URANIO IMPOVERITO

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RASSEGNA STAMPA

 

 

16/06/2003, Unione Sarda, Lo smaltimento segreto dei rifiuti radioattivi militari

15/06/2003, Uranio, anche in America e' preoccupazione!

26/05/2003,Il gazzettino, I timori per l'uso dell'uranio impoverito

20/05/2003, Il Manifesto, L'uranio a Baghdad

20/05/2003, La Gazzetta del Mezzogiorno, provata la sindrome dei balcani.

27/04/2002, URANIO, L'ULTIMO SOSPETTO.... NASCONO FIGLI MALFORMATI

18/11/2001, Lo dice anche il tg5,  In  Afghanistan gli AC130 usano proiettili all'uranio

11/11/2001, armi all'uranio anche in Afghanistan?

06/06/2001, Ansa-  Accame: relazione Mandelli incompleta, ritirarla!

30/05/2001, La Repubblica, Uranio impoverito, un eccessivo aumento di linfomi tra i militari

23/05/2001, Il Mondo, uranio impoverito: l'atto di accusa della Royal Accademy

23/05/2001, Liberazione, Uranio impoverito, cade il muto di omertà

19/5/2001, La Repubblica - Uranio impoverito, errori nei calcoli della commissione

13/01/2001, Il Nuovo, Niente militari di truppa nelle missioni

10/01/2001: Il Giorno: Uranio, casi sospetti in Friuli: l'esercito smentisce

05/01/2001: Sindacato U.S.P.: anche gli elicotteristi della Polizia denunciano il rischio tunori

16/01/2001: Il nuovo: Proiettili all'uranio usati anche a Nettuno?

14/01/2001: L'Arena di Verona: La sindrome dei balcani - Un altro militare morto?

13/01/2001, Il Nuovo, Niente militari di truppa nelle missioni

13/1/2001: Il Gazzettino On Line: Uranio nei poligoni friulani? Valdo Spini lo esclude

09/01/2001: ANSA: Uranio - USA sollecitano NATO a prendere precauzionui

08/01/2001: L'Arena di verona: Giovannardi (CCD) contesa

07/01/2001: Brescia oggi: Io Bresciano dalla Bosnia al tumore

06/01/2001: ANSA: ONU, seri rischi anche per la salute; 

04/01/2001: Corriere della Sera: E i generali temono di perdere i volontari

04/01/2001: Corriere della sera: Uranio, Prodi: «La verità anche sui civili»

03/01/2001 - Radio Capital: Il Presidente Ciampi scrive a Mattarella

03/01/2001 - La Repubblica: Uranio, un altro morto 

03/01/2001: La Repubblica: Uranio - "Attenti ad una nuova Ustica" 

31/12/2000 - La Repubblica: "Uranio"  Non avevamo le maschere, ci hanno nascosto la verità

31/12/2000 - La Repubblica: L'ombra delle armi chimiche

29/12/2000 - Il Manifesto: Uranio, il muro del silenzio

22/12/2000 - Brescia Oggi: caso Kosovo. Preoccupazione anche tra i militari bresciani

21/12/2001: Liberazione: morte per uranio?
a cura di Pesciaioli Giuseppe
delegato del CO.CE.R.

21/12/2000 - La Repubblica: armi all'uranio - La Procura sta già indagando

20/12/2000 - Il Messaggero: il silenzio dei generali

19/12/2000 - Il Messaggero: Colpiti da tumore altre due militari reduci dai Balcani

19/12/2000 - Il Corriede della Sera: i rischi per l'uranio disperso nel terreno dopo la guerra

22/9/2000 - Il Messaggero: leucemia tra i soldati in kosovo?

 


IL GIORNO: 10 GENNAIO 2001

Uranio, casi sospetti in Friuli: l'esercito smentisce

 

UDINE, 10 GENNAIO - Lo Stato maggiore dell' Esercito ha definito priva di fondamento la denuncia  - che tutela i diritti costituzionali del personale militare - secondo la quale cinque militari friulani sarebbero rimasti contagiati dall' uranio durante le loro missioni nei Balcani.


«Smentiamo decisamente - ha detto un ufficiale dell' Agenzia pubbliche informazioni dello Sme - che cinque militari friulani abbiano contratto la leucemia dopo essere stati impiegati in operazioni nei Balcani. Non sappiamo come l' Sideweb abbia potuto diffondere queste cifre. Ci sono due militari - ha proseguito l' ufficiale - che secondo i dati in nostro possesso risultano essersi ammalati dopo le loro missioni nella ex Jugoslavia. In entrambi i casi non si tratta però di leucemia». Gli esami sui reduci dai Balcani - voluti dal Ministero della Difesa - proseguono in tutti gli ospedali militari, ma ci vorrà del tempo per avere dei dati precisi.


