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«Codice
disciplinare e sanzioni nella pubblica amministrazione, chiarimenti
dopo la riforma» |
Roma, 22 mar. - Pubblicità del codice disciplinare, titolarità dell’azione disciplinare, sanzioni nei confronti dei dirigenti, rapporto tra procedimento disciplinare e penale: su queste materie, recentemente modificate dal decreto legislativo n. 150/09 sull’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, è intervenuta a fornire chiarimenti la circolare n. 14 del 23 dicembre 2010 del Dipartimento della funzione pubblica (G.U. 57 del 10 marzo 2011).
Queste alcune delle indicazioni fornite.
Pubblicità del codice disciplinare
I datori di lavoro, comprese le pubbliche amministrazioni, hanno l’obbligo, previsto dalla L. 300/70 di portare a conoscenza dei lavoratori il codice disciplinare, cioè l’insieme delle norme, anche di derivazione contrattuale, relative alle possibili infrazioni, alle sanzioni e alle procedure di contestazione. La modalità prevista dalla L. 300 è quella dell’affissione in luogo accessibile a tutti, individuato nell’ingresso della sede di lavoro.
Il decreto n.150/09 è intervenuto in materia modificando l’art.55 del decreto legs. 165/01. Oggi è previsto che “la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice
disciplinare, recante l'indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all'ingresso della sede di lavoro».
La circolare della Funzione Pubblica precisa che le amministrazioni potranno completamente sostituire la pubblicità tramite affissione con la pubblicazione on line solo qualora
l'accesso alla rete internet sia consentito a tutti i lavoratori, tramite la propria postazione informatica; infatti, la pubblicazione risponde all'esigenza di porre il dipendente al riparo dal rischio di incorrere in sanzioni per fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze.
Perciò il codice disciplinare deve essere pubblicato, con adeguato risalto e indicazione della data, oltre che sull'home page internet anche di quella intranet dell'amministrazione. Le amministrazioni devono precostituire una prova dell'avvenuta pubblicazione, al fine di poter sviluppare la difesa nell'ambito di un eventuale contenzioso, chiedendo alla struttura interna competente alla pubblicazione di comunicare formalmente l'avvenuto adempimento.
A seguito della riforma, la modalità alternativa alla pubblicazione sul sito è solo quella dell’affissione all’ingresso della sede di lavoro poichè solo questo luogo particolare è espressamente considerato dalla norma vigente. Il codice disciplinare oggetto di pubblicità deve contenere sia le procedure previste per l'applicazione delle sanzioni sia le tipologie di infrazione e le relative sanzioni.
La pubblicità deve poi riguardare anche il codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in quanto queste regole integrano le norme contenenti le fattispecie di illecito disciplinare previste dai contratti collettivi e dalla legge.
Azione disciplinare, rafforzata la competenza del dirigente
Riguardo alla gestione del procedimento disciplinare, la riforma ha ampliato la competenza del dirigente della struttura in cui il dipendente lavora attribuendogliene la titolarità in riferimento ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del rimprovero verbale e della censura, già previste. Quando il responsabile della struttura è un dirigente questi potrà procedere alla contestazione dell'addebito e all'irrogazione della sanzione, dopo l’espletamento del relativo procedimento, per tutte le infrazioni “di minor gravità”, cioè quelle per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione sino a dieci giorni. Per le infrazioni di maggior gravità o nel caso in cui il responsabile della struttura non sia un dirigente,
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l'intera procedura deve essere svolta dall'ufficio
procedimenti
disciplinari.
Rimane salva
la
competenza
del
responsabile
della
struttura, a
prescindere
dalla
circostanza
che si
tratti di
dirigente o
non
dirigente,
di irrogare
il
rimprovero
verbale.
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Fonte:
Circolare n.
14 del 23
dicembre
2010
http://www.governo.it |
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
CIRCOLARE 23 dicembre 2010 , n. 14
Disciplina in tema di infrazioni e sanzioni disciplinari e
procedimento disciplinare - problematiche applicative. (11A03157)
Alle Amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del
decreto legislativo. n. 165 del 2001
1. Premessa.
Come noto, con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, sono
state apportate importanti innovazioni in tema di infrazioni,
sanzioni disciplinari, procedimento disciplinare e rapporti con il
procedimento penale. In particolare, l'art. 69 del citato decreto ha
sostituito l'art. 55 del decreto legislativo n. 165 del 2001 ed ha
introdotto gli articoli da 55-bis a 55-novies nel corpo del medesimo
testo normativo, mentre l'art. 72 ne ha abrogato l'art. 56.
