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di Barbara Schiavulli
ROMA (17 ottobre) - Il generale Mauro
del Vecchio, 63 anni, oggi senatore
del Pd, comandante italiano
dall’agosto 2005 al maggio 2006 in
Afghanistan, non crede a quello che
legge sui giornali. Gli italiani non
hanno pagato i talebani per non
essereE attaccati. Anzi il lavoro del
contingente italiano è spesso stato
preso ad esempio.
Le ultime rivelazioni del Times
indicano che i servizi segreti
italiani, oltre ad aver pagato i capi
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talebani di
Surobi, lo farebbero anche ad Herat. Che ne
pensa?
«Quando ero in Afghanistan, i servizi
segreti non dipendevano da me, ma si collaborava
per quanto riguardava le informazioni di
intelligence. Non ho mai avuto sentore o
conoscenza di fatti del genere. La nostra
attività operativa è sempre stata limpida.
Abbiamo lavorato accanto agli afgani con un
comportamento che ha sempre voluto mantenere lo
sforzo che serve per stare vicino a una
popolazione. Se poi si vuole vedere l’aiuto
verso gli afgani come qualcosa di non giusto,
allora questo è un altro discorso. Non so che
gioco ci sia dietro e per quale motivo ci si
rivolge all’Italia in questa maniera. Certo c’è
in ballo l’aumento delle truppe in Afghanistan.
Ma potrebbe essere anche una strategia dei
talebani che vogliono mettere in difficoltà i
contingenti che hanno rapporti migliori con la
popolazione. Gli italiani sanno accattivarsi la
gente, gli afgani li apprezzano per il loro
comportamento professionale e attento verso le
loro esigenze».
La situazione sembra peggiorare di giorno in
giorno, si parla di aumentare le truppe, ma cosa
è successo?
«L’ “insorgenza” è dilagata ed è infastidita
dalle forze afgane che lentamente vengono
addestrate. Era già forte nel 2005, il problema
è che in questo tempo non si sono raggiunti i
risultati in quel processo di stabilizzazione
nel quale siamo impegnati. L’Afghanistan è un
paese difficile, anche solo dal punto di vista
ambientale. Un’operazione di questo tipo non può
avvenire senza il consenso della popolazione.
Non si deve aiutare solo dal punto di vista
della sicurezza, ma da quello economico e
sociale. Non siamo stati capaci di dare questo
segnale. Non abbiamo staccato nettamente la
popolazione da chi non ha interesse che la
situazione in Afghanistan migliori. La nuova
presidenza di Obama ha sottolineato l’esigenza
di una nuova strategia, prendendo una direzione,
che è quella già da anni avviata dai contingenti
italiani: fare attenzione alle esigenze della
popolazione anche per quanto riguarda la
ricostruzione, dalle istituzioni, alle strade».
Quanto è difficile sostenere un processo
democratico quando il presidente stesso che si
appoggia si macchia di brogli incalcolabili,
tanto da impedire che ancora due mesi dopo le
elezioni, non si sia in grado di annunciare il
vincitore.
«Tutte queste polemiche e brogli non fanno
bene alla democrazia e all’autorevolezza che
dovrebbe avere un governo. La popolazione ha
bisogno di un esecutivo forte. Una delle
soluzioni potrebbe essere forse formare un
esecutivo che superi i contrasti, un governo di
unità nazionale sotto il controllo delle Nazioni
Unite. La corruzione è talmente endemica e
visibile che certo non aiuta a conquistare i
cuori e le menti degli afgani. Serve una
conferenza interregionale che veda coinvolti
tutti i Paesi confinanti: un progetto di
pacificazione regionale, che coinvolga i
talebani moderati».
A questo proposito non si può ricordare la
situazione esplosiva del Pakistan, ormai da
dieci giorni, quotidianamente sotto attacco.
«Il Pakistan è immerso fino al collo nella
crisi afgana. I santuari dell’insorgenza sono
tutti sul suo territorio. Qualsiasi sviluppo
positivo in questo conflitto non può avvenire
senza il coinvolgimento del Pakistan».
FONTE:www.ilmessaggero.it
Sideweb s.r.l., 22/10/2009
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