RASSEGNA
STAMPA
16/06/2003, Unione Sarda,
Lo smaltimento segreto dei rifiuti
radioattivi militari
15/06/2003, Uranio, anche in
America e' preoccupazione!
26/05/2003,Il gazzettino, I
timori per l'uso dell'uranio impoverito
20/05/2003, Il Manifesto,
L'uranio a Baghdad
20/05/2003, La
Gazzetta del Mezzogiorno, provata la sindrome dei balcani.
27/04/2002,
URANIO, L'ULTIMO SOSPETTO.... NASCONO FIGLI MALFORMATI
18/11/2001,
Lo dice anche il tg5, In Afghanistan gli AC130 usano proiettili
all'uranio
11/11/2001, armi all'uranio anche in Afghanistan?
06/06/2001,
Ansa- Accame: relazione Mandelli incompleta, ritirarla!
30/05/2001,
La Repubblica, Uranio impoverito, un eccessivo aumento di linfomi tra i militari
23/05/2001,
Il Mondo, uranio impoverito: l'atto di accusa della Royal Accademy
23/05/2001,
Liberazione, Uranio impoverito, cade il muto di omertà
19/5/2001,
La Repubblica - Uranio impoverito, errori nei calcoli della commissione
13/01/2001, Il Nuovo, Niente militari di
truppa nelle missioni
10/01/2001:
Il Giorno: Uranio, casi sospetti in Friuli: l'esercito smentisce
05/01/2001:
Sindacato U.S.P.: anche gli elicotteristi della Polizia denunciano il rischio
tunori
16/01/2001:
Il nuovo: Proiettili all'uranio usati anche a Nettuno?
14/01/2001:
L'Arena di Verona: La sindrome dei balcani - Un altro militare morto?
13/01/2001, Il Nuovo, Niente militari di
truppa nelle missioni
13/1/2001:
Il Gazzettino On Line: Uranio nei poligoni friulani? Valdo Spini lo esclude
09/01/2001:
ANSA: Uranio - USA sollecitano NATO a prendere precauzionui
08/01/2001:
L'Arena di verona: Giovannardi (CCD) contesa
07/01/2001:
Brescia oggi: Io Bresciano dalla Bosnia al tumore
06/01/2001:
ANSA: ONU, seri rischi anche per la salute;
04/01/2001:
Corriere della Sera: E i generali temono di perdere i
volontari
04/01/2001:
Corriere della sera: Uranio, Prodi: «La verità anche sui
civili»
03/01/2001
- Radio Capital: Il Presidente Ciampi scrive a Mattarella
03/01/2001
- La Repubblica: Uranio, un
altro morto
03/01/2001:
La Repubblica: Uranio -
"Attenti ad una nuova Ustica"
31/12/2000
- La Repubblica: "Uranio" Non avevamo le maschere, ci hanno
nascosto la verità
31/12/2000 - La Repubblica: L'ombra delle armi chimiche
29/12/2000
- Il Manifesto: Uranio, il
muro del silenzio
22/12/2000
- Brescia Oggi: caso Kosovo. Preoccupazione anche tra i militari bresciani
21/12/2001:
Liberazione: morte per uranio?
a cura di Pesciaioli Giuseppe
delegato del CO.CE.R.
21/12/2000
- La Repubblica: armi all'uranio - La Procura sta già indagando
20/12/2000 - Il Messaggero: il silenzio dei
generali
19/12/2000
- Il Messaggero: Colpiti da tumore altre due militari reduci dai Balcani
19/12/2000
- Il Corriede della Sera: i rischi per l'uranio disperso nel terreno dopo la
guerra
22/9/2000
- Il Messaggero: leucemia tra i soldati in kosovo?
IL
GIORNO: 10 GENNAIO 2001
Uranio,
casi sospetti in Friuli: l'esercito smentisce
UDINE,
10 GENNAIO - Lo Stato maggiore dell' Esercito ha definito priva di fondamento la
denuncia - che tutela i diritti costituzionali del personale militare - secondo la
quale cinque militari friulani sarebbero rimasti contagiati dall' uranio durante
le loro missioni nei Balcani.
«Smentiamo decisamente - ha detto un ufficiale dell' Agenzia pubbliche
informazioni dello Sme - che cinque militari friulani abbiano contratto la
leucemia dopo essere stati impiegati in operazioni nei Balcani. Non sappiamo
come l' Sideweb abbia potuto diffondere queste cifre. Ci sono due militari -
ha proseguito l' ufficiale - che secondo i dati in nostro possesso risultano
essersi ammalati dopo le loro missioni nella ex Jugoslavia. In entrambi i casi
non si tratta però di leucemia». Gli esami sui reduci dai Balcani - voluti dal
Ministero della Difesa - proseguono in tutti gli ospedali militari, ma ci vorrà
del tempo per avere dei dati precisi.
L' Sideweb ha anche denunciato le elevate spese per gli esami delle
urine. Al riguardo, l' ospedale di Udine ha precisato che «in Italia esistono
solo pochi centri in grado di rilevare contaminazioni in persone esposte dopo
lungo tempo», che «a Udine non è stato respinto alcun militare» e che «tutte
le analisi richieste sono state fatte gratuitamente».
COMUNICATO
5/1/2001
ANCHE
GLI ELICOTTERISTI DENUNCIANO
IL RISCHIO TUMORI
Finalmente la giusta considerazione
da parte del governo per i rischi che corrono i reduci dai Balcani e il dramma
dei soldati che si sono ammalati di leucemia, ma, pur con minore eco si è
parlato anche degli elicotteristi, sei dei quali, appartenenti alle varie Forze
Armate soffrono di vari tipi di patologie tumorali e che tutti hanno in comune
una caratteristica, hanno tutti svolto lo stesso tipo di lavoro, ovvero, hanno
svolto la manutenzione accanto e sopra gli elicotteri, fuori e dentro gli
Hangar.
L’Unione
Sindacale di Polizia ne è da qualche tempo consapevole e già da molto si sta battendo per lo
stesso problema che riguarda i Poliziotti
elicotteristi,
l’U.S.P.
è, infatti, il sindacato che più si batte per il settore aereo del
Dipartimento della P.S. e il suo rappresentante delegato, anch’egli
uno Specialista,
condivide pienamente l’allarme annunciato dall’Osservatorio
Nazionale per la tutela delle Forze Armate,
aggiungendo
che il problema riguarda tutti, e tutti insieme devono affrontarlo e risolverlo
una volta per tutte.
L’U.S.P. dichiara che, già da tempo ha chiesto al
Dipartimento della P.S. maggiori attenzioni ai problemi del settore puntando
proprio, con particolare riferimento, al settore tecnico del Personale
Specialista addetto alla manutenzione dei costosissimi elicotteri in dotazione e
per i quali, troppo spesso, si espone a gravi rischi per la sicurezza
della propria salute con poche garanzie e tante incertezze.
Uno
dei motivi principali è dovuto all’indispensabile uso di prodotti e sostanze
tossiche impiegati per la manutenzione degli aeromobili all’interno degli
Hangar, in
particolare, quasi tutti sono prodotti
derivati del petrolio e quindi cancerogeni o comunque nocivi per la salute
dell’uomo; purtroppo solo adesso se ne parla perché la legge
626/94 ha
dato anche l’opportunità di prendere coscienza e attenzione al problema,
anche se può
essere oramai troppo tardi, riparare i danni eventualmente subiti.
Va
necessariamente fatta un’appropriata valutazione statistica nell’intero
settore,
vale a dire di mettere a confronto la realtà di tutto il Personale che opera
nel settore della manutenzione di elicotteri ed aerei, non solo nelle Forze
Armate e nelle Forze di Polizia, ma anche nel settore metalmeccanico nazionale e
privato; solo
nella Polizia di Stato fra gli elicotteristi si contano ufficialmente tre casi
di morte prematura per tumore e quindi sospetta perché due delle quali avvenute
per leucemia, ma il peggio, resta pur sempre un’incognita per tutti gli altri, perché
non si è sempre giovani e i danni alla salute, si sa, prima o poi salteranno
fuori e…. purtroppo, ciò accade quando oramai si è in pensione e dimenticati
da tutti.
“Per
questo”, aggiunge
il Delegato Nazionale Carmine PALMERI, noi dell’Unione Sindacale di Polizia ci battiamo con ostinazione come
“pressante” deve essere la cultura della prevenzione sul lavoro
principalmente da parte del Personale stesso e,
che nulla ha che vedere con il rischio di noi tutti
quando siamo in servizio di polizia; in genere sono previste delle indennità
speciali, ma, di speciale, economicamente parlando, le indennità degli
elicotteristi hanno ben poco di congruo e confortante, quindi, va
categoricamente smentita e uno dei motivi?! ad esempio, un
conto è volare di notte
nella consapevolezza di rischiare la propria pelle, un altro, è
l’inconsapevolezza di un
pericolo che incombe in modo subdolo e silenzioso che
ti striscia dentro minacciando lentamente una salute che non ha prezzo.
Roma 05 Gennaio 2001
F.TO
LA SEGRETERIA GENERALE NAZIONALE
Via Emanuele Filiberto 166 Roma T.06.7000749
- UFFICIO STAMPA –
IL
NUOVO - 16/1/2001
Proiettili all'uranio a Nettuno?
Interrogazione in Regione del
consigliere diessino Marroni. Vuole che la Giunta accerti quali munizioni
vengono usate nella base militare del litorale. In tutta la zona sarebbero in
aumento leucemie e tumori.
ROMA-Munizioni ad uranio impoverito sono state sparate e
vengono tuttora usate nel poligono dell'Esercito
a Nettuno? E' la domanda fatta dal consigliere regionale diessino Angiolo
Marroni in una interrogazione al presidente della giunta Francesco Storace,
in cui sottolinea un aumento di casi e morti per tumori e leucemie nella zona,
che sarebbero collegabili, secondo il diessino, anche alla presenza nella zona
della centrale nucleare dui Borgo Sabotino.
Nell'interrogazione Marroni ha chiesto a Storace, qualora
il suo interrogativo dovesse trovare una risposta affermativa, "se non
ritenga di chiedere la sospensione immediata di tali esercitazioni".
Inoltre l'esponente dei Ds ha chiesto se non sia utile realizzare un
monitoraggio nel territorio per verificare se sussistono fonti di radioattività
e "procedere quindi, se necessario, ad un'immediata bonifica
dell'area".
Marroni ha aggiunto che "il continuo aumento di nuovi
casi e decessi per tumori e leucemie, registrato sulla fascia costiera che va da
Anzio a Sabaudia", proprio dove c'è il poligono di tiro, "rilevati
dalla Asl, dà luogo ad ulteriori elementi di inquietudine su cui andrebbe fatto
un attento studio epidemiologico sanitario per verificare se possano sussistere
interconnessioni scientificamente provate".
La notizia sarebbe arrivata all'orecchio di Marroni dal
consigliere circoscrizionale della Quercia Rosario Varriale. Alcuni operatori
civili del poligono e del ministero della Difesa hanno dichiarato che negli anni
'90 è stato fatto largo uso di questo tipo di munizioni, in parte prodotte
dalle officine israeliane, con più di 12mila colpi sparati. Molti colpi
sarebbero anche finiti in mare.
Il poligono di Nettuno è stato usato negli ultimi anni
per la sperimentazione di armi di medio taglio. Nella zona si sarebbero
esercitati in passato anche i sovietici.
Un'analoga interrogazione è stata fatta,
congiuntamente, al sindaco di Nettuno dai gruppi consiliari Ds dei due comuni
costieri situati ad una quarantina di chilometri a sud di Roma.
L'ARENA
DI VERONA DEL 14/01/2001
LA
SINDROME DEI BALCANI
URANIO, UN'ALTRO MILITARE MORTO?
GLI USA: NON E' RADIOATTIVO
ROMA. Il caso di un altro
militare morto per presunta contaminazione da uranio impoveritoè stato
denunciato ieri.
Parlando con i giornalisti a margine di una conferenza stampa della
"Rete abolire l'uranio impoverito", composta da numerose associazioni
- ha detto che la segnalazione proviene dai genitori del giovane militare, che
non ha mai prestato servizio nei Balcani, ma è stato impegnato in un poligono
della Sardegna. Proprio in questi poligoni "è probabile che sia stato fatto uso di proiettili all'uranio impoverito". La
morte risalirebbe a "diversi anni fa", secondo Sideweb, che si
riserva di fornire nei prossimi giorni ulteriori particolari sull'episodio.
Di
contaminazione radioattiva per presunti proiettili all'uranio presenti in un
poligono italiano, si è parlato a lungo in questi anni in relazione al caso
della morte di un militare sardo, che aveva prestato servizio al poligono di
Capo Teulada, ma le forze armate e il ministero della Difesa hanno sempre
escluso che in quell'area addestrativa siano stati utilizzati o stoccati
proiettili all'uranio impoverito.
"Gli
avvenimenti di questi giorni dimostrano che le missioni internazionali di pace
sono sconsigliabili per i militari di leva, sia per via dell'addestramento che
per l'assunzione dei rischi". Lo ha detto il Presidente della commissione
Difesa della Camera, Valdo Spini, commentando la vicenda dei proiettili
all'uranio impoveito.
La
Royal Navy, si sta sbarazzando gradualmente dei proiettili all'uranio impoverito
in dotazione a 14 delle sue navi, dato che la società americana che li fabbrica
ha cessato di produrli. Lo ha annunciato il ministero della Difesa Britannico.