Le nuove norme hanno carattere generale; la loro applicazione,
infatti, riguarda tutte le pubbliche amministrazioni di cui all'art.
1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come chiarito
dall'art. 74, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2009,
secondo cui: «Gli articoli (...) 69 (...) rientrano nella potesta'
legislativa esclusiva esercitata dallo Stato, ai sensi dell'articolo
117, secondo comma, lettere l) ed m), della Costituzione.» e
dall'art. 55, comma 1, del citato decreto legislativo n. 165, il
quale prevede che «Le disposizioni del presente articolo e di quelli
seguenti fino all'art. 55-octies (...) si applicano ai rapporti di
lavoro di cui all'articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2.». La nuova
disciplina riguarda solo il personale rientrante nel campo di
applicazione del decreto legislativo n. 165 del 2001, ossia il
personale dipendente c.d. «privatizzato» e soggetto alla disciplina
dei contratti collettivi di comparto; rimane pertanto invariato il
regime della responsabilita', del procedimento e delle sanzioni
disciplinari per il personale ad ordinamento pubblicistico, di cui
all'art. 3 del medesimo decreto.
Sempre il citato art. 55, comma 1, del decreto legislativo n. 165
del 2001 stabilisce poi che le disposizioni di cui agli articoli da
55 a 55-octies costituiscono norme imperative ai sensi e per gli
effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, c.c. Cio'
significa, in primo luogo, che tali disposizioni non possono essere
derogate dalla contrattazione collettiva, la quale puo' disciplinare
la materia nei limiti di quanto consentito dalla legge e negli ambiti
non riservati alla legge stessa (infrazioni e sanzioni, per quanto
non previsto nelle disposizioni in esame, procedure di conciliazione
non obbligatoria, procedimento per l'irrogazione delle sanzioni ai
dirigenti nei casi di cui agli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies,
comma 3, sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del
dipendente incolpato, altri aspetti relativi al rapporto di lavoro
inerenti la materia). Inoltre, la disciplina legale prevale sulla
disciplina sostanziale contenuta nei contratti collettivi, compresa
quella dei contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della
riforma (15 novembre 2009) e, in presenza di clausole contrattuali
difformi, si verifica la sostituzione della clausola nulla con
integrazione del suo contenuto ad opera della fonte di legge. Questo
meccanismo di sostituzione ha carattere automatico e, pertanto,
produce i suoi effetti gia' a livello di applicazione della norma da
parte dell'operatore, senza la necessita' di un accertamento
preventivo della nullita' della clausola da parte del giudice.
Con la presente circolare si intende fornire dei chiarimenti su
alcuni aspetti problematici di interpretazione o applicazione della
disciplina, in considerazione dei quesiti sottoposti al Dipartimento
della funzione pubblica.
2. La pubblicita' del codice disciplinare.
L'art. 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970 impone ai datori di
lavoro di portare «a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in
luogo accessibile a tutti» il codice disciplinare, cioe' l'insieme
delle norme, in particolare di derivazione contrattuale, «relative
alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di
esse puo' essere applicata ed alle procedure di contestazione delle
stesse». L'articolo non e' stato direttamente richiamato nel corpo
delle norme che dopo la riforma disciplinano la materia delle
infrazioni e sanzioni disciplinari, ma la sua portata deve intendersi
comunque estesa anche ai datori pubbliche amministrazioni, sia
perche' la regola della previa pubblicazione e' contenuta nei
contratti collettivi di comparto sia perche' il comma 2 dell'art. 55
del decreto legislativo n. 165 del 2001, come di seguito si vedra',
prevede una norma sulle modalita' di pubblicazione che sottende la
vigenza dell'obbligo di pubblicita'.
