Buona
sera
e
Buon
Anno
a
voi
tutti,
italiane
e
italiani
di
ogni
generazione.
Non
vi
stupirete,
credo,
se
dedico
questo
messaggio
soprattutto
ai
più
giovani
tra
noi,
che
vedono
avvicinarsi
il
tempo
delle
scelte
e
cercano
un'occupazione,
cercano
una
strada.
Dedico
loro
questo
messaggio,
perché
i
problemi
che
essi
sentono
e si
pongono
per
il
futuro
sono
gli
stessi
che
si
pongono
per
il
futuro
dell'Italia.
Incontrando
di
recente,
per
gli
auguri
natalizi,
i
rappresentanti
del
Parlamento
e
del
governo,
delle
istituzioni
e
dei
corpi
dello
Stato,
ho
espresso
la
mia
preoccupazione
per
il
malessere
diffuso
tra
i
giovani
e
per
un
distacco
ormai
allarmante
tra
la
politica,
tra
le
stesse
istituzioni
democratiche
e la
società,
le
forze
sociali,
in
modo
particolare
le
giovani
generazioni.
Ma
non
intendo
tornare
questa
sera
su
tutti
i
temi
di
quell'incontro.
Ribadisco
solo
l'esigenza
di
uno
spirito
di
condivisione
- da
parte
delle
forze
politiche
e
sociali
-
delle
sfide
che
l'Italia
è
chiamata
ad
affrontare;
e
l'esigenza
di
un
salto
di
qualità
della
politica,
essendone
in
giuoco
la
dignità,
la
moralità,
la
capacità
di
offrire
un
riferimento
e
una
guida.
Ma a
questo
riguardo
voi
che
mi
ascoltate
non
siete
semplici
spettatori,
perché
la
politica
siete
anche
voi,
in
quanto
potete
animarla
e
rinnovarla
con
le
vostre
sollecitazioni
e i
vostri
comportamenti,
partendo
dalle
situazioni
che
concretamente
vivete,
dai
problemi
che
vi
premono.
Siamo
stati
anche
nel
corso
di
quest'anno
2010
dominati
dalle
condizioni
di
persistente
crisi
e
incertezza
dell'economia
e
del
tessuto
sociale,
e
ormai
da
qualche
tempo
si è
diffusa
l'ansia
del
non
poterci
più
aspettare
-
nella
parte
del
mondo
in
cui
viviamo
- un
ulteriore
avanzamento
e
progresso
di
generazione
in
generazione
come
nel
passato.
Ma
non
possiamo
farci
paralizzare
da
quest'ansia
:
non
potete
farvene
paralizzare
voi
giovani.
Dobbiamo
saper
guardare
in
positivo
al
mondo
com'è
cambiato,
e
all'impegno,
allo
sforzo
che
ci
richiede.
Che
esso
richiede
specificamente
e in
modo
più
pressante
a
noi
italiani,
ma
non
solo
a
noi:
all'Europa,
agli
Stati
Uniti.
Se
il
sogno
di
un
continuo
progredire
nel
benessere,
ai
ritmi
e
nei
modi
del
passato,
è
per
noi
occidentali
non
più
perseguibile,
ciò
non
significa
che
si
debba
rinunciare
al
desiderio
e
alla
speranza
di
nuovi
e
più
degni
traguardi
da
raggiungere
nel
mondo
segnato
dalla
globalizzazione.
E
innanzitutto
è
conquista
anche
nostra,
è
conquista
della
nostra
comune
umanità
il
rinascere
di
antiche
civiltà,
il
travolgente
sviluppo
di
economie
emergenti,
in
Asia,
in
America
Latina,
in
altre
regioni
-
anche
in
Africa
ci
si è
messi
in
cammino
-
rimaste
a
lungo
ai
margini
della
modernizzazione.
E'
conquista
della
nostra
comune
umanità
il
sollevarsi
dall'arretratezza,
dalla
povertà,
dalla
fame
di
centinaia
di
milioni
di
uomini
e
donne
nel
primo
decennio
di
questo
nuovo
millennio.
Paesi
e
popoli
con
i
quali
condividere
lo
slancio
verso
un
mondo
globale
più
giusto,
più
comprensivo
dell'apporto
di
tutti,
più
riconciliato
nella
pace
e in
uno
sviluppo
davvero
sostenibile.