Secondo
il "Times" di Londra, la società americana ha preso tale decisione
perche' preoccupata delle conseguenze sulla salute dell'uranio impoverito,
sospettato di aver causato tumori e altre malattie agli ex combattenti nel golfo
e nei Balcani. Il "Times" ha aggiunto che la marina statunitense sta
eliminando le sue riserve di tali munizioni da un decennio, per sostituirli con
proiettili al tungsteno, metallo non radioattivo e molto meno tossico
dell'uranio impoverito.
Infine,
l'uranio impoverito non puo' causare la leucemia. Una schiera di scienziati
americani, reagendo alla polemica europea, ha confermato ieri la tesi del
Pentagono in una serie di interviste al "New York Times".
Gli
studiosi affermano che è "biologicamente impossibile" per l'uranio
impoverito usato nelle armi americane causare leucemia. Le particelle
radioattive emanate non sono infatti in grado di raggiungere il midollo osseo.
IL
GAZZETTINO ON LINE DEL 13/1/2001
URANIO
NEI POLIGONI FRIULANI?
VALDO
SPINI LO ESCLUDE
Il
Presidente della Commissione difesa della camera annuncia uno screning sugli
alpini della Julia andati in Bosnia.
<<Non
c'è uranio nei poligoni del friuli, a quanto ci consta>>. Lo assicura il
presidente della commisisone Difesa della Camera Valdo Spini, intervenuto ad
udine a un convegno dei Ds su "Abolizione del servizio di leva e condizioni
del personale militare": nelle esercitazioni effettuate nei poligoni
friulani, primo fra tutti quello del Dandolo a Maniago, non sarebbero stati
sparati i proiettili che stanno tenendo l'Europa col fiato sospeso. <<La
commissione tuttavia agirà di concerto con la magistratura militare che
ha già aperto un fascicolo: non solo dice - ma vogliamo capire quali sono le
responsabilità politiche che stanno dietro alle mancate informative Nato sui
bombardamenti in Bosnia nel '94. In un'alleanza non hanno piu' ragione di
esserci segreti fra forze che coperano>>. A rassicurare la famiglie ci
sarà anche uno screening su tutti i militari: già iniziato per gli Alpini
della Taurinense, a giorni sarà iniziato anche per quelli della Julia.
<<I nostri militari - spiega Spini - stanno dando dimostrazione di grande
serietà. Non c'è ne' uno che abbia chiesto il rimpatrio dal
Kosovo>>.
<<Nelle
urine non si puo' trovare traccia di radioattività - incalza Giovanni Castaldo,
presidente della commissione sanità della Regione e forse non va cercato tanto
l'uranio quanto i residui di sostanze chimiche sprigionatesi in seguito a
bombardamenti di industrie e arsenali>>. Parere scientifico: Castaldo è
ufficiale medico nell'Esercito e ha partecipato a missioni in Libano, Albania e
Kurdistan. Per il resto, Spini si concentra poco sui temi friulani:
analizza la vasta riforma dell'Esercito che <<in 5 anni ha portato piu'
cambiamenti che nei 50 precedenti.
Professionalizzazione,
abolizione della leva, servizio civile volontario e formazione professionale per
i soldati. Queste le nostre conquiste>>. Sì ma la ristrutturazione delle
forze armate ha portato alla dismissione di decine di caserme in Friuli:
<<è un problema che va risolto al piu' presto. Torneremo all'attacco per
farcela entro questa legislatura: per il Trentino la sdemanializzazione è già
stata fatta. esistono problemi tecnici che si possono superare con la volontà
politica, per non fare scempio di strutture moderne che potrebbero essere di
grande utilità ai Comuni>>.
Walter
Tomada
L'ARENA
DI VERONA
GIOVANNARDI
(CCD) CONTESTA
"E' un'isteria collettiva"
ROMA. "Isteria collettiva sulla
vicenda uranio". La denuncia l'On. Carlo Giovannardi del CCD, che giudica
grave anche il fatto che "vari militari con le stellette dai COCER passano
a fare i sindacalisti e scopritori di casi, a volte inesistenti, e ora sono
probnti a candidarsi alle elezioni".
"Io sono preoccupatissimo - dice
il vicepresidente della camera - per il ruolo di questi militari, perchè non si
capisce se la loro funzione sia costruttiva, di segnalare casi, oppure di fare
speculazioni che provocano drammi nelle famiglie dei militari stessi".
Giovannardi accusa anche "un
certo mondo politico che - dice - ha perso la testa, non meno di un certo
giornalismo". "Purtroppo - aggiunge - ci sono persone malate di
leucemia ma dai dati del Comando dei carabinieri emerge che ogni anno si
ammalano di leucemia 10 militari, di cui 5 sono morti negli ultimi 5 anni senza
essere staati nei balcani; altri 67 carabinieri sono morti per tumore e solo due
erano nei balcani".
Giovannardi incalza: "Ci sono
esponenti della maggioranza, come Cossutta, che chiedono addirittura il ritiro
del contingente italiano in bosnia. Oppure il presidente del Consiglio Amato che
ha chiesto informazioni alla Nato in termini ultimativi, scordando che noi
facciamo parte della nato con responsabilità ai vertici di questa
organizzazione".
ANSA
09/01/2001
URANIO: USA SOLLECITARONO NATO A PRENDERE PRECAUZIONI
(ANSA) - BRUXELLES, 9 GEN - Non passa alla Nato, dopo il 'no' di Stati Uniti
e Gran Bretagna, la proposta italiana per una moratoria sull'utilizzo di
proiettili all'uranio impoverito fino a quando non sara' stata fatta chiarezza
sui loro possibili effetti nocivi. Roma incassa invece la creazione di un gruppo
di lavoro in sede Nato per la raccolta e lo scambio di informazioni e studi
sulla 'sindrome dei Balcani' e l'impegno dell'Alleanza a fornire in tempi
ragionevoli la mappa delle zone interessate in Bosnia. Sono queste, secondo
varie fonti diplomatiche della Nato, le indicazioni emerse dalla riunione
odierna del Comitato politico e dall'incontro informale degli ambasciatori
dell'Alleanza, entrambi volti a preparare il Consiglio Atlantico in programma
domani. La proposta dell'Italia sulla sospensione nell'uso delle armi DU
(Depleted Uranium) - che di fatto non sono attualmente impiegate nelle missioni
di pace della Nato in corso - e' stata illustrata stamane agli alleati nel
quadro di un documento di piu' ampio respiro presentato dal governo di Roma su
un problema che sta scuotendo le opinioni pubbliche in vari paesi d'Europa.
Accanto a richieste ed ipotesi di lavoro gia' fatte filtrare nei giorni scorsi
in sede Nato, i diplomatici italiani hanno invitato gli alleati a considerare
l'idea di soprassedere all' utilizzo di proiettili DU per il tempo necessario ad
una valutazione comune dei rischi ad essi connessi. Molti paesi, colti un po' di
sorpresa da una proposta maturata nelle ultime ore, non si sono pronunciati in
modo esplicito. La Germania - confermano fonti della Nato - si e'
sostanzialmente allineata alla posizione italiana, mentre Washington e Londra si
sono opposte. Le consultazioni sul tema continueranno nelle prossime ore, ma
appare fortemente improbabile che su questo punto possano esserci entro domani
significative novita'. Le decisioni, nella Nato, vengono assunte per consenso:
anche una sola voce dissenziente e' dunque sufficiente per impedire un'intesa.
Proprio sulla base di questo principio, e' possibile che alcuni paesi non si
siano espressi perche' prevedevano che almeno gli Usa si sarebbero detti
contrari alla moratoria. In ogni caso - hanno fatto notare fonti dell' Alleanza
- ''queste non sono decisioni che si prendono in quattro e quattr'otto'' e
occorrera' attendere eventualmente gli esiti di una riflessione piu'
approfondita. Se su questo fronte non vedra' probabilmente adottata in modo
formale una posizione dei Diciannove, Roma segna a suo favore il fatto di aver
preso l'iniziativa per sollevare in sede Nato un reale dibattito sulla questione
dell'uranio impoverito. Come paese che ha contribuito in modo sostanziale alle
missioni di pace dell'Alleanza nei Balcani, l'Italia ha posto ai partner un
problema politico di fondo. Le operazioni di peacekeeping dell'Alleanza - e'
stata la tesi primaria del governo italiano - richiedono nei paesi partecipanti
l'appoggio delle opinioni pubbliche, che va mantenuto nel tempo. Per questo, la
Nato deve attrezzarsi per rispondere a preoccupazioni come quelle innescate
dalle morti sospette e dai numerosi casi di leucemia e cancro rilevati in
militari che sono stati schierati in Bosnia e Kosovo. Su questa impostazione,
nessuno degli alleati ha avuto da eccepire. E' emerso un generale consenso sulla
necessita' di migliorare la raccolta delle informazioni e la loro valutazione
complessiva per fare chiarezza sui possibili rischi delle armi DU. La Nato
mettera' a punto un meccanismo di 'clearinghouse' in cui confluiranno studi e
dati nazionali, ricerche di organismi internazionali e di centri indipendenti:
il 'corpus' di materiale disponibile permettera' una valutazione globale e piu'
accurata del problema. Il Comeds, un comitato che riunisce i responsabili della
sanita' militare dei paesi membri della Nato, si riunira' il 15 gennaio a
Bruxelles per avviare il lavoro. L'Italia ha anche suggerito che l'Unep
dell'Onu, gia' autore di un rapporto epidemiologico sulle conseguenze dell'uso
delle armi DU in Kosovo, ripeta l'esperienza per la Bosnia. Proprio sui 10.800
proiettili e bombe all'uranio impoverito utilizzati nel 1994-95 in Bosnia, la
Nato ribadira' domani l'impegno a fornire tutte le informazioni. I diplomatici
stanno lavorando con le rispettive capitali per mettere a punto il testo di una
dichiarazione comune che dovra' essere approvata dal Consiglio Atlantico.
Brescia
oggi - 07/01/2001
Io,
bresciano dalla Bosnia al tumore
Parla
un maresciallo di Monticelli, reduce dall’ex Jugoslavia e ora malato:
sono un militare fedele, chiedo solo verità
In
Italia decisi test su tutti i militari. La Nato: «Il dossier Onu? Irrilevante»
Nessuna
certezza, nessuna accusa, solo tanta voglia di verità. «Sono un militare,
credo nell’Esercito e sono abituato da sempre ad assumermi le responsabilità.
La politica del sospetto e le strumentalizzazioni sono lontane anni luce dal mio
modo di vivere - dice Sergio D’Angelo di Monticelli Brusati - ma vorrei
qualche risposta chiara per andare avanti a combattere contro il mio male e per
sperare di poter dormire sereno». Le notizie sull’uso di bombe all’uranio
impoverito nella ex Jugoslavia e sulle possibili conseguenze per la salute sono
giunte come una tempesta nel cuore della Franciacorta. D’Angelo, che dal ’98
sta lottando contro un tumore alla laringe, dorme poco e pensa molto. E,
chiamato in causa dalla stampa, ha deciso di raccontare la sua storia.
Intanto il giorno dopo la diffusione del rapporto dell’Onu sui livelli di
radioattività nell’ex Jugoslavia, scoppiano nuove polemiche e si allunga la
lista dei casi sospetti. La Nato ribatte comunque al dossier Onu giudicandolo
irrilevante. Ma in Italia, con una disposizione contenuta nel protocollo della
Sanità militare, è stato stabilito di effettuare test radiologici sui militari
impiegati nei Balcani: gli accertamenti saranno svolti sui soldati prima della
partenza e al ritorno dalla missione.
GIORNALE
LIBERAZIONE - 21/12/2001
a
cura di Pesciaioli Giuseppe*
MORTE
PER URANIO?
La morte è ancora una
volta la protagonista dei militari italiani impiegati in Bosnia e in Kossovo.
Sembra assurdo ma questa
è la realtà, una realtà che tocca la più alta ipocrisia di Governo dall’insediamento
ad oggi.
Nessuno vuole ammettere le
proprie responsabilità davanti simili agghiaccianti testimonianze di morte.
Ammesso e non concesso che
le morti dei militari italiani non siano derivate dall’esposizione da polvere
dei proiettili ad uranio impoverito usati nelle zone sopra menzionate, ancora
nessuno tra i politici, i ministri e gli stati maggiori delle forze armate di
questo Paese, sa dirci il perché
di una situazione che di giorno in giorno si sta
rivelando una vera e propria epidemia di cancro tra gli appartenenti alle
forze armate italiane.
Non è verosimile neanche
la dichiarazione del ministro Mattarella che si sente rassicurato da una classe
dirigente militare che si è accorta delle morti dei propri soldati, solo dopo
le esternazioni dei mass media e solo dopo le denuncie effettuate da chi ha
subito la condanna della contaminazione.
Strano Paese il nostro,
che dopo tutto quanto è successo, strage di Ustica, Gladio, Italicus, Golpe del
71, Piazza Fontana, stazione di Bologna, ancora crede nelle esternazioni di chi
dovrebbe controllare il Paese e garantirne la sicurezza e molto spesso non sa
neanche cosa succede in casa propria.
Già negli anni settanta,
presso i siti che ospitavano il sistema di arma hawks, il personale subiva delle
malformazioni derivate dall’esposizione ad agenti cancerogeni derivate dall’uso
di materiale radioattivo presente in alcuni tubi catodici e mentre gli americani
usando lo stesso sistema, attuavano misure rigorose di sicurezza, da noi non era
disponibile nemmeno il manuale per la prevenzione da tali irradiazioni.