L'adempimento - la ratio della cui obbligatorieta' e' da ricercare
nella necessita' che sia assicurata a tutti lavoratori la conoscenza
del sistema delle regole dell'organizzazione di appartenenza
affinche' abbiano consapevolezza della responsabilita' perseguibile
sul piano disciplinare per le eventuali violazioni - per costante e
consolidata giurisprudenza, e' imprescindibile e propedeutico ai fini
della corretta attivazione dei procedimenti disciplinari e
dell'irrogazione delle sanzioni.
Come accennato, l'obbligo di pubblicazione del codice disciplinare
e' stato sancito - sulla base del richiamo all'art. 7, comma 1, della
legge n. 300 del 1970 contenuto nel precedente art. 55 del decreto
legislativo n. 165 del 2001 - dalla contrattazione collettiva del
settore pubblico: tra gli altri, lo prevede l'art. 13, comma 8, del
CCNL 12 giugno 2003 del comparto ministeri; l'art. 16, comma 10, del
CCNL 9 ottobre 2003 del comparto enti pubblici non economici; l'art.
64, comma 8, del CCNL 17 maggio 2004 del comparto Presidenza del
Consiglio dei ministri; l'art. 3, comma 10, del CCNL 11 aprile 2008
del comparto regioni-autonomie locali.
Le richiamate clausole contrattuali hanno disposto la tassativita'
e non fungibilita' con altre forme della pubblicita' realizzata
tramite affissione. Pertanto, le amministrazioni - datori di lavoro
hanno, sino ad ora, assolto l'obbligo tramite affissione del codice
disciplinare in luogo accessibile a tutti i dipendenti.
Il decreto legislativo n. 150 del 2009 e', tuttavia, intervenuto in
materia, modificando l'art. 55 del decreto legislativo n. 165 del
2001. In particolare, il comma 2 del nuovo art. 55, come sostituito
dall'art. 68 del decreto legislativo n. 150 del 2009, prevede che «La
pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice
disciplinare, recante l'indicazione delle predette infrazioni e
relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione
all'ingresso della sede di lavoro».
Le nuove disposizioni «costituiscono norme imperative ai sensi e
per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice
civile...». Come detto nel paragrafo precedente, cio' comporta
l'automatico inserimento nei contratti collettivi di tali
disposizioni e la conseguente sostituzione delle clausole difformi.
Peraltro, i CCNL stipulati dopo l'entrata in vigore della riforma
hanno recepito il nuovo principio, modificando la pregressa
disciplina e prevedendo che la pubblicazione avvenga mediante il sito
istituzionale dell'amministrazione (es., art. 8 del CCNL 4 agosto
2010 per l'Unioncamere; art. 9 del CCNL 12 febbraio 2010 dell'area I
della dirigenza; art. 7 del CCNL 22 febbraio 2010 per l'area II della
dirigenza).
Ai sensi della nuova norma, pertanto, le amministrazioni possono
assolvere all'obbligo di pubblicita' del codice disciplinare mediante
la pubblicazione sul sito internet istituzionale. Nella valutazione
operata dal legislatore, che tiene conto della piu' recente
evoluzione tecnologica delle modalita' di lavoro nelle pubbliche
amministrazioni, tale pubblicazione e' equivalente all'«affissione in
luogo accessibile a tutti» di cui al citato art. 7, luogo che viene
identificato dal menzionato art. 55 comma 2 nell'«ingresso della sede
di lavoro».
Le amministrazioni potranno completamente sostituire la pubblicita'
tramite affissione con la pubblicazione on line solo qualora
l'accesso alla rete internet sia consentito a tutti i lavoratori,
tramite la propria postazione informatica; infatti, deve essere
tenuto presente che la pubblicazione risponde all'esigenza di porre
il dipendente al riparo dal rischio di incorrere in sanzioni per
fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze.
Al riguardo, si raccomanda che il codice disciplinare venga
pubblicato con adeguato risalto e indicazione puntuale della data,
oltre che sull'home page internet anche di quella intranet
dell'amministrazione, solitamente utilizzata per le comunicazioni
interne del datore di lavoro, al fine di assicurarne la massima
visibilita' e conoscibilita'. Si raccomanda inoltre alle
amministrazioni di precostituire una prova dell'avvenuta
pubblicazione, al fine di poter sviluppare la difesa nell'ambito di
un eventuale contenzioso, chiedendo alla struttura interna competente
alla pubblicazione di comunicare formalmente l'avvenuto adempimento.