L' Sideweb ha anche denunciato le elevate spese per gli esami delle urine. Al riguardo, l' ospedale di Udine ha precisato che «in Italia esistono solo pochi centri in grado di rilevare contaminazioni in persone esposte dopo lungo tempo», che «a Udine non è stato respinto alcun militare» e che «tutte le analisi richieste sono state fatte gratuitamente».


 

COMUNICATO
5/1/2001

ANCHE GLI ELICOTTERISTI DENUNCIANO
IL RISCHIO TUMORI

Finalmente la giusta considerazione da parte del governo per i rischi che corrono i reduci dai Balcani e il dramma dei soldati che si sono ammalati di leucemia, ma, pur con minore eco si è parlato anche degli elicotteristi, sei dei quali, appartenenti alle varie Forze Armate soffrono di vari tipi di patologie tumorali e che tutti hanno in comune una caratteristica, hanno tutti svolto lo stesso tipo di lavoro, ovvero, hanno svolto la manutenzione accanto e sopra gli elicotteri, fuori e dentro gli Hangar. 

L’Unione Sindacale di Polizia ne è da qualche tempo consapevole e già da molto si sta battendo per lo stesso problema che riguarda i Poliziotti elicotteristi, l’U.S.P. è, infatti, il sindacato che più si batte per il settore aereo del Dipartimento della P.S. e il suo rappresentante delegato, anch’egli uno Specialista, condivide pienamente l’allarme annunciato dall’Osservatorio Nazionale per la tutela delle Forze Armate, aggiungendo che il problema riguarda tutti, e tutti insieme devono affrontarlo e risolverlo una volta per tutte. 

L’U.S.P. dichiara che, già da tempo ha chiesto al Dipartimento della P.S. maggiori attenzioni ai problemi del settore puntando proprio, con particolare riferimento, al settore tecnico del Personale Specialista addetto alla manutenzione dei costosissimi elicotteri in dotazione e per i quali, troppo spesso, si espone a gravi rischi per la sicurezza della propria salute con poche garanzie e tante incertezze. 

Uno dei motivi principali è dovuto all’indispensabile uso di prodotti e sostanze tossiche impiegati per la manutenzione degli aeromobili all’interno degli Hangar, in particolare, quasi tutti sono prodotti derivati del petrolio e quindi cancerogeni o comunque nocivi per la salute dell’uomo; purtroppo solo adesso se ne parla perché la legge 626/94 ha dato anche l’opportunità di prendere coscienza e attenzione al problema, anche se può essere oramai troppo tardi, riparare i danni eventualmente subiti. 

Va necessariamente fatta un’appropriata valutazione statistica nell’intero settore, vale a dire di mettere a confronto la realtà di tutto il Personale che opera nel settore della manutenzione di elicotteri ed aerei, non solo nelle Forze Armate e nelle Forze di Polizia, ma anche nel settore metalmeccanico nazionale e privato; solo nella Polizia di Stato fra gli elicotteristi si contano ufficialmente tre casi di morte prematura per tumore e quindi sospetta perché due delle quali avvenute per leucemia, ma il peggio, resta pur sempre un’incognita per tutti gli altri, perché non si è sempre giovani e i danni alla salute, si sa, prima o poi salteranno fuori e…. purtroppo, ciò accade quando oramai si è in pensione e dimenticati da tutti. 

“Per questo”, aggiunge il Delegato Nazionale Carmine PALMERI, noi dell’Unione Sindacale di Polizia ci battiamo con ostinazione come “pressante” deve essere la cultura della prevenzione sul lavoro principalmente da parte del Personale stesso e, che nulla ha che vedere con il rischio di noi tutti quando siamo in servizio di polizia; in genere sono previste delle indennità speciali, ma, di speciale, economicamente parlando, le indennità degli elicotteristi hanno ben poco di congruo e confortante, quindi, va categoricamente smentita e uno dei motivi?! ad esempio, un conto è volare di notte nella consapevolezza di rischiare la propria pelle, un altro, è l’inconsapevolezza di un pericolo che incombe in modo subdolo e silenzioso   che ti striscia dentro minacciando lentamente una salute che non ha prezzo. 

Roma 05 Gennaio 2001

F.TO
LA SEGRETERIA GENERALE NAZIONALE
Via Emanuele Filiberto 166 Roma T.06.7000749

- UFFICIO STAMPA –

 


IL NUOVO - 16/1/2001

Proiettili all'uranio a Nettuno? 

