un provvedimento
disciplinare, emanati in relazione alle eccessive “confidenze”
interpersonali esistenti tra militari nella vita privata, sempre ché
non si configurino le circostanze descritte sopra (articolo 5 legge
382/78), si traducono senza dubbio in atti illegittimi censurabili
con gli ordinari strumenti di tutela ( ricorso gerarchico, ricorso
al TAR, ricorso Straordinario al P.D.R.). Non si può escludere,
infine, che tali comportamenti possano dare luogo altresì ad un vero
e proprio abuso d’autorità o ad altre condotte sanzionate dalle
leggi penali ordinarie e militari. La dove siano ravvisabili gli
elementi costitutivi di una fattispecie delittuosa, si potrà
interessare l’autorità militare/giudiziaria competente affinché sia
instaurato l’eventuale procedimento penale.
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25 luglio
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