Si segnala infine che, a seguito della riforma, la modalita'
alternativa alla pubblicazione sul sito e' solo quella
dell'affissione all'ingresso della sede di lavoro poiche' solo questo
luogo particolare e' espressamente considerato dalla norma vigente.
Quanto ai contenuti della pubblicazione, si evidenzia che il codice
disciplinare oggetto di pubblicita' deve contenere sia le procedure
previste per l'applicazione delle sanzioni sia le tipologie di
infrazione e le relative sanzioni. La pubblicita' deve poi riguardare
anche il codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, attesa l'idoneita' delle sue regole ad integrare le
norme contenenti le fattispecie di illecito disciplinare previste dai
contratti collettivi e dalla legge.
3. La titolarita' dell'azione disciplinare:
a) il rafforzamento della competenza del dirigente;
La riforma ha voluto, in generale, valorizzare il ruolo del
dirigente sottolineando i suoi poteri, tra cui anche quelli di
valutazione, riconoscimento dei meriti e comminazione di sanzioni nei
confronti del personale. In questo contesto, l'art. 55-bis ha
ampliato la competenza del dirigente della struttura in cui il
dipendente lavora nella gestione del procedimento disciplinare,
attribuendogliene la titolarita' in riferimento ad ipotesi ulteriori
rispetto a quella del rimprovero verbale e della censura, uniche
situazioni in cui l'azione poteva essere esercitata da questo
soggetto in base all'abrogato art. 55, comma 4, del decreto
legislativo n. 165 del 2001. In particolare, dal comma 1 dell'art.
55-bis, risulta che quando il responsabile della struttura e' un
dirigente questi potra' procedere alla contestazione dell'addebito e
all'irrogazione della sanzione, previo espletamento del relativo
procedimento, per tutte le infrazioni «di minor gravita'». Secondo la
norma, rientrano nelle infrazioni di minor gravita' quelle per le
quali e' prevista l'irrogazione di sanzioni inferiori alla
sospensione dal servizio con privazione della retribuzione sino a
dieci giorni. Per le infrazioni di maggior gravita' o nel caso in cui
il responsabile della struttura non sia un dirigente, l'intera
procedura deve essere svolta dall'ufficio procedimenti disciplinari.
Rimane salva la competenza del responsabile della struttura, a
prescindere dalla circostanza che si tratti di dirigente o non
dirigente, di irrogare il rimprovero verbale, sanzione che, secondo
il comma 1 dell'art. 55-bis in esame e' soggetta alla disciplina
della contrattazione collettiva, che prevede l'irrigazione senza
particolari formalita'.
E' opportuno chiarire che con l'espressione in «possesso della
qualifica di dirigente» la norma fa riferimento non solo ai
dipendenti reclutati ed inquadrati come dirigenti a tempo
indeterminato, ma anche ai titolari di incarico dirigenziale con
contratto a tempo determinato, con inclusione quindi dei soggetti
preposti ai sensi dell'art. 19, comma 6, del decreto legislativo n.
165 del 2001 e ai sensi dell'art. 110 del decreto legislativo n. 267
del 2000 per gli enti locali o di analoghe norme previste negli
ordinamenti delle altre amministrazioni.
Per gli enti locali privi di qualifica dirigenziale, in linea con
l'orientamento espresso dall'ANCI nelle prime linee guida relative
all'applicazione del decreto legislativo n. 150 del 2009, la
competenza non sussiste invece in capo al dipendente titolare di
posizione organizzativa cui siano state attribuite le funzioni
dirigenziali ai sensi dell'art. 109, comma 2, del decreto legislativo
n. 267 del 2000, poiche' trattasi di soggetti non muniti di qualifica
dirigenziale.
Si evidenzia l'importanza dell'osservanza della previsione
normativa per le conseguenze che derivano dalla violazione della
regola rispetto alla sanzione comminata. Infatti, la violazione di
una norma di legge imperativa comporta la nullita' della sanzione
irrogata, come riconosciuto anche recentemente dalla giurisprudenza
della Corte di cassazione, Sezione lavoro («E' nulla, perche' in
contrasto con norme di legge inderogabili sulla competenza, la
sanzione disciplinare irrogata in esito a procedimento disciplinare
instaurato da soggetto od organo diverso dall'ufficio competente per
i procedimenti disciplinari» Cass., Sez. lav., 5 febbraio 2004, n.