E'
in
effetti
possibile
un
impegno
comune
senza
precedenti
per
fronteggiare
le
sfide
e
cogliere
le
opportunità
di
questo
grande
tornante
storico.
Siamo
tutti
chiamati
a
far
fronte
ancora
alla
sfida
della
pace,
sempre
messa
a
dura
prova
da
persistenti
e
ricorrenti
conflitti
e da
cieche
trame
terroristiche
:
della
pace
e
della
sicurezza
collettiva,
che
esigono
tra
l'altro
una
nuova
assunzione
di
responsabilità
nella
Comunità
Internazionale
da
parte
delle
grandi
potenze
emergenti.
Siamo
chiamati
a
cogliere
le
opportunità
di
un
processo
di
globalizzazione
tuttora
ambiguo
nelle
sue
ricadute
sul
terreno
dei
diritti
democratici
e
delle
diversità
culturali,
ed
estremamente
impegnativo
per
continenti
e
paesi
-
l'Europa,
l'Italia
-
che
tendono
a
perdere
terreno
nell'intensità
e
qualità
dello
sviluppo.
Ecco,
da
questo
scenario
non
possono
prescindere
i
giovani
nel
porsi
domande
sul
futuro.
Non
possono
porsele
senza
associare
strettamente
il
discorso
sull'Italia
e
quello
sull'Europa,
senza
ragionare
da
italiani
e da
europei.
Molto
dipenderà
infatti
per
noi
dalla
capacità
dell'Europa
di
agire
davvero
come
Unione:
Unione
di
Stati
e di
popoli,
ricca
della
sua
pluralità,
e
forte
di
istituzioni
che
sempre
meglio
le
consentano
di
agire
all'unisono,
di
integrarsi
più
decisamente.
Solo
così
si
potrà
non
solo
superare
l'attacco
all'Euro
e
una
insidiosa
crisi
finanziaria
nell'Eurozona,
ma
aprire
una
nuova
prospettiva
di
sviluppo
dell'economia
e
dell'occupazione
nel
nostro
continente,
ed
evitare
il
rischio
della
sua
irrilevanza
o
marginalità
in
un
mondo
globale
che
cresca
lontano
da
noi.
Sono
convinto
che
questa
sia
una
verità
destinata
a
farsi
strada
anche
in
quei
paesi
europei
in
cui
può
serpeggiare
l'illusione
del
fare
da
soli,
l'illusione
dell'autosufficienza.
Pensare
con
positivo
realismo
in
termini
europei
equivale
a
non
illuderci,
in
Italia,
di
poter
sfuggire
agli
imperativi
sia
della
sostenibilità
della
finanza
pubblica
sia
della
produttività
e
competitività
dell'economia
e
più
in
generale
del
sistema-paese.
D'altronde,
sono
convinto
che
quando
i
giovani
denunciano
un
vuoto
e
sollecitano
risposte
sanno
bene
di
non
poter
chiedere
un
futuro
di
certezze,
magari
garantite
dallo
Stato,
ma
di
aver
piuttosto
diritto
a un
futuro
di
possibilità
reali,
di
opportunità
cui
accedere
nell'eguaglianza
dei
punti
di
partenza
secondo
lo
spirito
della
nostra
Costituzione.
Nelle
condizioni
dell'Europa
e
del
mondo
di
oggi
e di
domani,
non
si
danno
certezze
e
nemmeno
prospettive
tranquillizzanti
per
le
nuove
generazioni
se
vacilla
la
nostra
capacità
individuale
e
collettiva
di
superare
le
prove
che
già
ci
incalzano.
Tanto
meno,
ho
detto,
si
può
aspirare
a
certezze
che
siano
garantite
dallo
Stato
a
prezzo
del
trascinarsi
o
dell'aggravarsi
di
un
abnorme
debito
pubblico.
Quel
peso
non
possiamo
lasciarlo
sulle
spalle
delle
generazioni
future
senza
macchiarci
di
una
vera
e
propria
colpa
storica
e
morale.Trovare
la
via
per
abbattere
il
debito
pubblico
accumulato
nei
decenni
; e
quindi
sottoporre
alla
più
severa
rassegna
i
capitoli
della
spesa
pubblica
corrente,
rendere
operante
per
tutti
il
dovere
del
pagamento
delle
imposte,
a
qualunque
livello
le
si
voglia
assestare.
