Il soldato Dario va alla guerra. Una sporca guerra. Una guerra che non ti fa sentire eroe come i compagni che rischiano la pelle in Libano, in Afghanistan, in Libia. Una guerra di cui non riferiscono ogni sera i telegiornali e dove i nemici parlano la tua stessa lingua. È la guerra che si combatte ogni santo giorno nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria, l’autostrada infinita la cui prima pietra viene posata nel 1962 dal presidente del Consiglio Amintore Fanfani, con la promessa: «La faremo entro due anni». Ce ne vogliono 12 per completarla, ma quasi dal giorno dopo iniziano i guai, con interi tratti che sprofondano per le frane e la A3 che viene ridotta al rango di strada. Dopo tanti progetti, i lavori per il rifacimento riprendono nel 1997: nel 2009 il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli azzarda il completamento per il 2013.
A oggi, la situazione è questa: dei 443 chilometri di lunghezza complessiva, 210 risultano aperti al traffico, 173 sono in corso di costruzione, 60 sono in fase di progettazione. Questi dati vengono forniti dall’Anas, la società controllata dal ministero dell’Economia che di fatto è il gestore e il responsabile dell’opera. Alla società presieduta da Pietro Ciucci tengono a sottolineare il cambio di marcia degli ultimi quattro anni, quando sono stati consegnati 109 chilometri sul totale dei 210 aperti al traffico.
Il nuovo corso ha attratto le mire della criminalità organizzata meridionale. Soprattutto della ‘ndrangheta, che su quei piloni di cemento sicuramente ha sperato di poter mettere le mani. E negli ultimi cinque anni l’escalation degli attentati compiuti dalla criminalità organizzata contro i cantieri e contro gli operai impegnati nel completamento dell’opera è stata impressionante: betoniere bruciate, sabbia negli ingranaggi delle ruspe, bombe molotov, agguati anche in pieno giorno. Si dice sia la prova del fatto che le organizzazioni criminali sono state tenute in qualche modo fuori dagli appalti. Comunque stiano le cose, il governo decide di tirare avanti, anche a costo di schierare l’esercito per fare lavorare gli operai. Ed è proprio quello che è successo dall’11 febbraio di quest’anno, quando sono arrivati in Calabria 50-60 soldati della Brigata meccanizzata Aosta. Sono stati impegnati in tre cantieri nevralgici: a Barritteri, Campo Calabro e Costa Viola, recintati e trasformati in fortini. I militari controllano ogni accesso e pattugliano le aree interessate «acca ventiquattro», come dicono in gergo per indicare un lavoro che va avanti giorno e notte senza soluzione di continuità.
Il comando delle operazioni è affidato al tenente colonnello Maurizio Greco. È nato a Messina nel 1970, otto anni dopo la prima pietra di Fanfani. Terminate le scuole superiori, è entrato all’Accademia militare di Modena. Due anni di corso più altri due a Torino, poi una sfilza di incarichi in giro per l’Italia e nello stato maggiore dell’Esercito fino all’ultimo: oggi è il comandante del primo gruppo del 24esimo Reggimento artiglieria terrestre peloritani. Quando il colonnello arriva al cantiere di Barritteri, gli si fa incontro un soldato che si ferma un metro davanti a lui e gli urla in faccia: «Comandi!». Come non si conoscessero, continua a urlare che è il «primo caporal maggiore Giuseppe Cerasa, capo servizio di vigilanza presso il sito di piano Barritteri». E sempre usando il linguaggio militare gli dice che va tutto bene e non hanno avuto particolari problemi. Alle loro spalle dei grossi cilindri di acciaio alti una ventina di metri sputano cemento nelle pance delle betoniere che vengono a fare rifornimento e corrono verso i cantieri.
Pochi metri più in là, un paio di camion bruciati testimoniano perché l’esercito è arrivato fin lì. E fa un certo effetto vedere una donna con il fucile mitragliatore a pochi metri dalle ruspe. Fa effetto perché, quando le chiedi il nome, ti risponde «caporal maggiore Falaci Alessandra»: grado cognome e nome, come da procedura. E fa un certo effetto anche quando ti racconta che ha 28 anni, che si è laureata in legge e che sta nell’esercito dal 2008.
Alessandra dice che è sempre stata attratta dalla disciplina e che in famiglia sono tutti contenti. Lei sta facendo la volontaria in ferma prolungata, per quattro anni, e alla fine sogna di rimanere soldato. Le sue amiche la guardano con ammirazione e apprezzano il suo coraggio, anche quello di stare lontano da casa per lunghi periodi. Intanto, poco lontano da lei, il caporale Cerasa e un altro soldato beneficiano del caffè offerto dagli operai.
Diversi chilometri più in là, a Campo Calabro, è il momento del «cambio muta», il cambio della guardia. Anche qui il cantiere è tutto recintato e in alto ci sono le telecamere, oltre a una guardia giurata all’ingresso. Sembra di stare dentro un bunker, non in un’area dove si sta costruendo un’autostrada. Qui il caporale Dario Gagliano racconta del giorno del suo giuramento, a Capua, e i suoi occhi mori trasmettono gioia, felicità, energia: «Oltre le transenne c’erano tutti i genitori, io avevo la pelle d’oca, l’adrenalina altissima. Sentivo il mio blocco marciare come un sol uomo, in sottofondo la marcia della parata degli eroi. Se ci fossimo trovati un muro di cemento davanti, lo avremmo spezzato».
Accanto a lui, il caporal maggiore Caccamo Gaetano, calabrese di 25 anni: in tutta la sua vita non ha mai percorso la Salerno-Reggio Calabria senza incappare in un’interruzione.
L’ultima tappa del giro di perlustrazione del colonnello Greco è a Costa Viola, vicino a Reggio, dove i suoi uomini lo accolgono dietro una vera e propria trincea, alta 1 metro e mezzo e fatta con i sacchetti di sabbia. Dietro quella protezione c’è sempre un militare fisso, armato. Il suo compito è fare in modo che non si ripeta quel che qui è successo anche negli ultimi mesi: intimidazioni violente, con automobili che si fermano all’improvviso e uomini che sparano all’impazzata verso gli operai.