2168; Cassazione civile, Sez. lav., 30 settembre 2009, n. 20981).
b) l'ufficio procedimenti disciplinari.
L'art. 55, al comma 4, stabilisce che «Ciascuna amministrazione,
secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i
procedimenti disciplinari». La disposizione non ha portata innovativa
rispetto al testo previgente; infatti, gia' l'art. 59 del decreto
legislativo n. 29 del 1993 aveva previsto l'individuazione di una
competenza ad hoc per la gestione del procedimento disciplinare
(U.P.D.). L'individuazione e' rimessa alla discrezionalita'
organizzativa di ogni amministrazione e non e' richiesta la
costituzione di un apposito ufficio; infatti, la competenza si puo'
svolgere anche nell'ambito di una struttura deputata a piu' ampie
attribuzioni, ma si tratta comunque di una competenza da esercitare
in via esclusiva.
La competenza del procedimento disciplinare spetta all'U.P.D. per
le ipotesi in cui il responsabile della struttura non abbia qualifica
dirigenziale e, comunque, per le infrazioni di maggior gravita'. Non
e' specificato in questo caso se il responsabile dell'U.P.D. debba
essere dirigente. E' chiaro che per le Amministrazioni dello Stato
questa rappresenta la regola generale, mentre per gli enti locali
privi della qualifica dirigenziale, frequentemente si presenta il
caso di investitura di funzionari. In proposito, poiche' il comma 4
del menzionato art. 55-bis per la costituzione degli U.P.D. fa rinvio
al «proprio ordinamento», negli enti locali privi di qualifica
dirigenziale la responsabilita' dell'ufficio puo' essere attribuita
anche ai funzionari a cui sono assegnate le funzioni dirigenziali ai
sensi del citato art. 109, comma 2, del decreto legislativo n. 267
del 2000. Nell'ottica della riforma, la particolare professionalita'
radica la competenza funzionale del servizio, supplendo anche alla
mancanza della qualifica (in riferimento al regime previgente la
riforma e alle competenze dell'U.P.D. la Corte di cassazione ha avuto
modo di affermare che «alcuna norma prevede che dell'Ufficio
procedimenti disciplinari debbano far parte dipendenti con qualifica
almeno pari a quella degli incolpati, ne' esiste un principio secondo
il quale soltanto siffatta composizione sarebbe idonea ad attuare il
principio di imparzialita' dell'amministrazione», Cass., Sez. lav.,
n. 10600 del 3 giugno 2004). Alternativamente, la scelta dell'ente
locale potrebbe ricadere sull'attribuzione delle funzioni in
questione al segretario comunale, opportunamente investito ai sensi
dell'art. 97, comma 4, lett. d), del medesimo decreto ovvero sulla
costituzione di un U.P.D. in convenzione con altri enti, ai sensi
dell'art. 30, comma 4, del testo unico.
Si rileva che la disposizione in esame, a differenza della norma
contenuta nel comma 4 dell'abrogato art. 55 del decreto legislativo
n. 165 del 2001, non prevede piu' espressamente che l'ufficio
competente dia avvio al procedimento a seguito della «segnalazione
del capo della struttura in cui il dipendente lavora», essendo stato
eliminato questo inciso. Con la riforma risulta chiaro che l'ufficio
si attiva non solo nei casi in cui pervenga tale segnalazione, ma
anche nelle ipotesi in cui lo stesso abbia altrimenti acquisito
notizia dell'infrazione. Cio' si evince dalla seconda parte del
medesimo comma, in cui si ancora la decorrenza del termine per la
contestazione dell'addebito dalla ricezione degli atti o
dall'acquisizione aliunde della notizia dell'infrazione.
Una volta investito correttamente della procedura da parte del
dirigente, l'U.P.D. sara' tenuto a svolgere il procedimento sulla
base dell'istruttoria; l'esito dello stesso potra' portare o
all'archiviazione o all'irrogazione della sanzione appropriata, che
potra' consistere anche in una sanzione di minore gravita' (ossia
inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della
retribuzione sino a dieci giorni), benche' in astratto questa rientri
nella competenza del dirigente rimettente.
