India, la perizia accusa i due Fucilieri del Battaglione San Marco. "Dai loro fucili spari ai pescatori"
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New Delhi, 15 apr 2012 - Secondo il rapporto balistico - di cui il Tg1 è entrato in possesso - i proiettili che colpirono i due indiani partirono dalle armi sequestrate a bordo della Enrica Lexie. CondividiI proiettili che hanno ucciso i due pescatori indiani, per la cui morte sono accusati i due marò detenuti in India, sarebbero stati sparati dai due fucili Beretta 70/90 calibro 556 sequestrati a bordo della Enrica Lexie. Lo riferisce il Tg1 entrato in possesso del rapporto sulla perizia balistica inviato dal direttore del laboratorio di Trivandrum - dove sono state condotte le analisi - al magistrato di Kollam. "Ai punti 6 e 7 - spiega il servizio del Tg1 - i proiettili nel reperto 1.4 e 2.3 sono stati sparati dall'arma da fuoco contenuta nei reperti rispettivamente numero 14 e 11, cioè dai due fucili Beretta 70/90 sequestrati a bordo della petroliera. I reperti 1.4 e 2.3 contengono i proiettili con accanto rispettivamente i nomi dei due pescatori uccisi".Qualche giorno fa la stampa indiana aveva già fatto trapelare il contenuto della perizia 1. Il governo italiano mantiene comunque la sua linea, secondo cui la giurisdizione nel caso di militari è di competenza dell'Italia. Il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura aveva detto che, per un giudizio approfondito "c'è bisogno del rapporto ufficiale, e non di indiscrezioni di stampa". De Mistura,
Roma, 13 apr 2012 - Sono passati quasi due mesi dalla carcerazione dei Fucilieri, reclusi in un carcere in India con l'accusa di aver ucciso due pescatori sparando dalla petroliera Lexie, che si trovava in acque internazionali, durante il servizio anti-pirateria affidato agli uomini del battaglione San Marco.
La perizia indiana afferma che quello utilizzato per uccidere i pescatori è un calibro 7,62; mentre quelli in dotazione ai marò, nonché le stesse rinvenute a bordo della nave Lexie, sono i Beretta AR 70/90 avente il calibro 5,56. Da ciò si può dedurre che l’accusa monta le basi della propria tesi su un proiettile inesistente. La Torre e Salvatore Girone, senza prove concrete a loro imputabili.
Tra i fucili
sequestrati a bordo
della Lexie: sei
fucili AR 70/90 e
due mitragliatrici
Minimi ma nessun
ARX-160, da cui
sarebbero partiti i
colpi secondo
l’accusa indiana. Di Stefano conferma che il proiettile appartiene ad una mitragliatrice russa PK, ben diversa dalla Beretta AR 70/90 o dalle mitragliatrici Minimi, in dotazione al reparto italiano. Il sospetto, che trova conferma nella realtà, è che le autorità indiane sono state a conoscenza fin da subito che il calibro non appartiene ai proiettili italiani. Un’ispezione alle canne dei fucili Beretta avrebbe dissipato ogni dubbio. Il garbuglio e la confusione generate per camuffare una realtà evidente, cioè l’innocenza dei militari, è palese anche dall’estromissione dei tecnici dell’Arma dei Carabinieri alle indagini, ammettendone la presenza solo in veste di osservatori. A completare la malafede indiana aggiungiamo le versioni più volte cambiate degli occupanti del peschereccio a bordo del quale si trovavano le vittime, tra le quali ricordiamo l’ora dell’attacco riferito: le 16,15 che coincide con una posizione ben distante dalla Lexie, posizionata a 27 miglia più a nord della piccola imbarcazione. Successivamente all’evento, la Guardia Costiere chiede a 4 delle 5 navi presenti nella zona, tra cui la Lexie, di entrare nel porto indiano per indagini, escludendo l’imbarcazione greca Olimpyc Flairs, nonostante questa avesse appena denunciato di aver subito un attacco pirata. La Corte di Kerala ha paragonato la morte dei due pescatori ad un atto di terrorismo, determinato da presunti spari contro l’imbarcazione senza segnale di preavviso, mentre gli occupanti dormivano, in pieno giorno. Alla definizione di terrorismo l’India è approdata per giustificare l’applicazione della giurisdizione indiana in acque internazionali, come prevede il trattato Sua Act (Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Maritime Navigation). Nel frattempo i marò sono stati sottoposti ad un ulteriore interrogatorio da parte della polizia indiana al quale si sono rifiutati di rispondere: “Non riconosciamo il tribunale che ci interroga; la posizione del nostro governo è che la giurisdizione su questa vicenda è italiana“. L’assenza di prove, la strafottenza e l’aria di supremazia che caratterizza la gestione indiana della faccenda, cominciano a infastidire tutti. Vogliamo i marò liberi, a casa nostra. Sarebbe opportuno l’Italia assumesse un atteggiamento più duro con l’India, anche a costo di mettere da parte l’arte della diplomazia, in favore di una celere risoluzione. La denuncia alle Nazioni Unite circa la reiterazione della violazione dei diritti, sarebbe una tematica da far valere, sottolineandone il peso e non una “toccata e fuga” dell’argomento. L’assenza di tutela dei servizi in mare come quello dell’antipirateria, è disarmante. A tal proposito il Cocer, organo di rappresentanza militare, ribadisce al capo di Stato maggiore delle Difesa, generale Abrate, che se la vicenda si concluderà con un processo indiano dei due marò, le scelte saranno: o la revisione di regole di ingaggio o la loro rinuncia. Il 13 aprile a Kerala si sospenderanno per un mese di ferie i lavori degli uffici pubblici, tra i quali quelli in tribunale, che vedranno la sostituzione dei giudici con i vacation judges, giudici supplenti peraltro poco affidabili. Fonte - >>> |