Così, molti colleghi
rimasero sterili, altri si ammalarono e qualcun altro generava figli con
malformazioni, il ministero della difesa si adoperò ad un indagine, come quella
che vuole fare il Ministro Mattarella per intenderci, solo utilizzando medici
militari e vietando tassativamente l’ingresso a tale area a tutti coloro che,
estranei alla difesa, avevano titolo per conto degli assistiti legalmente, per
fare delle indagini.
Bella trasparenza allora e
bella trasparenza ora.
È forse per questo che i
militari italiani si sentono abbandonati e molti non hanno nemmeno il coraggio
di presentare le giuste denuncie verso chi li ha usati, indiscriminatamente
senza tener conto delle circostanze altamente nocive per la salute umana, per
scopi che nulla hanno a che fare con la difesa della Patria e la Salvaguardia
delle libere Istituzioni.
Vogliamo aggiungere anche
che fino a pochi anni fa, tutti coloro che hanno usufruito delle cucine da campo
militari, sono stati soggetti a contaminazione da amianto e che ancora oggi
sulle nostre navi della marina militare ci sono componenti di amianto che sono a
contatto del personale.
È per questo che non
dobbiamo stupirci se il Ministro dice che farà luce sulla faccenda dei militari
morti o ammalati, è la prassi di chi vuole eludere il problema e non prenderlo
in seria considerazione.
Le commissioni militari
sono fedeli a chi detiene il potere temporale e non alla verità, perché se
così non fosse, oggi noi non avremmo avuto bisogno di invocarla quella verità.
Troppe cose non quadrano
alla conta finale, una è perché si aspetta tanto a dichiarare che le zone
contaminate da uranio impoverito rappresentano una vera è propria minaccia per
la salute dei militari; l’altra è
perchè non si ammette la totale impreparazione dell’Italia di fronte a tali
eventi; e ancora perché dobbiamo fidarci delle commissioni o delle affermazioni
dei vertici militari e non dobbiamo credere a quelle degli ammalati di cancro o
di quelli che sono invece deceduti.
Liberazione, Rifondazione
e tutti quelli che simpatizzano per la verità, e con molta modestia mi
inserisco tra di voi, possono fare molto per affermarla e basta solo un piccolo
sforzo, quello di garantire a
coloro che non hanno voce di averne una amica per il solo piacere della verità,
per il solo piacere della giustizia.
I militari sono rimasti
fermi all’era del regime fascista per quanto riguarda la tutela della vita e
della giustizia, sarebbe il caso, una volta per tutte, che vengano liberati
dalla morsa della soggezione e dell’arroganza e dell’ingerenza verso i
diritti, primi tra tutti quello della tutela sindacale che la Costituzione non
ci nega ma che chi vuole mantenere tale sistema fa di tutto per negarcela.
Questo potrebbe segnalare
una svolta sulla gestione delle forze armate e farle diventare veramente uno
strumento in mano della democrazia, facendo partecipi tutti gli italiani del
controllo su di esse, in special modo oggi che la leva non c’è più e la
situazione di ricatto e di soggezione è
diventata la minaccia più grande che il nostro Paese sta correndo di avere.
Chi controllerà l’operato
di chi in base al proprio giudizio decide quanti morti può permettersi l’Italia
in ogni missione e chi sarà in grado di sconfessare tali situazioni se nessuno
può parlare perché ricattato per effetto di legge, dal sistema.
Il mio è un appello a
Rifondazione che è nata e si conserva sulle prerogative della difesa dei più
deboli, noi non siamo diversi dagli altri, ma non abbiamo nessuno che si schieri
con noi per far emergere la verità sulle bugie di Stato.
Tante morti si sarebbero
potute, se voluto, evitare.
Nessuno ammazzi Caino e
nessuno lasci un pezzo di democrazia in mani che la gestiscono senza controllo.
* DELEGATO COCER ESERCITO
MARESCIALLO PESCIAIOLI GIUSEPPE
ANSA
- 06 Gennaio 2001 - 15:03
URANIO: ONU,SERI RISCHI PER
SALUTE;
Funzionario, anche in bonifica .......
LONDRA - Le armi all'uranio impoverito possono mettere in grave pericolo la
salute umana anche durante le operazioni di bonifica. E' l'allarme di Pekka,
capo di una missione del programma per l'ambiente dell'Onu (Unep) che ha
accertato tracce di radioattivita' in 8 siti in Kosovo. 'Se in queste aree si
fanno brillare mine inesplose -ha detto- potrebbero esplodere anche le munizioni
all'uranio impoverito e che la polvere sollevata venga aspirata'. (ANSA)
IL
CORRIERE DELLA SERA
04/01/2001
IL
RETROSCENA
E i generali temono di
perdere i volontari
ROMA
- «Siamo in piena paranoia. Ma se questa psicosi dilaga, rischiamo grosso».
Nei palazzi della Difesa in via XX Settembre si incontrano solo facce scure.
Capi militari preoccupati perché cominciano a temere che la «sindrome dei
Balcani» possa avere conseguenze gravi, fino a minare l'intera riforma delle
Forze armate. «Se va avanti così - dicono - e se prende piede un senso di
paura irrazionale, c’è il rischio che nessuno voglia più fare il volontario.
E per riempire le caserme dovremo ripristinare la leva». C’è frustrazione.
Ma non per tutti. «Noi non siamo demoralizzati. Siamo fortemente arrabbiati»,
sibilano alcuni ufficiali dello Stato maggiore Esercito. Il loro capo, Francesco
Cervoni, è stato messo da qualche politico sul banco degli accusati. Dicono sia
colpevole di aver mandato i militari allo sbaraglio nei Balcani, senza
avvertirli dei pericoli ai quali andavano incontro. Chi lancia queste accuse -
martellano gli ufficiali - parla a vanvera: «Non sa che noi dello Stato
maggiore avevamo le notizie sui proiettili all'uranio e le abbiamo comunicate
agli uomini diretti in Kosovo, indicando anche tutte le precauzioni da prendere.
Siamo arrabbiati e offesi». Per l'intervento in Bosnia, invece, il problema
uranio non si pose «perché agli americani è mancata un po' di giusta
iniziativa, di capacità di comunicazione per far sapere agli altri che
avrebbero usato quei dardi». Come dire: in quel caso non ci potete accusare di
nulla perché noi stessi ignoravamo.
A Valdo Spini, presidente della commissione Difesa della Camera, lo sdegno degli
ufficiali sembra comprensibile. Anche se considera assurda l'ipotesi di un
ripristino della leva, perché «nelle missioni di pace all'estero non si
possono mandare ragazzi impreparati, c'è bisogno di professionisti». Spini,
però, pone il problema di come mettere fine a tutto questo turbine che ha di
colpo sconvolto l'ambiente militare, abituato negli ultimi tempi a godersi gli
allori delle missioni di pace. «Il governo - secondo Spini - sta perdendo
troppo tempo. Bisogna mettere un freno immediato a tutta questa grande
confusione. Per esempio, la commissione scientifica deve dire subito se, in base
ai dati epidemiologici, è normale che su 60 mila uomini passati per i Balcani
ci siano 5 o 6 vittime. Siamo nella media nazionale delle malattie tumorali o
no?». Non abbiamo, dice Spini, «una sola certezza e troppa gente straparla:
uno stop ci vuole. Altrimenti andiamo incontro a pesanti conseguenze.
IL
CORRIERE DELLA SERA
04/01/2001
Il
comitato politico Nato affronterà la questione il 9 gennaio
Uranio, Prodi: «La verità anche sui civili»
Il presidente della Commissione Ue ha detto che l’Europa deve fare chiarezza
e assumersi le sue responsabilità
ROMA — La Commissione europea dovrà accertare la verità
sulle conseguenze dell'uso di proiettili all'uranio impoverito nei
Balcani. Lo ha detto il presidente della Commissione Ue Romano Prodi
intervenendo in una trasmissione radiofonica della Rai.
«Voglio che si accerti la verità - ha detto Prodi - non solo sui
nostri soldati, ma anche su chi viveva vicino a loro, sui civili.
Come presidente della Commissione - ha aggiunto - proporrò di avviare
rapporti immediati con i governi di Bosnia e Serbia per parlare con
loro dell'inquinamento e dei problemi legati all'uranio impoverito».
La responsabilità della futura politica verso i Balcani, ha
sottolineato Prodi, «è nostra, è europea e non degli Stati Uniti. Se
vogliamo costruire un futuro di pace dobbiamo assumerci le nostre
responsabilità».
LA NATO NE DISCUTERA’ IL 9 GENNAIO - La Nato si è dichiarata disponibile
a fornire tutte le informazioni raccolte in merito alle possibili contaminazioni
da uranio impoverito e ha annunciato che affronterà la questione nel
comitato politico che si svolgerà il prossimo 9 gennaio. «La Nato prenderà
tutte le misure necessarie per fornire le informazioni che
l'Italia richiede», ha detto da Bruxelles una portavoce dell'Alleanza
atlantica che ha anche riferito di un’inchiesta avviata sulla vicenda ma ha
poi aggiunto che non esistono prove certe sul legame tra cancro, melanona,
leucemia e l’uso di uranio impoverito.
CIAMPI HA TELEFONATO A MATTARELLA — Anche il presidente della
Repubblica è preoccupato per le morti sospette dei reduci del Kosovo e
della Bosnia che sarebbero legate all'uso dell'uranio impoverito. Carlo
Azeglio Ciampi ha telefonato al ministro della Difesa, Mattarella,
per chiedergli informazioni sugli sviluppi dell'azione di governo a
proposito degli accertamenti relativi al sospetto di contaminazione da uranio
nelle operazioni militari svoltesi nei Balcani.
SONO SEI I MILITARI ITALIANI MORTI — I morti su cui grava il sospetto
di contaminazione da «uranio impoverito» sono sei. L'ultima vittima
è Salvatore Carbonaro, 24 anni, di Floridia (Siracusa). Due missioni in
Bosnia alle spalle, Carbonaro è morto nella notte tra il 5 e il 6 novembre
scorsi nel reparto di ematologia dell'ospedale San Matteo. Un decesso provocato
ufficialmente da una leucemia. Ma altre sei nuove segnalazioni di militari
malati, si sono aggiunte alle decine dei giorni scorsi (si parla addirittura
di quaranta).
Da
Parigi un nuovo appello alla Nato per fare chiarezza
«Sindrome dei Balcani» paura in Europa
Quattro casi di leucemia anche in Francia mentre si indaga sulla morte sospetta
di un pilota di elicotteri ceco
PARIGI - Si estende in tutta Europa la paura per la
cosiddetta «sindrome dei Balcani». Quattro soldati francesi sono
attualmente ricoverati per leucemia negli ospedali militari. Il sospetto
è che la loro malattia dipenda dalla possibile contaminazione con l’uranio
impoverito, utilizzato nei proiettili usati dalla Nato nella ex-Jugoslavia. Lo
ha annunciato il portavoce del Ministero della Difesa, Jean-Francois Bureau.
Il portavoce ha riferito che il ministro Alain Richard ha disposto l'avvio di
«esami per stabilire se vi siano eventuali relazioni tra questi
casi di leucemia e la permanenza dei soldati nei Balcani».
Secondo Richard le loro condizioni sono «tranquillizzanti», anche se
per motivi di privacy non vengono fornite ulteriori informazioni. Anche Parigi
vuole comunque che sia fatta chiarezza su questa vicenda e lo stesso ministro
della Difesa ha chiesto agli americani di «essere trasparenti» su questo
tema.
SOSPETTI PER LA MORTE DI UN MILITARE CECO — Un pilota di elicottero
ceco è morto un anno fa poco dopo essere tornato da una missione
in Bosnia e, secondo quanto scrive oggi il quotidiano «Mlada fronta Dnes»,
potrebbe trattarsi di una vittima della cosiddetta «Sindrome dei
Balcani». Secondo il racconto del comandante dell'elicottero, Jaromir
Dolezal, il pilota, Michal Martinak, della base aerea di Kbely, presso
Praga, dopo aver effettuato una missione di un giorno in Bosnia fu fatto tornare
in patria dopo che un esame medico aveva rivelato una «disfunzione
del sistema sanguigno».
PRIMA DELLA MISSIONE ERA SANO — Il pilota, secondo quanto sostiene il
suo comandante, aveva già effettuato lo stesso esame prima della
partenza per la missione. Il capo del servizio sanitario dell'Esercito,
il generale Jan Petras, ha già annunciato la creazione di una commissione
d'inchiesta per investigare sulla morte di Martinak. Secondo il generale,
gli effetti radioattivi dell'uranio impoverito sono comunque
insignificanti. Egli ha anche spiegato che i soldati cechi vengono
sottoposti ad esami medici completi prima e dopo ogni missione.
03/01/2001
Radio Capital
Uranio
impoverito, la Nato pronta a fornire chiarimenti
Il Presidente Ciampi scrive a Mattarella
L'Alleanza atlantica farà di
tutto per fornire all'Italia informazioni sull'uso di armi all'uranio nei
Balcani. Lo ha dichiarato oggi una portavoce della Nato reagendo alle
sollecitazioni del presidente del consiglio Giuliano Amato. 'Del resto - ha
aggiunto - abbiamo gia' avviato un'inchiesta. Il presidente Ciampi, intanto, ha
chiesto al ministro della Difesa Mattarella informazioni sull'azione di governo
a proposito della possibile contaminazione da uranio impoverito di nostri
soldati.