Questo
dovrebbe
essere
l'oggetto
di
un
confronto
serio,
costruttivo,
responsabile,
tra
le
forze
politiche
e
sociali,
fuori
dall'abituale
frastuono
e da
ogni
calcolo
tattico.
Ma
affrontare
il
problema
della
riduzione
del
debito
pubblico
e
della
spesa
corrente,
così
come
mettere
mano
a
una
profonda
riforma
fiscale,
vuol
dire
compiere
scelte
significative
anche
se
difficili.
Si
debbono
o
no,
ad
esempio,
fare
salve
risorse
adeguate,
a
partire
dai
prossimi
anni,
per
la
cultura,
per
la
ricerca
e la
formazione,
per
l'Università?
Che
questa
scelta
sia
da
fare,
lo
ha
detto
il
Senato
accogliendo
espliciti
ordini
del
giorno
in
tal
senso
prima
di
approvare
la
legge
di
riforma
universitaria.
Una
legge
il
cui
processo
attuativo
-
colgo
l'occasione
per
dirlo
a
coloro
che
l'hanno
contestata
-
consentirà
ulteriori
confronti
in
vista
di
più
condivise
soluzioni
specifiche,
e
potrà
essere
integrato
da
nuove
decisioni
come
quelle
auspicate
dallo
stesso
Senato.
Occorre
in
generale
individuare
priorità
che
siano
riferibili
a
quella
strategia
di
più
sostenuta
crescita
economico-sociale
che
per
l'Italia
è
divenuta
-
dopo
un
decennio
di
crescita
bassa
e
squilibrata
-
condizione
tassativa
per
combattere
il
rischio
del
declino
anche
all'interno
dell'Unione
Europea.
Vorrei
fosse
chiaro
che
sto
ragionando
sul
da
farsi
nei
prossimi
anni
;
giudizi
sulle
politiche
di
governo
non
competono
al
Capo
dello
Stato,
ma
appartengono
alle
sedi
istituzionali
di
confronto
tra
maggioranza
e
opposizione,
in
primo
luogo
al
Parlamento.
E
vorrei
fosse
chiaro
che
parlo
di
una
strategia,
e
parlo
di
priorità,
da
far
valere
non
solo
attraverso
l'azione
diretta
dello
Stato
e di
tutti
i
poteri
pubblici,
ma
anche
attraverso
la
sollecitazione
di
comportamenti
corrispondenti
da
parte
dei
soggetti
privati.
Abbiamo,
così,
bisogno
non
solo
di
più
investimenti
pubblici
nella
ricerca,
ma
di
una
crescente
disponibilità
delle
imprese
a
investire
nella
ricerca
e
nell'innovazione.
Passa
anche
di
qui
l'indispensabile
elevamento
della
produttività
del
lavoro
:
tema,
oggi,
di
un
difficile
confronto
-
che
mi
auguro
evolva
in
modo
costruttivo
- in
materia
di
relazioni
industriali
e
organizzazione
del
lavoro.
Reggere
la
competizione
in
Europa
e
nel
mondo,
accrescere
la
competitività
del
sistema-paese,
comporta
per
l'Italia
il
superamento
di
molti
ritardi,
di
evidenti
fragilità,
comporta
lo
scioglimento
di
molti
nodi,
riconducibili
a
riforme
finora
mancate.
E
richiede
coraggio
politico
e
sociale,
per
liberarci
di
vecchie
e
nuove
rendite
di
posizione,
così
come
per
riconoscere
e
affrontare
il
fenomeno
di
disuguaglianze
e
acuti
disagi
sociali
che
hanno
sempre
più
accompagnato
la
bassa
crescita
economica
almeno
nell'ultimo
decennio.
Disuguaglianze
nella
distribuzione
del
reddito
e
della
ricchezza.
Impoverimento
di
ceti
operai
e di
ceti
medi,
specie
nelle
famiglie
con
più
figli
e un
solo
reddito.
E
ripresa
della
disoccupazione,
sotto
l'urto
della
crisi
globale
scoppiata
nel
2008.
Gli
ultimi
dati
ci
dicono
che
le
persone
in
cerca
di
occupazione
sono
tornate
a
superare
i
due
milioni,
di
cui
quasi
uno
nel
Mezzogiorno
; e
che
il
tasso
di
disoccupazione
nella
fascia
di
età
tra
i 15
anni
e i
24 -
ecco
di
nuovo
il
discorso
sui
giovani,
nel
suo
aspetto
più
drammatico
- ha
raggiunto
il
24,7
per
cento
nel
paese,
il
35,2
nel
Mezzogiorno
e
ancor
più
tra
le
giovani
donne.