Interrogazione in Regione del consigliere diessino Marroni. Vuole che la Giunta accerti quali munizioni vengono usate nella base militare del litorale. In tutta la zona sarebbero in aumento leucemie e tumori.

ROMA-Munizioni ad uranio impoverito sono state sparate e vengono tuttora usate nel poligono dell'Esercito
a Nettuno? E' la domanda fatta dal consigliere regionale diessino Angiolo Marroni in una interrogazione al presidente della giunta Francesco Storace, in cui sottolinea un aumento di casi e morti per tumori e leucemie nella zona, che sarebbero collegabili, secondo il diessino, anche alla presenza nella zona della centrale nucleare dui Borgo Sabotino.

Nell'interrogazione Marroni ha chiesto a Storace, qualora il suo interrogativo dovesse trovare una risposta affermativa, "se non ritenga di chiedere la sospensione immediata di tali esercitazioni". Inoltre l'esponente dei Ds ha chiesto se non sia utile realizzare un monitoraggio nel territorio per verificare se sussistono fonti di radioattività e "procedere quindi, se necessario, ad un'immediata bonifica dell'area".

Marroni ha aggiunto che "il continuo aumento di nuovi casi e decessi per tumori e leucemie, registrato sulla fascia costiera che va da Anzio a Sabaudia", proprio dove c'è il poligono di tiro, "rilevati dalla Asl, dà luogo ad ulteriori elementi di inquietudine su cui andrebbe fatto un attento studio epidemiologico sanitario per verificare se possano sussistere interconnessioni scientificamente provate".

La notizia sarebbe arrivata all'orecchio di Marroni dal consigliere circoscrizionale della Quercia Rosario Varriale. Alcuni operatori civili del poligono e del ministero della Difesa hanno dichiarato che negli anni '90 è stato fatto largo uso di questo tipo di munizioni, in parte prodotte dalle officine israeliane, con più di 12mila colpi sparati. Molti colpi sarebbero anche finiti in mare.

Il poligono di Nettuno è stato usato negli ultimi anni per la sperimentazione di armi di medio taglio. Nella zona si sarebbero esercitati in passato anche i sovietici.

Un'analoga interrogazione è stata fatta, congiuntamente, al sindaco di Nettuno dai gruppi consiliari Ds dei due comuni costieri situati ad una quarantina di chilometri a sud di Roma.


L'ARENA DI VERONA DEL 14/01/2001

LA SINDROME DEI BALCANI
URANIO, UN'ALTRO MILITARE MORTO?
GLI USA: NON E' RADIOATTIVO


ROMA.  Il caso di un altro militare morto per presunta contaminazione da uranio impoveritoè stato denunciato ieri.

Parlando con i giornalisti a margine di una conferenza stampa della "Rete abolire l'uranio impoverito", composta da numerose associazioni - ha detto che la segnalazione proviene dai genitori del giovane militare, che non ha mai prestato servizio nei Balcani, ma è stato impegnato in un poligono della Sardegna. Proprio in questi poligoni "è probabile che sia stato fatto uso di proiettili all'uranio impoverito". La morte risalirebbe a "diversi anni fa", secondo Sideweb, che si riserva di fornire nei prossimi giorni ulteriori particolari sull'episodio.

Di contaminazione radioattiva per presunti proiettili all'uranio presenti in un poligono italiano, si è parlato a lungo in questi anni in relazione al caso della morte di un militare sardo, che aveva prestato servizio al poligono di Capo Teulada, ma le forze armate e il ministero della Difesa hanno sempre escluso che in quell'area addestrativa siano stati utilizzati o stoccati proiettili all'uranio impoverito.

"Gli avvenimenti di questi giorni dimostrano che le missioni internazionali di pace sono sconsigliabili per i militari di leva, sia per via dell'addestramento che per l'assunzione dei rischi". Lo ha detto il Presidente della commissione Difesa della Camera, Valdo Spini, commentando la vicenda dei proiettili all'uranio impoveito.

La Royal Navy, si sta sbarazzando gradualmente dei proiettili all'uranio impoverito in dotazione a 14 delle sue navi, dato che la società americana che li fabbrica ha cessato di produrli. Lo ha annunciato il ministero della Difesa Britannico.

Secondo il "Times" di Londra, la società americana ha preso tale decisione perche' preoccupata delle conseguenze sulla salute dell'uranio impoverito, sospettato di aver causato tumori e altre malattie agli ex combattenti nel golfo e nei Balcani. Il "Times" ha aggiunto che la marina statunitense sta eliminando le sue riserve di tali munizioni da un decennio, per sostituirli con proiettili al tungsteno, metallo non radioattivo e molto meno tossico dell'uranio impoverito.