03/01/2001
- La Repubblica
Uranio, un altro morto
Militare reduce dalla Bosnia ucciso
dalla leucemia: è il sesto
dal nostro inviato ROBERTO BIANCHIN
PAVIA - Sorrideva, il soldato Salvatore, quando i suoi amici l'hanno fotografato
a Sarajevo, in divisa, vicino a una mitragliatrice. Era andato in Bosnia due
volte, per "guadagnare qualche soldo per la famiglia". Non pensava di
tornare malato di leucemia. Il male, un male "particolarmente aggressivo,
resistente ad ogni cura", ricorda il medico che l'ha curato, lo ha
stroncato in un anno e mezzo. Il nome di Salvatore Carbonaro, 24 anni, siciliano
di Floridia, vicino a Siracusa, soldato di leva in forza alla Brigata Garibaldi,
morto la notte tra il 5 e il 6 novembre scorso all'ospedale San Matteo di Pavia,
si va ad aggiungere alla lista dei militari italiani deceduti al ritorno dalle
missioni nell'ex Jugoslavia.
Un elenco di morti sospette per leucemie e tumori contratti dai militari che
sono stati nei Balcani, che si allunga ogni giorno che passa: Salvatore è la
sesta vittima. La prima, poco più di un anno fa, nel settembre del '99, fu il
soldato sardo Salvatore Vacca, colpito anche lui, come gli altri, da una
leucemia fulminante. Rinaldo Colombo, carabiniere di Samarate, nei pressi di
Varese, tornato anch'egli dalla Bosnia, morì invece, l'8 novembre scorso, per
un melanoma. Il sospetto è identico per tutti: che ad uccidere sia stato lo
stesso killer spietato e silenzioso, l'uranio "impoverito", che i
militari americani (18 mila veterani della guerra contro l'Iraq contaminati
dalle loro stesse armi) chiamano "metal of dishonor", il metallo del
disonore. Un metallo tossico e radioattivo usato per fare i proiettili e per
rinforzare le corazze dei carri armati, degli aerei, degli elicotteri, delle
navi e persino dei satelliti. Un nemico invisibile, che nessuno conosceva, da
cui nessuno aveva i mezzi per difendersi.
Salvatore, che era sano, che era giovane e forte, ci lavorava accanto a quel
nemico mortale. Faceva l'armiere in Bosnia, stava tutto il giorno in compagnia
di fucili, mitragliatrici, pallottole e carri, e aveva l'incarico di pulire le
armi. Le sgrassava, le lucidava, le teneva in ordine. Quando si ammalò
all'improvviso, fu il primo a pensare di aver preso la leucemia per colpa di
quelle armi che sparavano i micidiali proiettili all'uranio, o per colpa del
benzene che adoperava per lavorare, e lo scrisse nel suo diario. Un atto di
accusa lucido, preciso. Aveva anche avviato una causa di servizio per sapere se
era stata questa la causa del suo male. Nessuno gli ha mai risposto. Quando si
è ammalato l'hanno congedato. Congedato e basta, senza occuparsi più di lui,
lasciato solo a lottare con la morte.
Salvatore faceva il militare a Persano, vicino a Salerno, quando nell'98, a soli
22 anni, decise di partire per la Bosnia. Una missione di due mesi, filata via
liscia, senza problemi, senza malattie. Era addetto al servizio
vettovagliamento. Nel dicembre dello stesso anno decise di tornare a Sarajevo.
Gli servivano per aiutare la sua famiglia quei soldini in più che danno ai
militari quando vanno all'estero in missione. La sua seconda volta in Bosnia
dura tre mesi, fino a febbraio del '99, ma stavolta cambia lavoro: non più
viveri ma armi. Viene destinato all'armeria. E' lì, mentre pulisce i cannoni,
che si fa fotografare dagli altri soldati. Non pensa certo di correre dei
rischi. Ma è lì, probabilmente, che si ammala. Perché tre mesi dopo il suo
ritorno in Italia, nel maggio '99, mentre sta continuando il suo servizio
militare, sempre a Persano, avverte i primi sintomi del male che lo strapperà
alla vita. La diagnosi non lascia scampo: leucemia. Lo congedano senza un
grazie.
E qui comincia il suo calvario. All'inizio di maggio viene ricoverato una prima
volta all'ospedale di Siracusa, poi a metà del mese, vista la gravità della
situazione, si rivolge a un ospedale specializzato, il San Matteo di Pavia, dove
per diciotto mesi combatte la sua battaglia contro il male, fino ad arrendersi,
la notte fra il 5 e il 6 novembre.
"Me lo ricordo bene quel ragazzo - dice il professor Mario Lazzarino,
direttore della divisione Ematologia dell'ospedale San Matteo - ha combattuto
fino alla fine, come ha potuto. La sua vicenda ci ha colpito molto, e ci ha
toccato tutti". Il medico racconta di una leucemia acuta, particolarmente
aggressiva e resistente: "Ci siamo trovati di fronte una malattia piuttosto
refrattaria alle cure: abbiamo tentato una chemioterapia intensiva, ma dopo una
risposta iniziale positiva, c'è stato un aggravarsi delle condizioni, e quindi
una ricaduta fatale". Però è cauto, il professore, sulle cause della
leucemia: "Non è possibile stabilire a priori un nesso tra la morte del
militare e la sua permanenza in Bosnia".
Non l'hanno aiutato, Salvatore, neanche per i funerali. La notte che morì, suo
fratello Mauro, che lo assisteva, fu derubato del portafogli. Dentro c'erano tre
milioni e mezzo, quelli per le esequie. Per pagargli il funerale hanno dovuto
fare una colletta in ospedale.
03/01/2001
La Repubblica
Uranio - "Attenti ad una nuova Ustica"
Nelle riunioni dei militari con Mattarella il timore di un caso incontrollabile
di VINCENZO NIGRO
ROMA - "Io credo che non possiamo più aspettare, siamo stati cauti,
abbiamo riflettuto, abbiamo provato a lavorare secondo legge e secondo
coscienza, ma le cose vanno più veloci della verità che stiamo cercando. Io
questa storia l'ho già vista, si chiama Ustica... gli elementi ci sono tutti,
per creare qualcosa come una nuova Ustica, un nuovo mistero che finirà fuori
controllo, in cui nessuno riuscirà a capire più dove sia il giusto".
Sono le nove del mattino, i carabinieri di guardia a Palazzo Baracchini battono
i piedi in terra dal freddo. Su, al primo piano, dietro tre dita di vetri
blindati che difendono dal pericolo ma a volte separano dal paese, i capi della
Difesa sono alla prima riunione di una giornata assai lunga.
Il capo di stato maggiore Mario Arpino, il generale che comanda tutta la Difesa,
siede di fronte a Giampaolo Di Paola, l'ammiraglio che guida il Gabinetto del
ministro Mattarella. Si preparano all' incontro che stanno per avere con Sergio
Mattarella, il primo di una serie che terrà il ministro bloccato per ore alla
sua scrivania. É Arpino che per primo lancia l'allarme sulla "sindrome
Ustica": "Qualsiasi cosa facciamo, comunque lo facciamo rischia di
ritorcersi contro di noi. Ma se non facciamo nulla, se aspettiamo soltanto i
tempi della scienza e delle commissioni rischiamo di fare anora peggio".
Già, ma cosa fare? "L'allarme uranio impoverito ormai è vicino a livello
da psicosi collettiva, incontrollata e purtroppo incontrollabile", dice una
fonti della Difesa che parla con Repubblica: "Forse solo Ciampi o Veronesi
potrebbero raffreddare per un attimo la situazione. Ma per ora non lo
fanno". Gianfranco Astori, ex deputato, consigliere di Mattarella, fa un
altro esempio: "Rischia di essere un altro caso Di Bella, e forse come
allora, come col caso Di Bella, dovremo attendere che i tecnici ci dicano la
verità su cosa è malattia collegata all'uranio, cose è da far risalire al
benzene e cosa invece non c'entra nulla con la Bosnia e il Kosovo".
Alle 10 del mattino Arpino e Di Paola si spostano nello studio di Mattarella,
iniziano a discutere, pianificano la missione in Bosnia di domani e quella in
Kosovo del sottosegretario Minniti. Mattarella ha una preoccupazione: quella di
garantire, di rispettare serenità e serietà di lavoro per la Commissione
Mandelli. I militari sono preoccupati per quello che accade alla Difesa italiana
nella Nato ("da Bruxelles ancora non capiscono che questa per noi è una
questione seria"), per gli effetti sui nostri soldati nei Balcani, per la
credibilità del sistema-Difesa nel paese.
Mattarella concorda, dobbiamo muoverci. Ma fissa i suoi punti, e li ripete nel
pomeriggio in un'intervista che rilascia al Corriere della Sera: nessuna
interferenza col lavoro della Commissione Mandelli, nessuna pressione, nessuna
interferenza. Il governo deve capire se le malattie che spuntano in questi
giorni sono episodi singoli o collegati fra di loro, se sono riconducibili
all'uranio impoverito oppure a vaccinazioni che possono aver indebolito il
sistema immunologico di alcuni soldati. Mattarella ripete: Mandelli deve
lavorare senza sentire addosso l'angoscia, la pressione dell'opinione pubblica.
Come dire: evitare un nuovo effetto-Ustica rispettando i tempi di una
commissione in stile Di Bella.
31/12/2000 LA
REPUBBLICA
"Non avevamo le maschere ci hanno nascosto la verità"
Un carabiniere amico di Rinaldo: "I proiettili all'uranio fondevano i carri
armati"
dal nostro inviato ANNALISA CAMORANI
SAMARATE (Varese) - "Rinaldo in divisa, perfetto nel suo metro e novanta e
Valentina in abito bianco davanti all'altare. Neanche due anni dopo, la bara
portata a spalla dai militari. Nella stessa chiesa a San Macario di
Samarate". Due immagini troppo vicine nel tempo che Valentino non riesce a
togliersi dalla testa. L'uomo, suocero di Rinaldo Colombo, ripete come un
automa: "L'8 novembre mi è morto un figlio". Ma quell'accostamento di
immagini non se lo scorda neanche don Giancarlo, il parroco di Sant'Anna a Busto
Arsizio (Varese) che per quindici anni è stato amico del militare. "Il 12
dicembre 1998 ho celebrato il matrimonio di Rinaldo. L'11 novembre 2000 il suo
funerale". Il parroco, ricordando la malattia del giovane, non pronuncia
mai la parola "uranio impoverito", ma alle missioni ci pensa:
"Qualche dubbio l'ha avuto. Da malato se l'è chiesto se c'era un nesso tra
il melanoma che lo divorava e la Bosnia".
Forse anche Rinaldo ha fatto le stesse considerazioni che oggi fa un altro
carabiniere reduce delle missioni di pace e che preferisce l'anonimato:
"Non avevamo maschere né guanti. Le uniche tute le ho viste addosso ai
genieri dell'esercito perché c'erano le televisioni a filmare. C'erano i ponti
bombardati con munizioni radioattive e noi lì davanti a fare la guardia. Ho
visto gli effetti dei proiettili all'uranio impoverito sui carri armati colpiti:
le carni fuse col metallo delle corazze. E noi lì davanti. Nessuno ci ha messo
in guardia sui rischi di una contaminazione. Ci hanno presi in giro tutti, dai
generali ai carabinieri semplici".
Il militare era stato in missione due volte, in Bosnia-Erzegovina dal dicembre
'96 a marzo '97 e in Albania da aprile ad agosto '97. Quasi un anno dopo si era
scoperto un'escrescenza sottocutanea al cuoio capelluto. Poi la biopsia e la
scoperta della natura maligna. "La seconda operazione alla gola è stata
quella che lo ha buttato veramente giù", ricorda il suocero. "Era un
ragazzone alto un metro e novanta, lo abbiamo visto precipitare, un po' alla
volta. Sono stati due anni di calvario". Rinaldo e Valentina vivevano a San
Macario, frazione di Samarate nella stessa casa dei genitori di lei. Al dolore
per la perdita, il padre della vedova somma la preoccupazione per la figlia.
"Ha 27 anni - si sfoga l'uomo, gli occhi rossi - e ha bisogno di reagire,
di trovare una forza che io, anziano come sono, non riesco a trasmetterle. Per
Capodanno voleva stare in casa, da sola. Sono stato io a insistere perché
partisse per un po' , ha bisogno di stare con gente giovane". E così
Valentina si è rifugiata per qualche giorno da alcuni amici conosciuti nei
ritrovi di Cl. Ma don Giancarlo è fiducioso: "Valentina è dolce,
sembrerebbe fragile. Invece è una donna consistente, forte".
Anche il padre e la madre di Rinaldo non hanno parole: "E' morto l'8
novembre e per noi è ancora come se fosse qui. La ferita della sua scomparsa è
ancora troppo recente. Più avanti forse parleremo, ma in questo momento siamo
ancora sotto choc".
31/12/2000 - LA
REPUBBLICA
L'ombra delle armi chimiche
Mattarella: "Sulle morti dei
reduci di Bosnia,indagini a 360 gradi"
di GIOVANNA CASADIO
ROMA - Non è solo l'uranio il killer dei militari italiani utilizzati in
missione di pace nell'ex Jugoslavia. I diecimila proiettili radioattivi usati
dalla Nato in Bosnia nel '95, i 31 mila sparati in Kosovo nel '99 non sono gli
unici responsabili. Il ministro della Difesa italiano, Sergio Mattarella, ha
ammesso ieri che "non si trascura alcuna ipotesi sulle ragioni che
potrebbero aver portato la presenza di malattie tra i militari che si sono
recati nell'area balcanica".