Sono
dati
che
debbono
diventare
l'assillo
comune
della
Nazione.
Se
non
apriamo
a
questi
ragazzi
nuove
possibilità
di
occupazione
e di
vita
dignitosa,
nuove
opportunità
di
affermazione
sociale,
la
partita
del
futuro
è
persa
non
solo
per
loro,
ma
per
tutti,
per
l'Italia
: ed
è in
scacco
la
democrazia.
Proprio
perché
non
solo
speriamo,
ma
crediamo
nell'Italia,
e
vogliamo
che
ci
credano
le
nuove
generazioni,
non
possiamo
consentirci
il
lusso
di
discorsi
rassicuranti,
di
rappresentazioni
convenzionali
del
nostro
lieto
vivere
collettivo.
C'è
troppa
difficoltà
di
vita
quotidiana
in
diverse
sfere
sociali,
troppo
malessere
tra
i
giovani.
Abbiamo
bisogno
di
non
nasconderci
nessuno
dei
problemi
e
delle
dure
prove
da
affrontare
:
proprio
per
poter
suscitare
un
vasto
moto
di
energie
e di
volontà,
capace
di
mettere
a
frutto
tradizioni,
risorse
e
potenzialità
di
cui
siamo
ricchi.
Quelle
che
abbiamo
accumulato
nella
nostra
storia
di
centocinquant'anni
di
Italia
unita.
Celebrare
quell'anniversario,
come
abbiamo
cominciato
a
fare
e
ancor
più
faremo
nel
2011,
non
è
perciò
un
rito
retorico.
Non
possiamo
come
Nazione
pensare
il
futuro
senza
memoria
e
coscienza
del
passato.
Ci
serve,
ci
aiuta,
ripercorrere
nelle
sue
asprezze
e
contraddizioni
il
cammino
che
ci
portò
nel
1861
a
diventare
Stato
nazionale
unitario,
ed
egualmente
il
cammino
che
abbiamo
successivamente
battuto,
anche
fra
tragedie
sanguinose
ed
eventi
altamente
drammatici.
Vogliamo
e
possiamo
recuperare
innanzitutto
la
generosità
e la
grandezza
del
moto
unitario
: e
penso
in
particolare
a
una
sua
componente
decisiva,
quella
dei
volontari.
Quanti
furono
i
giovani
e
giovanissimi
combattenti
ed
eroi
che
risposero,
anche
sacrificando
la
vita,
a
quegli
appelli
per
la
libertà
e
l'Unità
dell'Italia!
Dovremmo
forse
tacerne,
e
rinunciare
a
trarne
ispirazione?
Ma
quello
resta
un
patrimonio
vivo,
cui
ben
si
può
attingere
per
ricavarne
fiducia
nelle
virtù
degli
italiani,
nel
loro
senso
del
dovere
comune
e
dell'unità,
e
nella
forza
degli
ideali.
Ed è
patrimonio
vivo
quello
del
superamento
di
prove
meno
remote
e
già
durissime,
come
il
liberarci
dalla
dittatura
fascista,
il
risollevarci
dalla
sconfitta
e
dalle
distruzioni
dell'ultima
guerra,
ricostruendo
il
paese
e
trovando
l'intesa
su
una
Costituzione
animata
da
luminosi
principi.
No,
nulla
può
oscurare
il
complessivo
bilancio
della
profonda
trasformazione,
del
decisivo
avanzamento
che
l'Unità,
la
nascita
dello
Stato
nazionale
e la
sua
rinascita
su
basi
democratiche
hanno
consentito
all'Italia.
Di
quel
faticoso
cammino
è
stato
parte
il
ricercare
e
stabilire
-
come
ha
voluto
sottolineare
ancora
di
recente
il
Pontefice,
indirizzandoci
un
pensiero
augurale
che
sentitamente
ricambio
-
"giuste
forme
di
collaborazione
fra
la
comunità
civile
e
quella
religiosa".
Sono
convinto
che
nelle
nuove
generazioni
sia
radicato
il
valore
dell'unità
nazionale,
e
insieme
il
valore
dello
Stato
unitario
come
presidio
irrinunciabile
nell'era
del
mondo
globale.
