Essere precari delle FF.AA. stanca e non da un futuro al personale
Roma, 26 Mag. - Riceviamo e pubblichiamo, a cura del Dott. Rocco Morea.
Il c.d. Precariato Militare in ambito Difesa – Trasporti – Finanze (vds: Esercito, Marina Militare, Aeronautica Militare, Arma dei Carabinieri, Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, e Corpo della Guardia di Finanza), è seguitato alla complessa riorganizzazione delle FFAA sul modello professionale, ed in particolare al disposto normativo afferente la stessa “professionalizzazione” e alla conseguente assunzione di personale (cfr: LEGGE 14 novembre 2000, n. 331, DECRETO LEGISLATIVO 8 maggio 2001, n. 215 , LEGGE 23 agosto 2004, n. 226).
Infatti, nonostante il significativo appellativo dato al “sistema” testé citato, il servizio militare e le tutele previste per i lavoratori professionisti/professionali sono rimaste, per così dire, più legate ad un retaggio dell'Ancien Regime, che ad un effettivo studio di settore dell'impiego del personale a tempo determinato operante al giorno d'oggi.
A fortiori di un giudizio di inattuale oltre che anacronistica legislazione, frutto di un'antiquata e sorpassata considerazione del personale delle FFAA, depone la circostanza che già con il DECRETO LEGISLATIVO 6 settembre 2001, n. 368, parte della stessa richiamata normativa è stata sostanzialmente abrogata.
Stupisce, addirittura che, per quel che concerne gli Ufficiali Ausiliari, non esista alcuna tutela previdenziale, od alcun ammortizzatore sociale; cosa peggiore, risulta significativa la totale disapplicazione di tutte le Misure volte adagevolare l'inserimento dei volontari congedati nel mondo del lavoro.
In particolare, risulta all'evidenza dei fatti il continuo ricorso al richiamo temporaneo in servizio degli ufficiali ausiliari, prova comprovata dell'utilizzo indiscriminato ed indisciplinato di periodi di ferma e rafferma pluriennali, cui sono stati vincolati tutti gli ufficiali ausiliari a far data dal luglio 2001; infatti, la proroga del servizio a termine di detti uff.li non risulta giustificata da alcuna “motivazione obbiettiva” (in contrasto la direttiva 70/99/CE e con la Direttiva n. 7 del 30 aprile 2007, esplicativa della “stabilizzazione”, art.1, c.519, L.n296/06); proprio perché gli incarichi ricoperti, non vengono a determinarsi in seguito a necessità contingenti, quanto, piuttosto, per assolvere ad un'esigenza di servizio permanente.
Il personale in parola ha risposto ad effettive carenze d'organica andando a ricoprire, il più delle volte incarichi di capo ufficio per periodi di tempo tali da determinare un sicuro “sfruttamento” degli anni migliori per proporsi nel mondo del mercato del lavoro.
Nel merito di quanto sopra, giova ora sottolineare che l'Italia ha recepito nel proprio ordinamento la direttiva 70/99/CE con il DECRETO LEGISLATIVO 6 settembre 2001, n. 368 , nel quale ha disposto l'impossibilità a porre un termine temporale - anche se previsto da legge - al servizio “a tempo determinato”, qualora lo stesso risulti superiore ai 36 mesi in virtù di proroga, consentendone la trasformazione “a tempo indeterminato”.
Di più si aggiunge che, al pari di quanto disposto nella Direttiva Comunitaria, le Forze Armate, e, più in generale, tutto il Comparto Sicurezza non sono esclusi dal campo di applicazione del decreto legislativo (cfr: art10, D.Lgs. n.368/01) e che dalla data di entrata in vigore del decreto in parola sono abrogate tutte le disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono espressamente richiamate nel decreto legislativo stesso.
Circostanza ed effetti ribaditi prima in ambito europeo (nelle sentenze 4 luglio 2006, cause ruoli C 212/04, ma soprattutto C-53/04 e C-180/04 della Corte di Giustizia Europea), e poi, in Italia (con sentenze N. 428/2000 del Tribunale di Livorno in data 26.11.2010, n. 699/2009 Tribunale di siena, sentenza n.520/2011 del Tribunale di Genova, e Pronuncia del Trib. Trieste Sez. Lavoro, 27-12-2010).
La Corte di Giustizia Europea ha stabilito il beneficio in parola – trasformazione del rapporto a tempo indeterminato a seguito di abuso nell'utilizzo del personale a tempo determinato – essere valido per il personale del Pubblico Impiego (con ciò ricomprendendo pure il personale delle FFAA; infatti le decisioni adottate dagli Stati membri in materia di accesso all'impiego, di addestramento professionale e di condizioni di lavoro nelle forze armate allo scopo di garantire l'efficienza bellica, non sono escluse dall'ambito d'applicazione del diritto comunitario - procedimento C-273/97).
In conseguenza di ciò, il governo italiano, onde scongiurare gravosi ricorsi, ha stabilito una normativa sulla c.d. “stabilizzazione” per TUTTO IL PERSONALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE in possesso di 36 mesi di servizio (cfr, art.4 D.Lgs.n.368/01), ovvero nella possibilità di maturare il detto requisito nel corso dell'anno 2007 in virtù di proroga ante 29.09.2006 (cfr: L.n.296/2006, art.1, cc417 – 420, 519, 523, 526, e seguenti).
Tale sanatoria, però, non è stata applicata in maniera uniforme a tutti i dipendenti della P.A. – in particolare, per quanto attiene i militari è stata disposta la stabilizzazione dei soli Ufficiali ausiliari dell'Arma dei Carabinieri -. Questo atteggiamento ha determinato una serie di contenziosi – non ultimo l'attuale che coinvolge un nutrito numero di uff.li delle FFAA al Consiglio di stato, in attesa della fissazione della prima udienza –.
Nel merito di quanto testé riportato, a seguito dell'ORDINANZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA (Sesta Sezione) del 1° ottobre 2010 - in risposta a questione pregiudiziale del Giudice monocratico del tribunale di Rossano -,si è andato affermando anche nei tribunali italiani (Sentenza N. 428/2000 del Tribunale di Livorno in data 26.11.2010, Sentenza 699/2009 Tribunale di siena, Pronuncia del Trib. Trieste Sez. Lavoro, 27-12-2010, sentenza n.520/2011 del Tribunale di Genova), il riconoscimento del diritto alla tutela del lavoratore a tempo determinato a tutto il personale del pubblico impiego (artt.1,2,3, D.Lgs.n.165/01, ivi compresi, pertanto, i dipendenti delle FFAA) - che abbia prestato servizio per più di tre anni (cfr, art.4 D.Lgs.n.368/01)- di cui alla Direttiva comunitaria n.70/99/CE.