Se è la "sindrome dei Balcani" a uccidere decine di reduci in tutta
Europa, evidenti sono le analogie con i "casi" verificatisi dopo la
guerra del Golfo nel '91 e ugualmente non è da escludere che a determinare gli
effetti devastanti possa essere stato l'uso di armi chimiche. Per i Balcani
insomma la stessa ipotesi che si fa già da anni per l' Iraq?
Per il ministro della Difesa italiano è una fine d'anno senza tregua, dopo
l'annuncio che un altro carabiniere - il quinto reduce italiano dalla Bosnia -
è morto di cancro, e mentre la Procura militare allarga a altri dieci casi
l'inchiesta sulla "sindrome dei Balcani": il dossier del pm Antonino
Intelisano conterrebbe ora trenta nomi. Si limita ad affermare Mattarella che
l'indagine sarà svolta a 360 gradi. E in una nota ricorda la commissione
sanitaria da lui insediata due settimane fa, "guidata da uno scienziato di
alto profilo come l'ematologo Franco Mandelli alla quale è stato dato mandato
pieno per qualunque pista di indagine e di accertamento al fine di appurare la
verità e garantire la sicurezza dei militari in Italia e all'estero".
Nulla sarà tralasciato. Prima di tutto di individuare se esiste o meno un
collegamento tra i vari casi e, in caso affermativo, con la presenza sul terreno
di contaminazioni radioattive.
Nè esclude il ministro la possibilità di uno screening tra i militari inviati
nei Balcani, una volta che la commissione Mandelli abbia espresso il proprio
parere entro la metà di gennaio. Screening già avviato in Portogallo e in
Germania. La "sindrome dei Balcani" è diventata infatti un caso
politico europeo.
La Nato dichiara che mancano prove di un nesso tra morti e missioni nei Balcani,
ma ambienti militari assicurano che in un dossier top-secret si vanno
raccogliendo prove sull'uso di armi chimiche in quell'area.
Dal ministro della Difesa belga, Andrè Flahaut, in una lettera inviata al
collega svedese Bjorn von Sydow, paese che da domani assume la presidenza di
turno della Ue, è partita la proposta di analizzare il delicato problema a
livello europeo. Finora nessuna risposta ufficiale. Un portavoce della
Commissione Ue ieri non ha voluto commentare l'iniziativa, e il ministero della
Difesa svedese si riserva di pronunciarsi dopo aver letto la lettera.
Dall'Italia una sostanziale adesione: "Sarà certamente utile la
possibilità di confrontare i risultati delle indagini svolte dagli altri paesi
in cui ci sono stati casi simili", commenta Matterella.
Intanto cresce l'allarme anche in Italia per la "sindrome dei
Balcani". Ieri è arrivata la precisazione del comando dei carabinieri di
Varese che nega ci sia un nesso certo tra la morte del carabiniere Rinaldo
Colombo e la sua missione in Bosnia. Colombo, 31 anni, due spedizioni di pace
nei Balcani è morto per un melanoma, precisano i suoi superiori. "Nessun
allarmismo, ma massimo allerta", è l'invito del Cocer dei carabinieri.
Però "Unarma", l'associazione che ha diffuso la notizia della morte
di Colombo, dichiara che altri quattro carabinieri (tra cui un ufficiale)
tornati di recente dai Balcani, potrebbero essere stati contaminati dall'uranio
impoverito. Sarebbero almeno venti i militari dell'Arma sottoposti a controlli,
anche se la metà a puro titolo precauzionale. Il numero dei casi sospetti
continua a crescere.
Alla ripresa dell'attività parlamentare, martedì 9 gennaio, è stato subito
convocato l'ufficio di presidenza della commissione Difesa della Camera sulla
"sindrome Balcani". Il presidente, Valdo Spini rivendica il ruolo
ispetivo del Parlamento e annuncia un'indagine conoscitiva per stabilire a) cosa
si sa sulle conseguenze della presenza di uranio impoverito nella guerra del
Golfo del 1991; b) chi sapeva dei proiettili a uranio impoverito in Bosnia nel
1995 (i militari sapevano e i politici no?); c) quali precauzioni sono state
prese per la spedizione in Kosovo del 1999; d) vanno acquisiti i risultati della
commissione Mandelli. Inoltre, il sottosegratario all'Ambiente Valerio Calzolaio
partecipa alla task force Unep (l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'
ambiente) sulla contaminazione radioattiva del Kosovo.
29/12/2000
- IL MANIFESTO
Uranio,
il muro del silenzio
I generali italiani e le istituzioni che sapevano e sanno, ma tacciono sulle
operazioni militari dove è stato usato "Depleted Uranium". I
bombardieri, per colpire Kosovo e Serbia, partivano da Gioia del Colle
di ANTONIO CAMUSO *
Ci stiamo rendendo conto di come la vicenda "uranio
impoverito" abbia assunto un quadro allarmante solo in questi giorni in cui
il muro di silenzio, che le istituzioni militari avevano eretto su questi casi,
è stato rotto dalla rabbia dei familiari colpiti negli affetti più cari, dagli
stessi militari ammalati e da alcuni loro rappresentanti del Cocer. Solo ora i
responsabili diretti politici (Ministro della Difesa) e militari (Stato Maggiore
dell'Esercito) accennano a parlare di inchieste da aprire, dati da rilevare e
commissioni "neutrali" d'inchiesta da istituire.
Siamo di fronte all'ennesima ripetizione di meccanismi troppe volte rivisti
nelle tante stragi di Stato che vedono coinvolti i nostri protettori: le Forze
armate Usa e in particolar modo quelle inserite nell'apparato Nato. Consigliamo
di andare a rivedere interviste e dichiarazioni rilasciate non solo dal Comando
Nato, ma anche dai nostri responsabili politici alle domande che venivano loro
poste durante i bombardamenti della primavera 1999. Tutte le dichiarazioni erano
improntate a un "non ci risulta che vi sia un problema proiettili
all'uranio impoverito". D'altro canto di fronte a una dichiarazione di
così palese omertà, gli uffici stampa statunitensi e loro alleati si
ritenevano autorizzati a fare scena muta mentre scaricavano migliaia di questi
proiettili sul Kosovo e sulla Serbia. Oggi i nostri generali cascano dalle
nuvole di fronte alle stesse ammissioni da parte Usa dell'utilizzo di tali
ordigni, annunciano inchieste e insediano commissioni.
Sembra così che il concetto di sovranità limitata sia interpretabile, da parte
loro, come un obbligo morale di preservare gli interessi e l'onorabilità delle
forze armate del grande fratello americano, ritenendo invece ininfluenti i
rischi e pericoli per i soldati italiani, i loro familiari e le popolazioni che
abitano nei dintorni delle basi dove aerei e ordigni radioattivi sono impiegati.
Senza contare poi il dato "morale" relativo all'uso contro popolazioni
civili di tali ordigni.
Ci domandiamo così: com'è possibile che i nostri ufficiali non erano a
conoscenza che gli A-10 di stanza ad Aviano impiegavano proiettili all'uranio?
Eppure su
tutti i manuali e riviste specializzate del settore viene illustrato come
l'armamento standard per il cannone GE GAU-8/A Avenger da 30 mm
installato sui cacciabombardieri A-10 sia un misto di proiettili al
tungsteno Ap da 354 grammi ciascuno e di proiettili Staballoy all'uranio
impoverito da 690 grammi. Una potente arma, quel cannoncino rotante, capace di
sparare da un minimo di 2.100 fino a 4.200 colpi al minuto, un vero inferno di
fuoco che era stato progettato per fermare le divisioni corazzate russe che
durante la guerra fredda avrebbero potuto invadere le pianure dell'Europa
centrale e che poi, invece, è stato impiegato nella guerra del Golfo e nell'ex
Jugoslavia.
Ignoranza o omertà?
Gli A-10 del 51st
Fighter Wing dell'Usaf sono stati una presenza costante durante la crisi
jugoslava nell'aeroporto di Aviano e il loro uso tattico è stato pianificato
all'interno del complesso di pianificazione Nato nel quale noi italiani siamo
pienamente integrati e abbiamo il diritto di sapere tutto. Chi è che mente
oggi? O meglio chi è che, sapendo sin dall'inizio che si stavano innaffiando
di proiettili all'uranio zone nelle quali sarebbero stati inviati nostri
militari, a presidiare nel dopo-bombardamenti, non ha provveduto ad avvisare i
responsabili politici (il governo) e militari (i comandi dei reparti operativi
inviati in Kosovo)?
Per non rimanere nel generico individuerei innanzitutto alcuni soggetti ai
quali si potrebbero andare a rivolgere queste domande: parlo del Comandante
italiano della base di Aviano e dei suoi sottoposti che curavano i rapporti
operativi con i reparti della forza aerea statunitense. Dobbiamo ricordare che
dopo la strage del Cermis l'intero comando italiano della base aveva avuto una
tirata d'orecchie per il lassismo col quale lasciavano fare e disfare in quella
base, da parte dei piloti Usa, con le conseguenze che tutti noi sappiamo. Parlo
del generale Leonardo Tricarico, comandante della Va Ataf di Vicenza e
del Cofa (Centro Operativo della Forza Aerea), vicario della gestione delle
operazioni aeree in quel frangente. Ma parlo anche del generale Giuseppe
Marani, che è stato per un quarto del periodo dei bombardamenti il
portavoce militare Nato a Bruxelles e che in una sua intervista diceva:
"...molto spesso i giornalisti pongono domande in buona fede... certi
dettagli tecnici, però, se da un lato aiutano a comprendere meglio, espongono
comandi ed equipaggi a rischi gravi, limitando la libertà tattica di
organizzare e applicare metodi e procedure nella maniera piu adatta alla
situazione..."
E sì, tutto si risolve ad un problema tecnico, salvo che, poi, a pagarne le
conseguenze sono persone innocenti. Dai primi di aprile del 1999 uno squadrone
di ben 24 cacciabombardieri A-10 viene inviato in Puglia, a Gioia Del Colle,
sede del 36 Stormo. Sono gli uomini dell'81st Expeditionary Fighter Squadron
dell'Usaf, provenienti dalla base tedesca di Spangdahlem. Il loro compito è
condurre, ora che le difese aeree jugoslave alle quote medio-basse sono
indebolite dai continui attacchi, le previste incursioni a colpi di missili e
cannoncini (all'uranio) contro i singoli mezzi corazzati serbi. Si può dire
che è proprio da Gioia del Colle che dobbiamo il maggiore contributo di
proiettili all'uranio impoverito sparati sul Kosovo e sulle provincie
meridionali della Serbia. Tenendo conto che si tratta di molte tonnellate di
queste munizioni utilizzate, possibile che nessun militare italiano si sia
domandato che significava quel Staballoy depleted Uranium scritto sulle
casse dalle quali venivano estratti i nastri per le mitragliere degli A-10?
Possibile che il colonnello Mirko Zuliani comandante del 36 Stormo non
sia venuto a conoscenza di tutto ciò? Gioia del Colle non è la grande Aviano
e si vive fianco a fianco tra equipaggi multinazionali, è impossibile non
sapere e non vedere gli entusiasmanti racconti del pilota di A-10 che, di
fronte a una birra, narra di come ha visto scomparire sotto una tempesta di
fuoco all'uranio una fila di tank serbi o qualche altro obiettivo mobile.
Possibile che, una volta firmato l'accordo di cessate il fuoco, e saputo le
zone nelle quale i nostri soldati venivano inviati come forza di occupazione
e/o interposizione, a tutti questi soggetti non sia venuto in mente di avvisare
lo Stato Maggiore per far scattare le adeguate protezioni per i nostri soldati?
Possibile che la fedeltà alla Nato sia stata superiore a quella dovuta ai
propri connazionali, che addirittutra vestono la stessa divisa? Sono domande
inquietanti e che, come dicevo prima, ci portano indietro ad altre cattive
esperienze "atlantiche".
"Non sapevamo
nulla..."
C'è qualcos'altro che non quadra e che fa pensare a una regia di
occultamento di prove, ma che ha anche motivazioni di carattere economico.
Andiamo per ordine: tra agosto e settembre 1995 vi sono quegli attacchi aerei
sulla Bosnia che portano alla pace di Dayton, durante i quali vengono
utilizzati per la prima volta sul territorio europeo i proiettili all'uranio.
Nello stesso territorio, e guarda caso proprio nelle località serbe colpite -
qualcuno ha mai preso in esame le denunce delle autorità mediche jugoslave
sulla contaminazione in loco dal 1996? -, sono inviati come contingenti di pace
i soldati del contingente italiano.
Casualmente da parte dello Stato Maggiore parte la richiesta di attrezzare una
speciale unità di difesa Nbc capace di muoversi su ambienti contaminati, in
operazioni di pace "umanitarie". Teoricamente dal 31 dicembre '95, ma
operativamente dal 1998, questa unità prende il nome di 7 Reggimento difesa
Nbc "Cremona". Di questo reggimento la prima compagnia operativa,
anche se a
ranghi ridotti, dove muove i primi passi? In Kosovo, naturalmente, nel luglio
del 1999 - a poco meno di due mesi dall'ingresso dei contingenti Kfor-Nato nella
provincia serba - e ad onor di cronaca il nome di questa compagnia è veramente
indicato: Peste.
Perché il segreto?