Uno
Stato,
peraltro,
in
via
di
ulteriore
rinnovamento
secondo
un
disegno
di
riforma
già
concretizzatosi
nella
legge
sul
federalismo
fiscale.
Sarà
essenziale
attuare
quest'ultima
in
piena
aderenza
ai
principi
di
"solidarietà
e
coesione
sociale"
cui
è
stata
ancorata.
Sarà
essenziale
operare
su
tutti
i
piani
per
sanare
la
storica
ferita
di
quel
divario
tra
Nord
e
Sud
che
si
va
facendo
perfino
più
grave,
mentre
risulta
obbiettivamente
innegabile
che
una
crescita
più
dinamica
dell'economia
e
della
società
nazionale
richiede
uno
sviluppo
congiunto,
basato
sulla
valorizzazione
delle
risorse
disponibili
in
tutte
le
aree
del
paese.
Il
futuro
da
costruire
-
guardando
soprattutto
all'universo
giovanile
-
richiede
un
impegno
generalizzato.
Quell'universo
è
ben
più
vasto
e
vario
del
mondo
studentesco.
A
tutti
rivolgo
ancora
la
più
netta
messa
in
guardia
contro
ogni
cedimento
alla
tentazione
fuorviante
e
perdente
del
ricorso
alla
violenza.
In
particolare,
poi,
invito
ogni
ragazza
e
ragazzo
delle
nostre
Università
a
impegnarsi
fino
in
fondo,
a
compiere
ogni
sforzo
per
massimizzare
il
valore
della
propria
esperienza
di
studio,
e li
invito
a
rendersi
protagonisti,
con
spirito
critico
e
seria
capacità
propositiva,
dell'indispensabile
rinnovamento
dell'istituzione
Università
e
del
suo
concreto
modo
di
funzionare.
Investire
sui
giovani,
scommettere
sui
giovani,
chiamarli
a
fare
la
propria
parte
e
dare
loro
adeguate
opportunità.
Che
questa
sia
la
strada
giusta,
ho
potuto
verificarlo
in
tante
occasioni.
Dall'incontro,
nel
gennaio
scorso,
con
gli
studenti
di
Reggio
Calabria
impegnati
sul
tema
della
legalità,
a
quello,
in
novembre,
con
i
giovani
volontari
di
Vicenza
mobilitatisi
per
far
fronte
all'emergenza
alluvione
; e
via
via
potendo
apprezzare
realtà
altamente
significative.
Penso
ai
giovani
che
con
grandissima
consapevolezza
e
abnegazione
fanno
la
loro
parte
nelle
missioni
militari
in
aree
di
crisi
:
alle
famiglie
di
quelli
tra
loro
che
sono
caduti
-
purtroppo
ancora
oggi
- e
di
tutti
gli
altri
che
compiono
il
loro
dovere
esponendosi
a
ogni
rischio,
desidero
rinnovare
stasera
la
mia,
la
nostra
gratitudine
e
vicinanza.
Penso
ai
giovani
magistrati
e ai
giovani
appartenenti
alle
forze
di
polizia,
che
contribuiscono
in
modo
determinante
al
crescente
successo
nella
lotta
per
liberare
l'Italia
da
uno
dei
suoi
gravi
condizionamenti
negativi,
la
presenza
aggressiva
e
inquinante
della
criminalità
organizzata.
Sì,
possiamo
ben
aprirci
la
strada
verso
un
futuro
degno
del
grande
patrimonio
storico,
universalmente
riconosciuto,
della
Nazione
italiana.
Facciano
tutti
la
loro
parte
:
quanti
hanno
maggiori
responsabilità
- e
ne
debbono
rispondere
-
nella
politica
e
nelle
istituzioni,
nell'economia
e
nella
società,
ma
in
pari
tempo
ogni
comunità,
ogni
cittadino.
Dovunque,
anche
a
Napoli
:
lasciatemi
rivolgere
queste
parole
di
incitamento
a
una
città
per
la
cui
condizione
attuale
provo
sofferenza
come
molti
in
Italia.
Faccia
anche
a
Napoli
la
sua
parte
ogni
istituzione,
ogni
cittadino,
nello
spirito
di
un
impegno
comune,
senza
cedere
al
fatalismo
e
senza
tirarsi
indietro.
