E seguire la missione
Antica Babilonia.
Massimo, però, era
figlio d'arte: suo
padre, oggi 69 anni, è
arrivato al grado di
generale, tra gli
incarichi quello di
numero uno del Comando
alleato interforze del
Sud e delle Forze
operative terrestri
dell'esercito e di
consigliere militare
alla presidenza del
consiglio. A maggio di
quel tragico 2003 il
generale Ficuciello va
in pensione «e forse la
decisione di Massimo di
tornare sul campo -
spiega suo padre - può
interpretarsi anche come
un desiderio di
continuità nella
famiglia».
Il resto è storia nota:
durerà solo un mese,
fino all'esplosione del
camion bomba nella base
dei carabinieri,
l'esperienza del tenente
della riserva, tante
foto con i bambini
iracheni sorridenti, che
scrive un giorno: «Sono
nel traffico, ci sono
tante macchine. E se
qualcuna di queste fosse
un'autobomba?». Alberto
Ficuciello, oggi, dice
che «il tempo ti aiuta,
all'inizio, a trovare la
forza di andare avanti».
Certo, c'è sua moglie,
Berta, e Corrado, il
figlio più grande, 43
anni. Lo scorrere dei
giorni, però, non
attenua il dolore, anzi:
«Si può vivere senza un
braccio, ma ogni giorno
ti accorgi di non averlo».
Eppure questo signore
pacato, lucido e
profondamente orgoglioso
di essere militare,
pensa che la tragedia di
Nassiriya «è servita a
recuperare una coscienza
nazionale, a far capire
a ogni cittadino che
siamo impegnati nel
mondo e ci può anche
essere un prezzo da
pagare. Ma se si
costruiscono dappertutto,
ormai, monumenti ai
caduti in Iraq e nelle
altre missioni
all'estero, ciò
significa - sottolinea -
che abbiamo ritrovato
una consapevolezza che
avevamo perduto».
Ci tiene a sottolineare,
Alberto Ficuciello, «che
bisogna ricordarsi dei
soldati prima che vadano
a morire. Se i militari
chiedono più risorse, è
perchè servono davvero.
Non ci piangiamo addosso,
e il nostro giuramento
di fedeltà è un atto di
incrollabile lealtà».
Dal sito www.ilsole24ore.com