4. L'irrogazione delle sanzioni disciplinari nei confronti dei
dirigenti, con particolare riferimento agli illeciti della mancata
collaborazione con l'autorita' disciplinare procedente e del
mancato esercizio o della decadenza dall'azione disciplinare.
L'art. 55 comma 4 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede
che: «Fermo quanto previsto nell'articolo 21, per le infrazioni
disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis,
comma 7, e 55-sexies, comma 3, si applicano, ove non diversamente
stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4
del predetto articolo 55-bis, ma le determinazioni conclusive del
procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di
incarico conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 3.».
La disposizione contiene una norma speciale relativa a specifiche
infrazioni ascrivibili ai dirigenti, ponendo una deroga al regime
ordinario sulla competenza per l'irrogazione delle relative sanzioni.
Gli illeciti sono quelli previsti dall'art. 55-bis, comma 7, e
dall'art. 55-sexies, comma 3, e, cioe', l'ipotesi di mancata
collaborazione con l'autorita' disciplinare procedente e l'ipotesi
del mancato esercizio o della decadenza dall'azione disciplinare. Si
tratta di illeciti riferiti specificamente allo svolgimento del
procedimento disciplinare, che sono stati introdotti dalla riforma
con l'obiettivo di assicurare l'effettivo esercizio dell'azione e
contrastare situazioni di collusione. La prima fattispecie, quella
della mancata collaborazione con l'autorita' disciplinare procedente,
e' riferita sia ai dirigenti sia ai dipendenti non dirigenti; la
seconda, quella del mancato esercizio o della decadenza dall'azione
disciplinare, e' un illecito proprio del responsabile della struttura
di appartenenza del dipendente incolpato o dell'U.P.D., sia esso
dirigente o non dirigente.
Per queste infrazioni, la norma in esame stabilisce che, se
l'incolpato e' un dirigente, si applica la procedura di cui al comma
4 dell'art. 55-bis, il quale prevede la contestazione dell'addebito e
lo svolgimento della procedura da parte dell'U.P.D., la decorrenza
del termine per la conclusione del procedimento dalla data di prima
acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da
parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, e
la possibilita' di raddoppio dei termini per le infrazioni di maggior
gravita' (tra le quali rientrano anche quelle in esame in quanto per
entrambe le fattispecie e' prevista in astratto la possibilita' di
comminare la sospensione dal servizio con privazione della
retribuzione per un periodo superiore a dieci giorni).
Secondo quanto previsto dalla medesima disposizione, i contratti
collettivi di riferimento possono disciplinare in maniera diversa
rispetto alla fonte legale le norme procedimentali contenute nel
citato comma 4 dell'art. 55-bis. Si precisa che la deroga in favore
della contrattazione collettiva non puo' pero' riguardare la materia
dell'organo competente all'avvio del procedimento, allo svolgimento
della procedura e all'irrogazione della sanzione, poiche' trattasi di
aspetti legati all'investitura di un organo, ossia all'attribuzione
di una competenza, i quali, in base ai principi costituzionali,
debbono essere necessariamente disciplinati da fonti normative. Al
riguardo, l'art. 55, comma 4, individua una specifica competenza per
l'irrogazione della sanzione nel caso in cui l'incolpato sia un
dirigente: questa spetta al dirigente di ufficio dirigenziale
generale o al titolare dell'incarico ai sensi dell'art. 19, comma 3,
del decreto legislativo n. 165 del 2001. Pertanto, per queste
specifiche infrazioni la competenza dell'U.P.D. e' diversa a seconda
che il dipendente soggetto passivo della procedura sia un impiegato o
un dirigente. Infatti, nel primo caso all'ufficio spetta l'intera
gestione del procedimento, dalla fase della contestazione a quella
dell'irrogazione della sanzione, mentre nel secondo, la competenza si
arresta all'istruttoria e le determinazioni conclusive del
procedimento sono rimesse al dirigente di ufficio dirigenziale
generale (se il procedimento riguarda un dirigente di ufficio non
generale) e al dirigente sovraordinato, come il capo Dipartimento o
il Segretario generale (se il procedimento riguarda un dirigente di
ufficio dirigenziale generale). L'espressione utilizzata dalla legge
«dirigente generale» va intesa come riferimento alla tipologia di
ufficio cui il dirigente e' preposto e prescinde dalla circostanza
che il dirigente incaricato appartenga alla prima o alla seconda
fascia; infatti, in questo contesto, non pare avere alcun rilievo la
circostanza soggettiva di essere iscritto alla prima o alla seconda
fascia del ruolo dirigenziale.