Sentire
l'Italia,
volerla
più
unita
e
migliore,
significa
anche
questo,
sentire
come
proprio
il
travaglio
di
ogni
sua
parte,
così
come
il
travaglio
di
ogni
sua
generazione,
dalle
più
anziane
alle
più
giovani.
A
tutti,
dunque,
agli
italiani
e
agli
stranieri
che
sono
tra
noi
condividendo
doveri
e
speranze,
il
mio
augurio
affettuoso,
il
mio
caloroso
buon
2011.
"Dedico
questo
messaggio
soprattutto
ai
più
giovani
tra
noi,
che
vedono
avvicinarsi
il
tempo
delle
scelte
e
cercano
un'occupazione,
cercano
una
strada.
Dedico
loro
questo
messaggio,
perché
i
problemi
che
essi
sentono
e si
pongono
per
il
futuro
sono
gli
stessi
che
si
pongono
per
il
futuro
dell'Italia".
Così
il
Presidente
della
Repubblica,
Giorgio
Napolitano,
ha
aperto
il
tradizionale
messaggio,
a
reti
unificate,
di
fine
anno.
Nel
richiamare
la
preoccupazione
già
espressa,
anche
in
occasione
del
saluto
con
le
Alte
magistrature
dello
Stato,
"per
il
malessere
diffuso
tra
i
giovani
e
per
un
distacco
ormai
allarmante
tra
la
politica,
tra
le
stesse
istituzioni
democratiche
e la
società,
le
forze
sociali,
in
modo
particolare
le
giovani
generazioni",
il
Capo
dello
Stato
ha
sottolineato
"l'esigenza
di
uno
spirito
di
condivisione
- da
parte
delle
forze
politiche
e
sociali
-
delle
sfide
che
l'Italia
è
chiamata
ad
affrontare;
e
l'esigenza
di
un
salto
di
qualità
della
politica,
essendone
in
giuoco
la
dignità,
la
moralità,
la
capacità
di
offrire
un
riferimento
e
una
guida".
Ma -
ha
aggiunto
il
Capo
dello
Stato
- a
questo
riguardo
"voi
che
mi
ascoltate
non
siete
semplici
spettatori,
perché
la
politica
siete
anche
voi,
in
quanto
potete
animarla
e
rinnovarla
con
le
vostre
sollecitazioni
e i
vostri
comportamenti,
partendo
dalle
situazioni
che
concretamente
vivete,
dai
problemi
che
vi
premono".
Anche
se
questo
2010
è
stato
dominato
da
condizioni
di
persistente
crisi
e
incertezza
dell'economia,
il
Presidente
della
Repubblica
ha
esortato
a
non
farsi
"paralizzare
da
quest'ansia":
"E'
possibile
- ha
affermato
- un
impegno
comune
senza
precedenti
per
fronteggiare
le
sfide
e
cogliere
le
opportunità
di
questo
grande
tornante
storico.
Siamo
tutti
chiamati
a
far
fronte
ancora
alla
sfida
della
pace,
sempre
messa
a
dura
prova
da
persistenti
e
ricorrenti
conflitti
e da
cieche
trame
terroristiche:
della
pace
e
della
sicurezza
collettiva,
che
esigono
tra
l'altro
una
nuova
assunzione
di
responsabilità
nella
Comunità
Internazionale
da
parte
delle
grandi
potenze
emergenti.
Siamo
chiamati
a
cogliere
le
opportunità
di
un
processo
di
globalizzazione
tuttora
ambiguo
nelle
sue
ricadute
sul
terreno
dei
diritti
democratici
e
delle
diversità
culturali,
ed
estremamente
impegnativo
per
continenti
e
paesi
-
l'Europa,
l'Italia
-
che
tendono
a
perdere
terreno
nell'intensità
e
qualità
dello
sviluppo".
Il
Capo
dello
Stato
si è
detto
convinto
che
"quando
i
giovani
denunciano
un
vuoto
e
sollecitano
risposte
sanno
bene
di
non
poter
chiedere
un
futuro
di
certezze,
magari
garantite
dallo
Stato,
ma
di
aver
piuttosto
diritto
a un
futuro
di
possibilità
reali,
di
opportunità
cui
accedere
nell'eguaglianza
dei
punti
di
partenza
secondo
lo
spirito
della
nostra
Costituzione.
