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ICI: l”Unione per la produzione della
patata” non la paga!
Roma, 22 dic. 2011 - Idem per chiese,
circoli tennis, fondazioni politiche,
bancarie, farmaceutiche; e poi allevatori di
conigli, bovini, cavalli da trotto, in
compagnia di associazioni di crematori, di
fioristi, anche di chi si occupa dei calli
dei nostri piedi.
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Una autocertificazione e… voilà, l’esenzione è servita! Basta dare uno sguardo alla congerie di organismi che nel corso del tempo ha chiesto e ottenuto di non pagare l’Ici grazie a una semplice autocertificazione: a Roma sono 2.800, proprietari in un modo o nell’altro di 3.500 immobili. E se il grosso dell’elenco è fatto dagli edifici di culto come le parrocchie (722) e le chiese (104), ma solo quelle che stanno su suolo italiano e non godono della extraterritorialità spettante agli edifici del Vaticano, discorso diverso vale per le confraternite trasformate in alberghi o bed & breakfast, per le 600 fondazioni politiche, bancarie, farmaceutiche (dalla Pfizer alla Telecom, passando per la dalemiana ItalianiEuropei, la Mediolanum di Doris e i Figli del Littorio che offrono borse di studio alla prole degli aviatori) e le 320 varie associazioni. Ci sono i produttori di bovini e gli allevatori di suini, i coniglicoltori, i podologi e i fioristi, c’è persino l’Unione per la produzione della patata, quella per la tutela dei cavalli da trotto, nonché l’istituto italiano alimenti surgelati. Ufficialmente il patrimonio immobiliare della Chiesa al di fuori delle mura Vaticane, dunque esente da tributi, è contemplato negli articoli dal 13 al 16 dei Patti Lateranensi. Comprende una serie di basiliche, conventi e palazzi (Dataria, Cancelleria e Propaganda Fide in Piazza di Spagna), oltre ad alcuni edifici che hanno progressivamente assunto il medesimo status: l’Università Gregoriana, gli Istituti biblico e orientale. Tuttavia il Concordato prevede speciali agevolazioni anche per le proprietà della Santa Sede e degli «enti ecclesiastici o religiosi». Questa definizione abbraccia anche quelle, tante, confraternite e congregazioni che ospitano attività commerciali: ristoranti, pensionati, persino hotel di charme. L’Istituto dei Fratelli di San Gabriele, per esempio, gestisce l’omonima casa d’accoglienza per visitatori e pellegrini in via Trionfale, «a 10 km dal Vaticano», recita la brochure che mette a disposizione una parte dei locali della Casa generalizia. Sono trenta le camere circondate da un parco con parcheggio per automobili e pullman, la presenza di una cappella la rende esente dall’Imu. Il piccolo Istituto suore carmelitane teresiane, in via Tasso, offre prezzi stracciati. O la Casa delle suore della Sacra Famiglia di Urgel, in via Dandolo, al Gianicolo: 25 euro la singola, 45 la doppia. E non paga l’Ici.
Ma le fondazioni politiche non sono da meno: È l’istituto dentro al quale finisce di tutto. Una “zona grigia” che alimenta il sospetto che le “fondazioni politiche” siano utilizzate come paravento per lucrare uno speciale regime fiscale e tributario. E così se i partiti sono Ici-free per legge, usufruiscono dello stesso trattamento anche gli spazi che ospitano scuole di politica e centri di ricerca. Perché non ci sono solo la Fondazione Fanfani, Iotti, Sturzo e Gramsci, ma anche la Fondazione Liberal (dal 2009 Liberal-Popolare) che vanta ben due immobili non tassati e, dice il sito, «ha natura politico culturale di orientamento liberalconservatore e teocon, è stata fondata ed è guidata da Ferdinando Adornato, attuale deputato e coordinatore dell’Unione di Centro». Poi c’è la Fondazione ItalianiEuropei (voluta da Massimo D’Alema), la Cristoforo Colombo per le libertà presieduta dall’ex ministro pdl Claudio Scajola, la Libera Fondazione di Giustina Destro, berlusconiana pentita, la scuola Democratica fondata da Walter Veltroni, l’ex finiana Fare- Futuro ora guidata da Adolfo Urso, la Fede e Scienza del centrista Rocco Buttiglione, la Magna Carta del pidiellino Gaetano Quagliarello. Senza dimenticare la Fondazione Willy Brandt, presieduta da quell’Ettore Incalza, già capo della struttura tecnica di missione dell’ex ministro Matteoli, invischiato nell’inchiesta sui Grandi eventi per aver beneficiato di 520 mila euro pagati dall’architetto Zampolini per conto dell’imprenditore Diego Anemone per l’acquisto della casa della figlia.
Poi ci sono i centri studio e le associazioni politiche a non versare un euro nelle casse del Campidoglio. I colossi della farmaceutica come la Pfizer e la Serono vantano un immobile esente Ici a testa. Così le maison dell’alta moda che si occupano di cultura: Alda Fendi e Carla Fendi; Biagiotti, Capucci, Fontana. Ancora, la Fondazione Cecchi Gori. Gli istituti di credito (Bnl, Credito cooperativo, Banca delle comunicazioni) e grandi aziende come Telecom Italia. L’Astrid di Franco Bassanini svolge ricerche sulla riforma delle istituzioni e l’innovazione nella pubblica amministrazione, ed è esente dall’imposta. Diversi immobili free seguono il filone produttivo: la Rete imprese presieduta da Giuseppe De Rita e la fondazione Ricerca e Imprenditorialità guidata dall’ex capo di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini. Il più blasonato è senza dubbio l’Aspen institute, i cui presidenti onorari sono Cesare Romiti e Carlo Scognamiglio, quello operativo è l’ex ministro Giulio Tremonti, il direttore generale è stato fino a un paio di settimane Marta Dassù, il neo-sottosegretario agli Esteri. Nel comitato esecutivo siedono, fra gli altri, il premier Mario Monti, i due Letta, Fedele Confalonieri e Romano Prodi. Onlus, certo, ma anche sigle che riuniscono appassionati delle più varie arti e settori di nicchia. Come l’Associazione nazionale allevatori del cavallo da sella italiano o i consulenti tributari. C’è l’Associazione romana cremazione e quella dei fioristi, l’Associazione nazionale allevatori razze charolaise e limousine, due tipi di bovini dal raro mantello bianco, oltre a vari gruppi di produttori ortofrutticoli. Il lungo elenco, 320 realtà, si chiude con “L’agricoltura è vita”.
Inchiesta di Anna Maria Liguori, Giovanna Vitale e Corrado Zunino, per Repubblica.
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