La norma non chiarisce se il dirigente sovraordinato debba essere
il responsabile dell'ufficio dirigenziale generale nell'ambito del
quale e' collocato l'ufficio dell'incolpato o il dirigente
dell'ufficio dirigenziale generale nel cui ambito e' compreso
l'U.P.D. La soluzione interpretativa piu' corretta sembra la seconda.
Infatti, tale soluzione consente meglio di soddisfare l'esigenza di
terzieta' e di uniformita' dell'organo in fattispecie di illecito
particolarmente delicate, come quelle in esame, che attengono alla
corretta incardinazione e svolgimento del procedimento disciplinare.
Inoltre, la determinazione di conclusione del procedimento puo'
comportare l'esercizio di una discrezionalita' piu' o meno ampia, ma
tale discrezionalita' puo' basarsi solo sulle risultanze
dell'istruttoria compiuta dall'U.P.D. a seguito della contestazione,
con la conseguenza che il ritenere al contrario la competenza in capo
al dirigente dell'ufficio nel cui ambito svolge la propria attivita'
l'incolpato sarebbe comunque irrilevante rispetto alla determinazione
conclusiva del procedimento.
Stante il silenzio della legge sul punto, e' rimesso all'autonomia
organizzativa di ciascuna amministrazione l'individuazione della
struttura e dell'organo competente a svolgere il procedimento ed
eventualmente ad irrogare le sanzioni nel caso in cui l'illecito sia
commesso proprio dal responsabile dell'U.P.D., dal dirigente
dell'ufficio dirigenziale generale sovraordinato e dai dirigenti
titolari di incarico di struttura complessa, ferma restando la
necessita' che l'individuazione sia effettuata a priori in astratto.
La formulazione della disposizione e' chiaramente riferita alle
Amministrazioni dello Stato, che sono tipicamente articolate in
uffici dirigenziali semplici e generali sovraordinati e nelle quali
e' presente la figura del Capo Dipartimento o del Segretario
generale. L'applicazione della norma nelle altre amministrazioni
necessita invece di un adattamento attraverso l'esercizio dei poteri
normativi ed organizzativi tipici di ciascun ordinamento e le
soluzioni sostanziali dovranno essere rinvenute nell'ambito della
particolare organizzazione di ciascun ente. Negli enti locali
l'attribuzione delle funzioni in questione potrebbe essere compiuta
in favore del segretario comunale o provinciale, opportunamente
investito ai sensi dell'art. 97, comma 4, lett. d), del medesimo
decreto.
Come detto, la competenza di cui al comma 4 dell'art. 55 ha
carattere speciale. Pertanto, per tutte le altre ipotesi di illecito
rimane ferma la disciplina generale sulla competenza alla
contestazione dell'addebito, allo svolgimento del procedimento e
all'irrogazione della sanzione di cui al menzionato art. 55-bis anche
nel caso in cui l'incolpato sia un dirigente. Da cio' deriva che, nel
caso di infrazioni di minor gravita', la procedura sara' svolta dal
responsabile dell'ufficio sovraordinato. Nelle altre ipotesi, la
competenza alla procedura spetta all'U.P.D., struttura che e'
titolare di una «competenza funzionale» ed il cui responsabile
pertanto si deve ritenere legittimato ad adottare la determinazione
conclusiva del procedimento disciplinare anche nei confronti di un
dirigente con incarico di livello superiore (sul punto e' opportuno
richiamare l'orientamento manifestato dalla Corte di cassazione nella
gia' citata sentenza n. 10600 del 3 giugno 2004). Stante il silenzio
della legge in merito, e' rimesso ancora una volta all'autonomia
organizzativa di ciascuna amministrazione l'individuazione
dell'organo responsabile dell'istruttoria e dell'organo competente
all'irrogazione della sanzione nel caso in cui l'illecito sia
commesso proprio dal responsabile dell'U.P.D.