Nelle
condizioni
dell'Europa
e
del
mondo
di
oggi
e di
domani,
non
si
danno
certezze
e
nemmeno
prospettive
tranquillizzanti
per
le
nuove
generazioni
se
vacilla
la
nostra
capacità
individuale
e
collettiva
di
superare
le
prove
che
già
ci
incalzano.
Tanto
meno,
ho
detto,
si
può
aspirare
a
certezze
che
siano
garantite
dallo
Stato
a
prezzo
del
trascinarsi
o
dell'aggravarsi
di
un
abnorme
debito
pubblico.
Quel
peso
non
possiamo
lasciarlo
sulle
spalle
delle
generazioni
future
senza
macchiarci
di
una
vera
e
propria
colpa
storica
e
morale".
Bisogna
quindi
"trovare
la
via
per
abbattere
il
debito
pubblico
accumulato
nei
decenni;
e
quindi
sottoporre
alla
più
severa
rassegna
i
capitoli
della
spesa
pubblica
corrente,
rendere
operante
per
tutti
il
dovere
del
pagamento
delle
imposte,
a
qualunque
livello
le
si
voglia
assestare.
Questo
dovrebbe
essere
l'oggetto
di
un
confronto
serio,
costruttivo,
responsabile,
tra
le
forze
politiche
e
sociali,
fuori
dall'abituale
frastuono
e da
ogni
calcolo
tattico.
Ma
affrontare
il
problema
della
riduzione
del
debito
pubblico
e
della
spesa
corrente,
così
come
mettere
mano
a
una
profonda
riforma
fiscale,
vuol
dire
compiere
scelte
significative
anche
se
difficili.
Si
debbono
o no
- si
è
chiesto
il
Presidente
Napolitano
- ad
esempio
fare
salve
risorse
adeguate,
a
partire
dai
prossimi
anni,
per
la
cultura,
per
la
ricerca
e la
formazione,
per
l'Università?
Che
questa
scelta
sia
da
fare,
lo
ha
detto
il
Senato
accogliendo
espliciti
ordini
del
giorno
in
tal
senso
prima
di
approvare
la
legge
di
riforma
universitaria.
Una
legge
il
cui
processo
attuativo
-
colgo
l'occasione
per
dirlo
a
coloro
che
l'hanno
contestata
-
consentirà
ulteriori
confronti
in
vista
di
più
condivise
soluzioni
specifiche,
e
potrà
essere
integrato
da
nuove
decisioni
come
quelle
auspicate
dallo
stesso
Senato".
Per
il
Capo
dello
Stato
"occorre
in
generale
individuare
priorità
che
siano
riferibili
a
quella
strategia
di
più
sostenuta
crescita
economico-sociale
che
per
l'Italia
è
divenuta
-
dopo
un
decennio
di
crescita
bassa
e
squilibrata
-
condizione
tassativa
per
combattere
il
rischio
del
declino
anche
all'interno
dell'Unione
Europea".
Queste
priorità
sono
"da
far
valere
non
solo
attraverso
l'azione
diretta
dello
Stato
e di
tutti
i
poteri
pubblici,
ma
anche
attraverso
la
sollecitazione
di
comportamenti
corrispondenti
da
parte
dei
soggetti
privati.
Abbiamo,
così,
bisogno
non
solo
di
più
investimenti
pubblici
nella
ricerca,
ma
di
una
crescente
disponibilità
delle
imprese
a
investire
nella
ricerca
e
nell'innovazione.
Passa
anche
di
qui
l'indispensabile
elevamento
della
produttività
del
lavoro:
tema,
oggi,
di
un
difficile
confronto
-
che
mi
auguro
evolva
in
modo
costruttivo
- in
materia
di
relazioni
industriali
e
organizzazione
del
lavoro".
Il
Presidente
Napolitano
ha
rilevato
che
"reggere
la
competizione
in
Europa
e
nel
mondo,
accrescere
la
competitività
del
sistema-paese,
comporta
per
l'Italia
il
superamento
di
molti
ritardi,
di
evidenti
fragilità,
comporta
lo
scioglimento
di
molti
nodi,
riconducibili
a
riforme
finora
mancate.