Lo scopo della
prima missione è quello di mettere a frutto ciò che è stato loro insegnato
presso la scuola interforze Nbc di Rieti, presso il Comprensorio di Santa
Lucia, sede del centro Tecnico dello Stabilimento Chimico di Civitavecchia e,
per alcuni ufficiali, presso la Nato school (Shape) a Oberammergau e presso il
Collegio militare inglese (Shrivenham). Sono delle operazioni di rilevazione e
campionamento che vedono il nostro personale recarsi presso alcuni siti
bombardati, in tute ed equipaggiamento protettivo e raccogliere campioni di
"materiale contaminato". Presso lo Stato Maggiore dell'Esercito e
presso la sede di questo reggimento dovrebbero esserci quindi i risultati, le
zone interessate a questo campionamento, le dovute osservazioni scaturite dagli
esami di laboratorio, anche grazie ai successivi esami delle altre compagnie,
la 2a (novembre '99), la 3a (marzo 2000), in attesa che la quarta raggiunga il
pieno organico a fine 2000.
Sono coperte da quale tipo di segreto? Segreto Nato, di Stato italiano, Onu?
Finora l'unico risultato è che è partita la richiesta di dotare questo
reparto di veicoli blindati da ricognizione Nbc ed è partito l'ordine
d'acquisto di 13 Vbr I Nbc francesi, anche se noi abbiamo in cantiere un
prototipo Puma 6X6. Poichè i francesi di radioattività se ne intendono, i
prossimi corsi sono alla scuola Nbc di Caen. Altre notizie provatele a chiedere
alla Rivista Militare, organo dello Stato Maggiore dell'Esercito, che
sul numero 5/2000, a firma del tenente colonnello Lucio Morgante e del Capitano
Alberto Corrao, in servizio presso il 7 Rgt Cremona, hanno redatto un servizio
sul polo Nbc con annesse le foto della missione "speciale" in Kosovo.
L'uranio in Italia
Vi sono
naturalmente dei dubbi sulla possibile inerzia di questi proiettili quando sono
stoccati e non vi sono rilevamenti da parte di fonti civili
"neutrali". Possiamo comunque affermare che, nel momento dello sparo,
questi proiettili sotto l'effetto delle alte temperature e dell'enorme energia
cinetica dovuta alla velocissima rotazione che viene loro imposta, non solo
diventano fonte e produttori di piccole particelle radioattive al momento
dell'impatto e della vaporizzazione, ma anche nei primi momenti, quando stanno
per uscire dalla volata del cannoncino. E' lì che si depositano residui di
combustione e presumibilmente di altra natura anche radioattiva. Ricordiamo
come, tra i colpiti della Sindrome del Golfo, risultano meccanici, armieri di
carri armati americani che avevano sparato proiettili all'uranio. Erano soldati
che avevano curato solo la manutenzione delle armi, senza mai combattere.
Durante i 78 giorni di bombardamenti, si è mai visto un armiere americano
indossare tute ed equipaggiamento Nbc mentre faceva la quotidiana pulizia del
cannoncino Gau-8 A degli A-10 di stanza ad Aviano e a Gioia del Colle? Sono
sicuro di no e addirittura le foto di questi armieri al lavoro distribuite
dagli stessi Usa lo confermano. Ma sappiamo bene come, a fronte di centinaia di
cause portate avanti dai reduci del Golfo, le strutture militari americane e le
industrie produttrici dei proiettili continuino ad assicurare la totale
innocuità di quest'armamento.
La cosa preoccupante è che questi soldati, non avendo messo in atto le dovute
precauzioni, hanno messo in pericolo gli altri. Un esempio: l'armiere che
pulendo la canna dell'arma si ritrova la tuta, il berretto, i guanti sporchi di
residui, va durante il servizio presso i locali comuni, il bar, i bagni, la
mensa, stringe la mano di amici e conoscenti, sale su mezzi suoi o di altri,
seminando ovunque dipiccole particelle di ciò che c'era nell'arma. Inoltre
quali precauzioni non sono state prese per l'eliminazione del materiale
contaminato? Tute sporche ed attrezzi che fine hanno fatto? E' un quadro
allarmante anche perché, spesso, in alcune basi accanto ai militari vi sono
anche gli alloggi dei familiari, che potrebbero essere entrati in contatto con
tali sostanze ed averle veicolate all'esterno.
Le cluster bomb
Ricordiamo come a causa di un malcapitato pescatore, che saltò in
aria dopo aver preso nella sua rete una bomba Nato, si scoprì che l'Adriatico
aveva avuto la sua dose di cluster bomb. Dopo le prime impacciate smentite e
rassicurazioni, saltarono fuori cinque ipotetiche zone "di rilascio"
dove gli aerei Nato, di ritorno dalle missioni incompiute o in emergenza,
avevano abbandonato il loro micidiale carico bellico, e come poi fu costituita
una flotta di cacciamine che per mesi ha proseguito una parziale opera di
bonifica. Nessuno però si è chiesto se vi sia stato anche rilascio di
proiettili all'uranio impoverito nel nostro mare. E' sicuro, conoscendo le
procedure di sicurezza che ogni pilota in missione operativa deve adottare:
"Ogni aereo, una volta raggiunto il mare aperto e prima di giungere sul
punto di incontro con le altre formazioni congiunte (guerra elettronica,
attacco a difese antiaeree, scorta, rifornimento, ecc) deve provare le sue armi
con una raffica che va dai tre ai sette secondi". Questo va fatto per
evitare di dover abortire una missione solo per un semplice guasto meccanico.
Tenendo conto che quest'operazione è stata effettuata per centinaia di volte e
tenendo conto che alla velocità minima di 2.100 colpi al minuto sono stati
sparati in mare un paio di centinaia di proiettili all'uranio per missione,
possiamo dire che molte migliaia di proiettili all'uranio giacciono tra le
nostre coste e il limite delle acque territoriali del Montenegro e
dell'Albania, con conseguenze incalcolabili.
*Osservatorio sui Balcani - Brindisi
24/12/2000
- IL CORRIERE DELLA SERA
Uranio, sono «pulite» le
basi in Bosnia
Primi controlli sul rischio
radioattività dopo i bombardamenti della Nato
di Nicastro Andrea
Soddisfazione nel governo per le ammissioni dell' Alleanza: «Le notizie
arrivate solo a dicembre» Uranio, sono «pulite» le basi in Bosnia Primi
controlli sul rischio radioattività dopo i bombardamenti della Nato. Forse la
Nato ha sbagliato mira e non è riuscita a trafiggere la paura sulle sue
pallottole all' uranio impoverito. Ma forse non ci ha neppure provato. E non si
è preoccupata di sedare i tremori di Italia, Spagna e Portogallo per i casi di
leucemia e cancro riscontrati su alcuni reduci dai Balcani. «Non ci sono
segreti - ha detto venerdì sera il portavoce dell' Alleanza -. Tutti i Paesi
Nato sapevano delle nostre munizioni all' uranio e quando l' Italia ha voluto
informazioni precise in materia il quartier generale le ha messe a
disposizione». Proprio come aveva detto giovedì il ministro della Difesa
Sergio Mattarella in commissione alla Camera. Al ministero non nascondono la
soddisfazione: il governo italiano ha chiesto spiegazioni il 27 novembre e le ha
ottenute un mese dopo, alla vigilia dell' incontro tra ministro e deputati.
Dunque il «rammarico» di Mattarella sul silenzio dell' Alleanza (silenzio
durato quasi un mese) aveva ragione d' esistere e rimane. Come rimane il
sospetto tragico sui frammenti radioattivi dei proiettili anti-tank che una
volta sparsi sul terreno possono diffondere radiazioni per migliaia di anni.
Senza dover più aspettare nulla dalla Nato, i governi procedono da soli. Le
basi italiane in Bosnia sono state setacciate ieri dagli strumenti rivelatori di
radioattività. Se le caserme fossero contaminate, sarebbe un dramma. Le
«blande» radiazioni emesse dall' uranio impoverito sono particolarmente
pericolose quando sono a contatto diretto con l' organismo o hanno la
possibilità di agire a lungo. Per fortuna la caserme italiane di Sarajevo si
sono rivelate «pulite». Il «Nucleo biologico e chimico» del contingente in
Bosnia, guidato nell' occasione dal contrammiraglio Francesco Andreucci e dal
professor Vittorio Sabbatini, non ha trovato niente di preoccupante. Anche
Madrid si muove autonomamente. Il ministero della Difesa spagnolo ha fatto
visitare in fretta e furia 5mila dei 35mila soldati impegnati in Kosovo. Gli
altri saranno visitati tra breve. Anche in questo caso risultato negativo. «Non
è emersa alcuna contaminazione ricollegabile all' uranio impoverito adoperato
nel conflitto balcanico», ha assicurato il colonnello medico responsabile della
sanità delle Forze armate di re Juan Carlos. A dispetto della rapidissima
indagine a campione, il colonnello Villalonga è certo di avere le informazioni
che servono. Anche perché, spiega, i due soldati spagnoli malati non erano mai
stati in «aree contaminate». Le associazioni italiane che difendono i diritti
dei militari non sono soddisfatte. Il loro fuoco di fila coinvolge tanto la Nato
quanto il governo. «A un anno dal loro rientro -
spiega, dell' Associazione per i diritti dei militari (Sideweb)
- parecchi reduci dai Balcani non sono ancora stati sottoposti a controllo.
Alcuni sono stati costretti a farsi visitare privatamente. E' presto per fare
nomi, ma a indagini concluse, usciranno allo scoperto per denunciare le carenze,
le omissioni e la superficialità con cui sono stati mandati allo sbaraglio ».
Esplicitamente contro il governo si scaglia Falco Accame, presidente dei
familiari delle vittime delle Forze armate (Anavafaf), che subodora tentazioni
di insabbiamento. «La commissione d' inchiesta deve essere nominata dal
ministero della Sanità, non della Difesa. E' un problema che non riguarda solo
i militari, ma un numero immensamente superiore di civili». L' Angesol, che
rappresenta i genitori dei soldati di leva, invece, chiede per bocca della
presidente Amalia Trolio l' intervento dei giudici: «Quanti morti da radiazioni
dovranno ancora esserci prima che la magistratura militare e ordinaria si
attivino?». Anche il sottosegretario agli Esteri, Ugo Intini, è preoccupato.
C' è stata, scrive in un intervento pubblicato oggi dai quotidiani del Gruppo
Monti, «o sottovalutazione o superficialità o cinismo oppure mancanza di
esperienza; forse un'insieme di tutti questi fattori: fatto sta che l' uranio ha
provocato ai militari e alle popolazioni civili danni seri».
A. Ni.
26/12/2000:
PANORAMA ON LINE
La morte di tre soldati riapre il caso: le
truppe nei Balcani furono esposte a radiazioni?
La guerra in Kosovo è finita da un anno e mezzo, ma ritorna
il fantasma delle armi usate nei bombardamenti Nato sulla Serbia.
Durante la guerra, infatti, numerosi caccia americani usarono munizioni
all'uranio impoverito per distruggere i mezzi blindati di Slobodan Milosevic.
Si tratta di armi che anche a distanza di tempo possono essere nocive per la
salute a causa degli effetti prolungati della radioattività. Ora la
morte per leucemia di tre soldati italiani impegnati in una passata missione in
Bosnia riapre qualche dubbio: i militari utilizzati nei Balcani furono
esposti a radiazioni pericolose? E sarebbe stato possibile evitarle?
Lo stato maggiore della Difesa assicura a Panorama Online: «I
casi di cui siamo venuti a conoscenza finora (tre soldati della brigata Sassari
morti di leucemia, ndr) non sono di soldati che hanno operato nelle zone
bombardate con uranio impoverito».
Eppure, ogni giorno vengono rivelati nuovi presunti casi di contaminazione
con militari gravemente ammalati.
Nel dibattito interviene anche la commissione Affari esteri del Senato: «Occorre
compiere un salto di qualità per la sicurezza della popolazioni colpite, dei
militari coinvolti nelle operazioni di bonifica, in ultima analisi per la messa
al bando di tali micidiali ordigni, che uccidono a distanza di tempo», si
legge in un comunicato.
«Le contromisure, a circa un anno e mezzo del conflitto» sottolineano i
senatori «a questo punto riguardano essenzialmente protocolli di cura e
prevenzione dell’insorgenza di tumori e leucemie».
Ma la commissione Esteri persegue anche un altro obiettivo: il divieto di
impiegare armi all’uranio impoverito in possibili operazioni militari
congiunte in ambito Nato visto che molti paesi del patto Atlantico, tra cui
l’Italia, non dispongono di simili armi. «Ne consegue» conlude la nota della
commissione Affari esteri «che nel passato in Somalia, nel Golfo, in Bosnia
e ora in Kosovo, militari italiani e di altri paesi hanno corso enormi rischi
- e probabilmente hanno contratto malattie specifiche - senza avere né
background né know-how appropriati per il trattamento di tali sostanze».
Il ministro della Difesa Sergio Mattarella si è finora limitato a chiedere
tutta la documentazione disponibile sui presunti casi di militari contaminati.
Domenica sera a Modena, però, ha ammesso che anche in alcune zone della
Bosnia (ma non a Sarajevo) sono stati utilizzati proiettili all’uranio
impoverito e ha annunciato che interverrà giovedì prossimo alla Camera per
riferire sulla situazione sanitaria dei soldati italiani nei Balcani.
Un necessario sforzo di trasparenza, dopo le altalenanti dichiarazioni
dei mesi passati. Sin dall’inizio l’Esercito tranquillizzò: «Non c'è
pericolo».
Ma Panorama a gennaio del 2000 scoprì un documento del 22
novembre '99 in cui si sosteneva il contrario. E chi lo aveva preparato?
L'Esercito. Gli italiani inviati fin dal giugno 1999 nell'ex Jugoslavia non
vennero messi al corrente del rischio.