In sintesi, tenuto conto dell'art. 55, comma 4, del decreto
legislativo n. 165 del 2001, il quadro generale risultante e' il
seguente:
fatti per i quali e' prevista la sanzione pecuniaria (la
sanzione sospensiva, per i dirigenti, e' sempre potenzialmente
superiore a dieci giorni): contesta e applica la sanzione il
dirigente capo della struttura;
fatti colpiti con sanzioni piu' gravi di quelle pecuniarie,
eccezion fatta per quelli indicati nel punto seguente: contesta e
applica la sanzione l'U.P.D.;
per le sole infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai
sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies, comma 3, si
applica il comma 4 del predetto articolo 55-bis, con contestazione
dell'addebito ed istruttoria dell'U.P.D., ma le determinazioni
conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente con incarico
dirigenziale generale della struttura sovraordinata all'U.P.D.
5. La ripresa e la riapertura del procedimento disciplinare a seguito
della comunicazione della sentenza di condanna del dipendente.
Come noto, con il decreto legislativo n. 150 del 2009 e' stato
modificato il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento
penale. Infatti, l'art. 55-ter del decreto legislativo n. 165 del
2001 ha introdotto la regola generale secondo cui il procedimento
disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in
relazione ai quali procede l'autorita' giudiziaria, e' proseguito e
concluso anche in pendenza di procedimento penale. Questa regola e'
inderogabile nel caso di esercizio dell'azione disciplinare per
infrazioni di minor gravita' e, pertanto, in tali ipotesi non e'
ammessa la sospensione del procedimento. La sospensione e' invece
ammessa per le infrazioni di maggior gravita', nei casi di
particolare complessita' dell'accertamento del fatto addebitato al
dipendente e quando, all'esito dell'istruttoria, non si disponga di
elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione. Secondo
quanto previsto al comma 4 del medesimo articolo, il procedimento e'
ripreso entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza
all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ed e' concluso
entro centottanta giorni dalla ripresa.
Al fine di rendere nota all'amministrazione procedente la pronuncia
della decisione giudiziale, l'art. 70 del decreto legislativo n. 150
del 2009 ha inserito un nuovo articolo nel decreto legislativo n. 271
del 1989 («Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale.»). Infatti, il nuovo art. 154-ter dispone
che «La cancelleria del giudice che ha pronunciato sentenza penale
nei confronti di un lavoratore dipendente di un'amministrazione
pubblica ne comunica il dispositivo all'amministrazione di
appartenenza e, su richiesta di questa, trasmette copia integrale del
provvedimento. La comunicazione e la trasmissione sono effettuate con
modalita' telematiche, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005,
n. 82, entro trenta giorni dalla data del deposito.». E' chiaro che
la ripresa del procedimento disciplinare sospeso puo' aver luogo solo
a seguito della conoscenza della sentenza integrale, comprensiva
della motivazione, poiche' l'istruttoria deve tener conto di quanto
risultante in sede penale (art. 653 c.p.p., richiamato dal comma 4
dell'art. 55-ter). Pertanto, il termine per la ripresa del
procedimento decorre dalla ricevimento della comunicazione della
sentenza integrale, non essendo sufficiente la conoscenza del
dispositivo.
Ad analoga conclusione si vede prevenire per l'ipotesi della
riapertura del procedimento prevista dal comma 3 del citato art.
55-ter nel caso in cui sia necessario adeguare le determinazioni
conclusive del procedimento disciplinare alle risultanze del giudizio
penale.
Al fine di agevolare l'esito celere delle procedure, si raccomanda
pertanto all'Amministrazione giudiziaria di provvedere con la massima
tempestivita' alla comunicazione del dispositivo a seguito della
richiesta dell'amministrazione interessata e, ove disponibile, a
trasmettere direttamente copia integrale della sentenza anziche' il
solo dispositivo anche a prescindere dalla richiesta.
Roma, 23 dicembre 2010
Il Ministro
per la pubblica amministrazione
e l'innovazione
Brunetta
Registrato alla Corte dei conti il 1° febbraio 2011
Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei Ministri,
registro n. 2, foglio n. 367
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