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Roma, 14 set. 2011 - Riceviamo e pubblichiamo un approfondimento in merito all'argomento in oggetto, a cura di Antonio Michele Vitale. Delegato Co.ce.r..    Condividi 
 

 

 

Profili di novazione del rapporto di impiego militare

 e progressione di carriera verticale

di Antonio Michele Vitale
Delegato CO.CE.R.
 

 

L’art. 9 commi 1 e 21 della legge 122/2010 crea non pochi problemi interpretativi in merito alla reale portata applicativa nei confronti del personale appartenete al comparto sicurezza e difesa. La mancanza di una netta distinzione nel sistema della progressione orizzontale e verticale della carriera militare evidenza gli effetti distorsivi dell’applicazione de plano, di una norma affetta da imprecisioni terminologiche e dalle poco chiare precisazioni dell’ambito applicativo.
 

In tale contesto, però, solo una lettura costituzionalmente orientata ed una interpretazione che porti a sanare i profili di irragionevolezza di una applicazione tout court, può ridare linearità alle dinamiche della regolamentazione di rapporti di impiego altrimenti ricadenti sotto l’effetto del “tetto retributivo” imposto dalla legge.
 

In particolare, la Commissione Speciale pubblico Impiego del Consiglio di Stato, investito sulla questione delle progressioni verticali nel pubblico impiego, con parere 3556/205 ha espressamente statuito che le stesse debbano essere assimilate alle nuove assunzioni.
 

Tale impostazione è stata avallata sia dal legislatore con il d.lgs 150/09, che ha modificato l’art. 52 del D.lgs. 165/2001, sia dalla Corte Costituzionale che ha ritenuto illegittime le leggi regionali che derogavano alla regola del concorso pubblico in materia di progressioni verticali di carriera.
 

Tuttavia, la specificità dell’ordinamento militare, la cui vigenza derogatoria è stata salvaguardata proprio dall’art. 3 del citato d.lgs 165/01, non ha risentito della novella normativa del 2009, tanto che le progressioni di carriera del personale militare sono rimaste immutate anche in assenza di una specifica definizione e distinzione della progressione orizzontale e verticale della carriera militare.
 

Tale distinzione, tuttavia, sebbene non esplicitata chiaramente, è parimenti esistente nell’ambito militare e ricalca per tanti versi la suddivisione adottata per il rimanente pubblico impiego.

Infatti, la progressione verticale del personale militare è specificatamente delineata da una serie di interventi normativi che definiscono i ruoli del personale e la progressione nei ruoli.
 

Nello specifico, si individua chiaramente il ruolo dei graduati, dei sergenti, dei marescialli, degli ufficiali direttivi e degli ufficiali dirigenti.

In ogni singolo ruolo è prevista una progressione di carriera “orizzontale” data dagli avanzamenti di grado e dalle anzianità di servizio, mentre il passaggio da un ruolo all’altro è assimilabile chiaramente ad una progressione di carriera “verticale”.
 

Il passaggio di ruolo del personale militare (progressione verticale di carriera) costituisce pacificamente una “novazione oggettiva” del rapporto di impiego militare. Fatto salvo il parere contrario del TAR Sicilia che con sentenza n. 647 del 01 aprile 2011, discostandosi dal consolidato orientamento del Consiglio di Stato, ha ritenuto che la progressione verticale costituisca una mera modificazione del rapporto di impiego preesistente, si può asserire con assoluta certezza che il passaggio di ruolo, e quindi la progressione verticale di carriera, costituisca una novazione oggettiva del rapporto di lavoro e pertanto debba essere assimilata alle nuove assunzioni.
 

Sulla scorta di tale impostazione, si può dedurre che in riferimento al personale di cui all’art. 3 del d.lgs 165/01, le progressioni di carriera a cui si riferisce il comma 21 della legge 122/2010, siano quelle orizzontali disposte per l’attribuzione del beneficio economico dovuta alla promozione nel ruolo ed alla anzianità di servizio nel ruolo medesimo.

Viceversa, le progressioni di carriera verticali (novazione di rapporto a seguito di passaggio di ruolo), devono ritenersi escluse proprio per espressa previsione normativa. Infatti, la locuzione “conseguimento di funzioni diverse in corso di anno” indicata all’art. 9 comma 1 della legge 122/10 quale condizione derogatoria al tetto retributivo, assume una valenza precettiva e recupera un proprio autonomo significato, solo se si riferisce alle ipotesi di novazione oggettiva del rapporto di impiego.

Che il “conseguimento di funzioni diverse” debba essere escluso dal tetto retributivo è stato chiarito anche con parere del 08 settembre 2010 dalla Sezione regionale della Corte dei Conti per il Piemonte (delibera 51/2010), con la quale ha chiarito che il tetto retributivo deve essere inteso “al netto” dell’incremento retributivo derivante dal conseguimento delle funzioni diverse.
 

Una diversa interpretazione, oltre a cozzare con i precetti costituzionali, produrrebbe profili di irragionevolezza applicativa.

Per tale motivo, l’infelice e poco chiara formulazione del combinato disposto di cui ai commi 1 e 21 della legge 122/10, per recuperare nell’ambito militare l’identica valenza precettiva valevole per il rimanente pubblico impiego, evitando in tal modo ingiustificate disparità di trattamento, deve riferirsi alle sole progressioni di carriera orizzontali nei ruoli e non già ai passaggi fra ruoli diversi.


Infatti, non avrebbe senso sperequare il sergente promosso maresciallo a seguito di concorso interno rispetto al maresciallo tratto direttamente a seguito di concorso pubblico.
 

La specifica disciplina dettata dall’ordinamento, ed in quanto tale sottratta all’applicazione dell’art. 52 del d.lgs 165/01, non può risolversi in un ingiustificato nocumento per il personale appartenente al comparto sicurezza e difesa. La particolare disciplina della riserva dei posti, delle valutazioni concorsuali per titoli o per esami, o della mera valutazione per titoli per l’accesso alla dirigenza, trova un paritetico corrispettivo logico e funzionale nelle paritetiche figure professionali del pubblico impiego.

Asserire che l’attribuzione della qualifica dirigenziale in ambito militare, frutto di una selezione concorsuale per titoli, costituisca una novazione del rapporto preesistente, è  un dato così incontrovertibile che non abbisogna neanche di dimostrazione.
 

Il conseguimento ope legis del nuovo incarico e della nuova funzione dirigenziale connesso all’attribuzione del grado di colonnello, comporta la costituzione di un nuovo rapporto di impiego, che trova la sua fonte direttamente nella legge e non nel contratto individuale.

La particolare disciplina del ruolo dei dirigenti militari, (istituto della riduzione quadri, mobilità, ecc.) chiarisce i caratteri della novazione oggettiva del rapporto preesistente, e che pertanto deve essere considerato alla stessa stregua di una progressione verticale e quindi di una nuova assunzione.
 

Per tale motivo, sebbene restino seri dubbi di costituzionalità sulla portata applicativa dell’art. 9 della legge 122/10, si ha ragione di ritenere che per recuperare una uniforme e più ragionevole valenza precettiva in ambito militare della norma citata, tali criteri interpretativi debbano ispirare la lettura del testo normativo.

 

Roma 12 settembre 2011

                                                                                                                                

 Antonio Michele Vitale
(delegato Co.Ce.R.)

 

 

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