Il documento dell’Esercito aveva questo titolo: "Oggetto.
Uranio impoverito. Informazioni ed istruzioni". Seguiva una serie
di capitoli: perché è pericoloso, chi lo ha usato durante i bombardamenti
sulla ex Jugoslavia e, soprattutto, come devono comportarsi i soldati per
evitare gli effetti delle terribili contaminazioni radioattive.
Quindici pagine, su carta intestata del nucleo Nbc (Nucleare, biologico,
chimico), diffuso dalla Mnb-W (Multinational Brigade West), il comando
militare italiano che (con spagnoli, portoghesi e argentini) opera nel Kosovo
occidentale.
Il tenente colonnello Osvaldo Bizzari, che firmò il documento, scrisse:
"È importante la diffusione a tutti i livelli" tra i reggimenti che
formano la Mnb-W.
Sarebbe potuto essere solo un gesto di eccessiva cautela. Una nota
informativa a scopo preventivo. Se non fosse stata datata "Pec, 22 novembre
1999". La "prevenzione", dunque, arrivava in ritardo. E tra
gli effetti potrebbero esserci i casi di leucemia denunciati all’opinione
pubblica in questi giorni.
Ecco perché: «L'inalazione di particelle insolubili di uranio
impoverito» si leggeva ancora nel documento «è associata con effetti di
lungo termine sulla salute, che includono tumori e disfunzioni nei neonati».
Gli addetti ai lavori sanno bene che cosa sia l'uranio impoverito (in
inglese depleted uranium, sigla Du). E che gli americani lo usano per rendere
più efficaci i proiettili anticarro lanciati dai caccia A10.
C'è chi ha puntato il dito contro queste armi sostenendo che fossero all'origine
della cosiddetta sindrome del Golfo che ha colpito i soldati americani nella
guerra contro l'Iraq. Tanto che alcune stime indicano in uno su quattro i
soldati reduci americani che hanno contratto tumori dopo la spedizione in Kuwaut
del '90/'91.
Il Kosovo, secondo le prime ispezioni della stessa Nato, non avrebbe subìto
il temuto inquinamento radioattivo da uranio impoverito. A Panorama
lo assicurarono scienziati ed esperti non solo italiani, ma anche di
numerosi organismi internazionali interpellati.
La Balkan task force dell'Onu lavorò a lungo e non rilevò questo
genere di inquinamento.
Neanche l'Istituto di salute pubblica di Belgrado riscontrò livelli di
radioattività superiori a quelli che si trovano in natura. Medici senza
frontiere, l'organizzazione vincitrice del Nobel per la pace, controllò
se ci fosse inquinamento da uranio impoverito e concluse che non era
necessario alcun intervento medico specifico.
E ancora, i risultati dell'indagine della Cric: l'ong italiana ha esaminato i
campioni prelevati in nove località del Kosovo che presumibilmente erano
state bombardate con uranio impoverito. Risultato: nessun aumento della
radioattività.
Tutto tranquillo, dunque? Difficile dirlo, visto che la Nato ha
indicato solo con molti mesi di ritardo i luoghi esatti in cui esplosero i
proiettili all’uranio impoverito.
Grazie anche alle pressioni dell’Unep (l’agenzia per l’ambiente dell’Onu)
e di una commissione nata in seno al ministero dell’Ambiente italiano nel
marzo 2000.
Lo scorso 19 ottobre sono state finalmente diffuse le prime mappe dettagliate: la
Nato ha indicato 112 siti presi di mira da oltre 30 mila micidiali proiettili in
Kosovo, per un totale di circa 9 tonnellate di uranio impoverito
rilasciato nella regione. Almeno 40 di questi siti si trovano nella zona di
competenza del contingente italiano.
In ogni sito, secondo il sottosegretario all’Ambiente Valerio Calzolaio,
«sono stati sparati mediamente 300 proiettili, ma secondo le informazioni
ricevute dalla Nato in alcune zone si arriva a 900».
Lo stesso segretario riporta però anche notizie confortanti: «I picchi di
contaminazione sono pochi e il quadro non è allarmante. Ma occorre un
atteggiamento di grande cautela anche perché i tempi di latenza di eventuali danni
causati dalla contaminazione da proiettili all’uranio impoverito non sono
brevi, ma si vedranno solo tra qualche anno».
Anni di timori e ansia non solo per i soldati italiani che hanno partecipato e
partecipano alle missioni di pace, ma anche per i volontari, il personale delle
ong e soprattutto le popolazioni civili dei Balcani.
BRESCIAOGGI
DEL 22/12/2000
Caso Kosovo. Preoccupazione anche tra i militari bresciani dopo le ammissioni
del ministro
Fa paura l’uranio impoverito
Sospetti per un caso di tumore che ha colpito un sottufficiale
di William Geroldi L’Esercito italiano sapeva delle conseguenze pericolose
per la salute dei soldati che in vario modo potevano venire a contatto con l’uranio
impoverito nel corso della missione in Kosovo. Se è tutto da dimostrare il
rapporto di causa-effetto tra la morte per leucemia o altre patologie segnalate
nel contingente italiano, la diffusione avvenuta tra i nostri soldati di
scrupolose precauzioni a cui attenersi - con specifici riferimenti all’uranio
impoverito - implicitamente conferma la possibilità che qualche pericolo possa
esserci. Documenti dello Stato maggiore trasmessi ai reparti in Kosovo all’inizio
del maggio scorso indicano esplicitamente alle truppe i provvedimenti
cautelativi da adottare a causa della presenza sul terreno di obiettivi colpiti
dai proiettili all’uranio impoverito. E - lo ricordiamo - in maggio era quasi
trascorso un anno dall’inizio delle operazioni della Brigata multinazionale al
comando degli italiani a Pec, proprio una delle zone in cui gli americani hanno
ammesso di aver impiegato massicciamente proiettili all’uranio impoverito. Un
bresciano colpito da un tumore. C’è anche un particolare inquietante. A un
sottufficiale che abita in un Comune dell’ovest bresciano, con alle spalle
missioni in Bosnia e Kosovo, è stato diagnosticato un tumore alle corde vocali.
L’uomo è stato operato ed è in convalescenza. Anche il suo reggimento, nel
maggio scorso, aveva ricevuto disposizioni sui provvedimenti cautelativi da
adottare nell’area di competenza della Brigata multinazionale di stanza a Pec
(oggi conta poco più di 5mila uomini, di cui 4700 italiani e aggregati
argentini, spagnoli e portoghesi; non ci sono militari di leva). Dicevano quelle
raccomandazioni, a proposito dell’uranio impoverito (DU nel linguaggio dei
militari, che sta per Depleted Uranium): «I proiettili da 30 mm controcarro
contententi DU e ritrovati in Kosovo nell’area di impiego del contingente
italiano, costituiscono una particolare fonte di rischio. La pericolosità di
tale munizionamento deriva dalla tossicità dell’uranio stesso che si
manifesta sia dal punto di vista chimico sia dal punto di vista radiologico...»
Lo Stato maggiore avverte che «quando un proiettile all’uranio impoverito
colpisce un bersaglio viene prodotta polvere di uranio radioattiva che finisce
per depositarsi entro un raggio di circa 50 metri dal bersaglio. Questa polvere,
in gran parte respirabile, può essere rimessa in sospensione dal passaggio nei
pressi della carcassa bersaglio, di militari a piedi o di automezzi. I
proiettili che non colpiscono il bersaglio, in funzione dell’angolo di tiro e
della consistenza del suolo, possono ritrovarsi o sotto la superficie del suolo
o fino a una distanza di circa 3 chilometri dal punto di impatto iniziale, a
causa dei rimbalzi successivi sul terreno. In questo caso, in ogni punto di
impatto sul terreno si troveranno piccoli frammenti di uranio impoverito». L’uranio
è pericoloso? Sì, lo scrive lo Stato maggiore quando afferma che «la
pericolosità dell’uranio si esplica per via chimica, che rappresenta la forma
di rischio più alta nel breve tempo, sia per via radiologica, che può causare
seri problemi clinici nel lungo periodo. L’uranio inalato attraverso la
respirazione in parte si deposita nei reni oppure resta nei polmoni, con un
dimezzamento biologico che può variare fino a 800 giorni. Particolarmente
elevata è anche la percentuale di assorbimento di uranio attraverso le
ferite». Lo Stato maggiore suggeriva inoltre una serie di accertamenti clinici
ai quali sottoporre i militari con compiti che potevano averli fatti entrare in
contatto con l’uranio impoverito. Le rassicurazioni del comando di brigata di
Pec («Nessuno per quanto di nostra conoscenza è rientrato in Italia per cause
che non fossero malattie o traumi generici») non bastano quindi a far dormire
sonni tranquilli a chi in Kosovo ha operato o dovrà andarci con il prossimo
cambio della guardia tra reparti (in marzo, dovrebbe toccare alla Brigata
Ariete). Nel Bresciano non mancano sottufficiali che hanno prestato servizio nel
contingente italiano e i loro timori sono comprensibili. Racconta un
maresciallo, con quasi 25 anni di servizio, che chiede l’anonimato per paura
di incappare in sanzioni disciplinari: «Mi arrabbio quando sento dire dai
nostri politici che il problema non esiste. Certo che se ne parlava tra noi dell’uranio
impoverito. Quando sono rientrato in Italia ho provveduto ad effettuare una
serie di analisi per tranquillizzarmi, con i costi a mio carico. I risultati
sono stati negativi, per fortuna, ma la preoccupazione rimane». Ma proprio ieri
il ministro della Difesa Sergio Mattarella ha in qualche modo ammesso che il
problema esiste.
LA
REPUBBLICA DEL 21/12/2000
ARMI ALL'URANIO
LA PROCURA MILITARE STA GIA' INDAGANDO
Un fascicolo del pm Intelisano sui casi sospetti
ROMA. Il fascicolo è da circa un anno sul
tavolo del procuratore militare, Antonino Intelisano: "atti relativi
a.....", o anche "modello 45". Corrispondente alla vita prenatale
di una indagine giudiziaria: non è ipotizzato alcun reato specifico, nè ci
sono degli indagati. Si tratta di una verifica iniziale per capire se esistano
elementi tali da rendere obbligatorio l'avvio di una inchiesta.
Il contenuto del fascicolo è
riservato. Ma puo' essere almeno in parte ricostruito secondo il percorso di
alcune delle vicende che hanno fatto scoppiare il caso dell'uranio impoverito.
In particolare di quella di Salvatore Vacca, il giovane militare sardo ucciso
dalla leucemia quindici mesi fa, su cui da novembre indaga la procura di
cagliari.
Prima di arrivare alla magistratura
sarda, il caso era stato segnalato alla procura militare attraverso un esposto.
Non è stato l'unico: altre segnalazioni di morti sospette di militari italiani
sono giunte sul tavolo di Intelisano negli ultimi mesi. Quattro o cinque,
secondo quanto si è potuto apprendere. In casi come questi, il giudice
militare, quando ritiene che l'esame del reato ipotizzato spetti alla
magistratura ordinaria (per Vacca l'esposto parlava di omicidio colposo)
segnala il caso alla procura competente.
Ma esiste una parte dell'inchiesta
che resta comunque fuori dalla competenza dei giudici ordinari: è quella che si
riferisce ai possibili reati militari. In questo caso, la omessa esecuzione di
un incarico (per quanto riguarda il ruolo dei comandanti) e la violata consegna.
E' stato accertato che, attraverso un opuscolo informativo, lo stato maggiore
aveva suggerito una serie di precauzioni da adottare davanti al rischio di
contaminazione da uranio impoverito. Il punto è stabilire se queste precauzioni
siano state effettivamente adottate, se le informazioni siano state diffuse
correttamente, se gli ordini relativi alla prevenzione dei rischi siano stati
eseguiti.
A completare il fascicolo "atti
relativi" c'è, infine, la documentazione scientifica. Sui danni da uranio
impoverito esistono molti studi, com piuti in particolare all'estero.
La fredda elencazione dei materiali a
disposizione del magistrato, non deve pero' far dimenticare che alla base
dell'indagine ci sono i drammi di padri e madri che hanno perso i loro
figli, di famiglie che sono state private della loro fondamentale fonte di
sostentamento. Se si accerterà che all'origine della morte dei soldati ci sono
"cause di servizio" per lo Stato scatterà l'obbligo di risarcire il
danno.
E' una materia molto delicata, che è
all'origine di un contenzioso complesso. Esiste anche un precedente che presenta
molte analogie col caso dell'uranio impoverito. Tra il 1982 e il 1988 morirono
di leucemia cinque marescialli dell'Esercito addetti alla manutenzione dei radar
delle batterie contraeree dislocate tra Mestre e Rovigo. Una percentuale
altissima se si pensa che i cinque casi si verificarono nell'ambito di una
"popolazione a rischio" di non piu' di centocinquanta individui. In
quel caso il rapporto di causa-effetto tra l'esposizione alle radiazioni
ionizzanti e i decessi era evidente. Ciononostante, ci vollero anni prima che
l'amministrazione militare riconoscesse le proprie responsabilità.
Di Giovanni Maria Bellu
La Repubblica
IL
MESSAGGERO DEL 20/12/2000
IL SELENZIO DEI GENERALI
Di napoleone Colajanni
Ha
certamente ragione il ministro Mattarella a dire che la prima cosa che bisogna
fare è dare serenità alle famiglie dei militari che potrebbero subire le
conseguenze dell'impiego dell'uranio impoverito.