E
richiede
- ha
ribadito
il
Capo
dello
Stato
-
coraggio
politico
e
sociale,
per
liberarci
di
vecchie
e
nuove
rendite
di
posizione,
così
come
per
riconoscere
e
affrontare
il
fenomeno
di
disuguaglianze
e
acuti
disagi
sociali
che
hanno
sempre
più
accompagnato
la
bassa
crescita
economica
almeno
nell'ultimo
decennio".
Il
Capo
dello
Stato
ha
fatto
riferimento
agli
ultimi
dati
del
sul
tasso
di
disoccupazione,
soprattutto
giovanile
e
nel
Mezzogiorno,
per
avvertire
che
"se
non
apriamo
a
questi
ragazzi
nuove
possibilità
di
occupazione
e di
vita
dignitosa,
nuove
opportunità
di
affermazione
sociale,
la
partita
del
futuro
è
persa
non
solo
per
loro,
ma
per
tutti,
per
l'Italia:
ed è
in
scacco
la
democrazia.
Proprio
perché
non
solo
speriamo,
ma
crediamo
nell'Italia,
e
vogliamo
che
ci
credano
le
nuove
generazioni,
non
possiamo
consentirci
il
lusso
di
discorsi
rassicuranti,
di
rappresentazioni
convenzionali
del
nostro
lieto
vivere
collettivo.
C'è
troppa
difficoltà
di
vita
quotidiana
in
diverse
sfere
sociali,
troppo
malessere
tra
i
giovani.
Abbiamo
bisogno
di
non
nasconderci
nessuno
dei
problemi
e
delle
dure
prove
da
affrontare:
proprio
per
poter
suscitare
un
vasto
moto
di
energie
e di
volontà,
capace
di
mettere
a
frutto
tradizioni,
risorse
e
potenzialità
di
cui
siamo
ricchi.
Quelle
che
abbiamo
accumulato
nella
nostra
storia
di
centocinquant'anni
di
Italia
unita".
A
questo
punto
il
Capo
dello
Stato
ha
sottolineato
che
le
celebrazioni
del
150°
dell'Unità
d'Italia
non
sono
un
rito
retorico:
"Non
possiamo
come
Nazione
pensare
il
futuro
senza
memoria
e
coscienza
del
passato.
Nulla
può
oscurare
il
complessivo
bilancio
della
profonda
trasformazione,
del
decisivo
avanzamento
che
l'Unità,
la
nascita
dello
Stato
nazionale
e la
sua
rinascita
su
basi
democratiche
hanno
consentito
all'Italia.
Sono
convinto
che
nelle
nuove
generazioni
sia
radicato
il
valore
dell'unità
nazionale,
e
insieme
il
valore
dello
Stato
unitario
come
presidio
irrinunciabile
nell'era
del
mondo
globale".
Dunque,
"il
futuro
da
costruire
-
guardando
soprattutto
all'universo
giovanile
-
richiede
un
impegno
generalizzato.
Quell'universo
è
ben
più
vasto
e
vario
del
mondo
studentesco.
A
tutti
rivolgo
ancora
la
più
netta
messa
in
guardia
contro
ogni
cedimento
alla
tentazione
fuorviante
e
perdente
del
ricorso
alla
violenza".
La
"strada
giusta"
è
quella
di
"investire
sui
giovani,
scommettere
sui
giovani,
chiamarli
a
fare
la
propria
parte
e
dare
loro
adeguate
opportunità".
E il
Capo
dello
Stato
ha
richiamato
alcune
testimonianze
della
possibilità
di
"aprire
la
strada
verso
un
futuro
degno
del
grande
patrimonio
storico",
per
sollecitare
a
fare
la
loro
parte
"quanti
hanno
maggiori
responsabilità
- e
ne
debbono
rispondere
-
nella
politica
e
nelle
istituzioni,
nell'economia
e
nella
società,
ma
in
pari
tempo
ogni
comunità,
ogni
cittadino.
Dovunque,
anche
a
Napoli".
Insomma
"sentire
l'Italia,
volerla
più
unita
e
migliore,
- ha
concluso
il
Capo
dello
Stato
-
significa
anche
questo,
sentire
come
proprio
il
travaglio
di
ogni
sua
parte,
così
come
il
travaglio
di
ogni
sua
generazione,
dalle
più
anziane
alle
più
giovani.
A
tutti,
dunque,
agli
italiani
e
agli
stranieri
che
sono
tra
noi
condividendo
doveri
e
speranze,
il
mio
augurio
affettuoso,
il
mio
caloroso
buon
2011".
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