Per
il tipo di conseguenze di cui si parla, leucemie, tumori, la sensibilità della
gente è molto alta e cedere alla tentazione di approfittarne per scopi
particolari sarebbe gravissimo da parte di tutti. L'esortazione non è pero'
sufficiente a dissipare i dubbi perche' c'è un problema di affidabilità creato
dalle mentalità degli interessati nonchè dalle pressioni di organismi,
italiani ed esteri, che hanno la forza di farsi ascoltare.
E'
un dato di fatto che i generali sono portati a ricercare i mezzi
tecnologicamente piu' avanzati, magari sopravvalutandoli, come è possibile
accada per l'uranio impoverito, se è vero quel che ha rivelato "
Newsweek", che i carri armati effettivamente distrutti in Serbia sono stati
quattordici. Ma se cio' è comprensibile non è sostenibile che si debba
affidare ai generali il compito di dare serenità ai soldati ed ai loro
familiari.
E'
percio' legittimo discutere dell'affidabilità delle prese di posizione sulla
questione che è sul tavolo oggi, fondandosi sull'esperienza: il segreto
militare è una cosa, coprire il fatto che si è messa a repentaglio a loro
insaputa la vita di civili e militari è un'altra. Non vorremmo che tra una
decina di anni si venisse a sapere che i fatti erano veri: gli americani hanno
compiuto nell'immediato dopoguerra esperimenti atomici su larga scala senza dire
niente agli abitanti della zona interessata, nscondendo il fatto per un paio di
decenni, finche' non è scoppiato lo scandalo. Sempre negli Stati Uniti
centinaia di azioni giudiziarie sono state intraprese contro il pentagono da
reduci che mostrano segni evidenti di conseguenze dell'impiego assai probabile
di uranio impoverito e armi chimiche nella guerra del Golfo. Da noi, nell'affare
di Ustica, è stato tentato con tutti i mezzi di coprire la cancellazione delle
tracce radar dell'incidente.
Nel
Kosovo il metallo radioattivo è stato effettivamente impiegato, ma sulle
possibili conseguenze le autorità militari tacciono. Quanto alla smentita della
presenza di proiettili all'uranio impoverito nel poligono sardo, si vedrà se la
smentita è veritiera, ma è senz'altro verosimile che gli americani non ci
diano armi cosi' sofisticate. Sul fatto che nel Kosovo si sarebbero potute
verificare conseguenze il ministro non ha detto niente, e forse non è nemmeno
in grado di farlo per mancanza di informazioni. Nella Nato tutto gira secondo il
volere degli americani, l'Europa conta poco o niente. Ogni tanto si da un
incarico rappresentativo a personaggi di completo affidamento, come quel Xavier
Solana, ex segretario generale che da quando è diventato portavoce di politica
estera dell'Unione europea, da garrulo che era ai tempi della guerra del Kosovo
è diventato taciturno facendo sparire le sue tracce non appena si è posta la
questione della collocazione della forza di pronto intervento europeo.
Quale
sia la posizione degli Stati Uniti in proposito è perfettamente deducibile
dalle intemerate, intimazioni, intimidazioni che vengono esternate ogni
giorno, fino a costringere Jacques Chirac a spiegare sul "Washinton
Post" le ragioni non della Francia soltanto, ma di tutta l'Europa. E
qui si pone un altro problema, politico, Finche' sara' questa la situazione
della Nato il governo italiano non potrà dare a nessuno assicurazioni di alcun
genere.
Piaccia
o no, a dieci anni dal crollo dell'Unione Sovietica, dell'avvenire della Nato si
deve discutere ed è necessario che il governo italiano abbia una sua posizione,
dopo aver di fatto latitato fino ad accettare la possibilità di intervento
autonomo, in pratica americano sotto altre spoglie, al di fuori di ogni
decisione dell'Onu. Ed è altrettanto importante conoscere la posizione del
governo italiano sulla questione se la forza di pronto intervento deve o no
essere subordinata alla pianificazione strategica della Nato. Sarebbe bene che
Sergio Mattarella prima o poi parlasse anche di questo.
IL
MESSAGGERO DEL 19/12/2000
DOPO LE RIVELAZIONI DEL MESSAGGERO MATTARELLA
RIFERITA' ALLA CAMERA
COLPITI DA TUMORE ALTRE DUE MILITARI REDUCI DAI
BALCANI
ROMA. Altri due militari italiani
reduci dai Balcani sono stati colpiti da tumore. Sono della Brigata Sassari, uno
di loro è stato ricoverato in un centro oncologico. E il ministro della Difesa,
Sergio Mattarella, riferirà quanto prima alla Commissione Difesa della Camera
sulla situazione, anche se già precisa: "Non c'è nessun allarme". Le
rivelazioni del Messaggero sulle morti da tumore hanno già provocato una
raffica di interrogazioni in Parlamento, dai DS a Forza Italia. Mentre il
Ministro della Sanità dal canto suo spiega di non disporre di dati scientifici
per valutare le connessioni fra i proiettili all'uranio sparati nei Balcani e le
neoplasie.
IL
CORRIERE DELLA SERA DEL 19/12/2000
I RISCHI PER L'URANIO DISPERSO
NEL TERRENO DOPO LA GUERRA. L'ESERCITO ITALIANO: "RADIOATTIVITA? IN KOSOVO
E' TUTTO SOTTO CONTROLLO"
PEC (Kosovo) "Non
sottovalutiamo nulla e non trascuriamo alcuna verifica, ma tutti gli esami
escludono motivi di preoccupazione". Il Ministro della Difesa Sergio
Mattarella dall'Italia ripete che in Kosovo non esiste un "rischio
uranio" e invita a "fornire i nomi delle persone coinvolte", i
nomi di quei dodici di cui si è tanto parlato in questi giorni. Comunque,
rassicura il ministro, " continuiamo a fare i controlli".
L'uomo che li fa materialmente, questi controlli, si chiama Daniele Pisani, è
un capitano dell'Esercito italiano e comanda la compagnia NBC, che significa:
Nuclear Batteriological Chemical. Cioe' gli uomini incaricati di verificare
tutti i possibili inquinamenti che una guerra produce.
Quando avete cominciato i
controlli Capitano?
"Subito dopo il nostro arrivo,
il 3 luglio del 1999. Per prima cosa abbiamo verificato gli alloggi dei nostri
soldati, per vedere se erano sicuri: controlli di aria, suolo, acqua, erba,
muri. Con strumenti molto sofisticati, come il Rotem, un rilevatore di
radiazioni israeliano che è mille volte piu' sensibile di un contatore
Geiger".
Sapevate dove cercare l'uranio
impoverito?
"Si, gli americani ci hanno
fornito le mappe delle zone dove potevano essere caduti i colpi sparati dalle
Pgu 14, le mitragliatrici da 30 mm. degli aerei A10 Thunderbolt. Abbiamo trovato
in tutto 800 grammi di uranio e un paio di chili di metallo degli involucri
esterni dei proiettili. Adesso sono custoditi con una protezione di piombo e una
di plastica speciale, in attesa che la Nato decida di stoccarli da qualche
parte".
E i livelli di radiazioni?
"Discorso un po' complesso.
Partiamo dal fatto che il cosiddetto fondo ambientale ha un livello di
radiazioni medio di 0.2 microsivert. E' un valore che puo' variare a seconda
della composizione del terreno, ma che è piu' o meno uguale in tutto il mondo.
Anche in Kosovo".
Che valori raggiungono i frammenti
di uranio?
"Toccandoli con lo strumento,
300 microsivert. a 5 metri di distanza il valore torna a zero. Ma i raggi
emanati dall'uranio sono di tre tipi: alfa, beta e gamma. Gli alfa percorrono
circa 2 centimetri, i beta un metro, mentre i gamma anche chilometri. Gli alfa
hanno un basso potere penetrante e un alto potere ionizzante, un potere che
cioe' rompe i legami delle cellule. Questi raggi si bloccano anche con un foglio
di carta. I gamma, al contrario, hanno bassissimo potere ionizzante e un alto
potere penetrante: per isolarli serve il piombo. I beta sono una via di
mezzo".
E quindi, quali sono i pericoli di
questi frammenti di uranio per le persone?
"Sono pericolosi se li tocco a
mani nude o se ne ingerisco una particella anche minima. Il valore alto, quello
pericoloso di 300 microsivert, si ottiene solo con un contatto diretto. La terra
dei campi in cui abbiamo trovato i frammenti non è comunque risultata
contaminata".
La Nato nel novembre scorso ha
mandato in Kosovo una squadra di 14 esperti di vari Paesi per verificare i
rischi di contaminazione....
"Non hanno rilevato tracce di
contaminazione ambientale e gli stessi risultati hanno dato le numerose
ispezioni del Cisam, l'ente italiano che è preposto a questo tipo di controlli.
Comunque, dopo quattro mesi in prima linea passati a cercare frammenti di uranio
nei campi, anch'io ho fatto alcuni controlli specifici, approfonditi, e i miei
valori erano assolutamente nella norma, identici a quelli dei soldati che
dovevano ancora partire per il Kosovo. Ho fatto anche i test per la leucemia.
Negativi".
Giuliano Gallo
inviato del Corriere della sera ggallo@rcs.it
IL
MESSAGGERO DEL 22/9/2000
LEUCEMIA TRA I SOLDATI IN KOSOVO?
INCHIESTA DEL PM MILITARE, MA LA DIFESA NEGA: NESSUN RICOVERO
SAREBBERO STATI CONTAMINATI DALLE ARMI ALL'URANIO USA?
ROMA - Nessun caso di
leucemia tra i militari Italiani in Kosovo. In Ministero della Difesa smentisce
ufficialmente la notizia secondo cui due soldati italiani sarebbero stati
rimpatriati perchè ammalati di cancro del sangue. Stessa smentita viene da Pec,
quartier generale italiano in Kosovo.
Il Colonnello Gianfranco Scalas, portavoce del nostro contingente, ha affermato:
<Non ci risultano casi di militari italiani rimpatriati per leucemia. Dal
primo gennaio scorso i rimpatri per motivi sanitari sono stati 61, per diverse
patologie, ma nessun militare è tornato in Italia per questa ragione. Corriamo
rischi piu' per motivi banali - ha proseguito il colonnello - come l'acqua, che
non sempre è potabile, che per contaminazione radioattiva>.
La radioattività cui fa riferimento il Colonnello sarebbe quella indotta
dall'utilizzo di uranio 238 impoverito per l'ogiva dei missili Tomahawk e per i
proiettili degli aerei A 10 e degli elicotteri Apache. Mezzi e armi usati dalle
forze Usa del contingente Nato durante l'ultimo conflitto nel Paese balcanico. I
proiettili trattati con l'uranio aumentano il loro potere di penetrazione nelle
difese dei mezzi corazzati ma la polverizzazione, dopo l'impatto, puo'
rappresentare un pericolo anche mesi dopo l'avvenuta battaglia. Sono stati 31
mila i proiettili all'uranio impoverito sparati dagli A 10 nel corso delle loro
missioni in Kosovo. E la zona piu' colpita, affermo' l'allora sottosegretario
alla Difesa Paolo Guerrini, è stata proprio <la parte del Kosovo che confina
con l'Albania e in particolare la superstrada Pec-Djakovica-Prizren>, non
lontano quindi dalla sede del contingente italiano. Il portavoce della Nato,
Giuseppe Marani, dise, al tempo della guerra, che <il livello di
radioattivià dei proiettili non è superiore a quello di un orologio>. Ma
non deve esserne molto convinto Antonio Intelisano, procuratore militare di
Roma, se è vero come è vero che ha deciso di aprire un'inchiesta
sull'argomento. Il Magistrato militare ha detto che sarà <un'inchiesta a
tutto campo>, sull'attività dei militari in Kosovo: <C'è un ampio
dossier - ha affermato Intelisano - aperto su tutta l'atività dei militari
italiani in Kosovo,. Non ci sono ancora indagati nè ipotesi di reato ma certo
anche questa vicenda sarà oggetto dei nostri accertamenti>.
Intanto, sull'uranio
impoverito la polemica è arrivata in Parlamento. La Lega ha chiesto
l'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare per accertare le
condizioni ambientali nelle quali operano i militari italiani in Kosovo. <Da
moltissimo tempo - ha detto Cesare Rizzi - capogruppo della Lega Nord in
commissione Difesa - noi della Lega avevamo denunciato il pericolo per i nostri
ragazzi in Kosovo. Già da molto tempo infatti l'ONU aveva emesso dispacci
relativi alla pericolosità del territorio del Kosovo a causa dell'uranio
impoverito, ma dal Governo nessuna risposta>.
E pure il coordinatore di
PRC, Giovanni Russo Spena, ha affermato che <il Governo non può continuare a
nascondere la verità. Deve venire a riferire in Parlamento sugli effetti delle
31 mila munizioni radioattive disseminate dall'Alleanza Atlantica in Kosovo>.
Passi avanti sull'individuazione dei siti contaminati dai proiettili all'uranio
impoverito sono stati intanto annunciati da Valerio Calzolaio, sottosegretario
all'Ambiente: <Oggi (ieri n.d.r.) a Ginegra si riunisce il "Desk
assessment group" sull'uranio impoverito - ha detto il sottosegretario - e
nel corso della riunione verranno esaminati i nuovi elementi forniti dalla Nato.
Finalmente ci sono quindi le condizioni per capire precisamente dove sono caduti
gli ordigni piu' pericolosi. La riunione - ha proseguito Calzolaio - deciderà
come procedere nello studio dell'impatto che l'uranio ha avuto nell'area
balcanica>.
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