Infine, l'uranio impoverito non puo' causare la leucemia. Una schiera di scienziati americani, reagendo alla polemica europea, ha confermato ieri la tesi del Pentagono in una serie di interviste al "New York Times".

Gli studiosi affermano che è "biologicamente impossibile" per l'uranio impoverito usato nelle armi americane causare leucemia. Le particelle radioattive emanate non sono infatti in grado di raggiungere il midollo osseo.


IL GAZZETTINO ON LINE DEL 13/1/2001

URANIO NEI POLIGONI FRIULANI?

VALDO SPINI LO ESCLUDE

 

Il Presidente della Commissione difesa della camera annuncia uno screning sugli alpini della Julia andati in Bosnia.

<<Non c'è uranio nei poligoni del friuli, a quanto ci consta>>. Lo assicura il presidente della commisisone Difesa della Camera Valdo Spini, intervenuto ad udine a un convegno dei Ds su "Abolizione del servizio di leva e condizioni del personale militare": nelle esercitazioni effettuate nei poligoni friulani, primo fra tutti quello del Dandolo a Maniago, non sarebbero stati sparati i proiettili che stanno tenendo l'Europa col fiato sospeso. <<La commissione  tuttavia agirà di concerto con la magistratura militare che ha già aperto un fascicolo: non solo dice - ma vogliamo capire quali sono le responsabilità politiche che stanno dietro alle mancate informative Nato sui bombardamenti in Bosnia nel '94. In un'alleanza non hanno piu' ragione di esserci segreti fra forze che coperano>>. A rassicurare la famiglie ci sarà anche uno screening su tutti i militari: già iniziato per gli Alpini della Taurinense, a giorni sarà iniziato anche per quelli della Julia. <<I nostri militari - spiega Spini - stanno dando dimostrazione di grande serietà. Non c'è ne' uno che abbia chiesto il rimpatrio dal Kosovo>>. 

<<Nelle urine non si puo' trovare traccia di radioattività - incalza Giovanni Castaldo, presidente della commissione sanità della Regione e forse non va cercato tanto l'uranio quanto i residui di sostanze chimiche sprigionatesi in seguito a bombardamenti di industrie e arsenali>>. Parere scientifico: Castaldo è ufficiale medico nell'Esercito e ha partecipato a missioni in Libano, Albania e Kurdistan. Per il  resto, Spini si concentra poco sui temi friulani: analizza la vasta riforma dell'Esercito che <<in 5 anni ha portato piu' cambiamenti che nei 50 precedenti. Professionalizzazione, abolizione della leva, servizio civile volontario e formazione professionale per i soldati. Queste le nostre conquiste>>. Sì ma la ristrutturazione delle forze armate ha portato alla dismissione di decine di caserme in Friuli: <<è un problema che va risolto al piu' presto. Torneremo all'attacco per farcela entro questa legislatura: per il Trentino la sdemanializzazione è già stata fatta. esistono problemi tecnici che si possono superare con la volontà politica, per non fare scempio di strutture moderne che potrebbero essere di grande utilità ai Comuni>>.

Walter Tomada


L'ARENA DI VERONA

GIOVANNARDI (CCD) CONTESTA
"E' un'isteria collettiva"

 

ROMA. "Isteria collettiva sulla vicenda uranio". La denuncia l'On. Carlo Giovannardi del CCD, che giudica grave anche il fatto che "vari militari con le stellette dai COCER passano a fare i sindacalisti e scopritori di casi, a volte inesistenti, e ora sono probnti a candidarsi alle elezioni".

"Io sono preoccupatissimo - dice il vicepresidente della camera - per il ruolo di questi militari, perchè non si capisce se la loro funzione sia costruttiva, di segnalare casi, oppure di fare speculazioni che provocano drammi nelle famiglie dei militari stessi".

Giovannardi accusa anche "un certo mondo politico che - dice - ha perso la testa, non meno di un certo giornalismo". "Purtroppo - aggiunge  - ci sono persone malate di leucemia ma dai dati del Comando dei carabinieri emerge che  ogni anno si ammalano di leucemia 10 militari, di cui 5 sono morti negli ultimi 5 anni senza essere staati nei balcani; altri 67 carabinieri sono morti per tumore e solo due erano nei balcani".

Giovannardi incalza: "Ci sono esponenti della maggioranza, come Cossutta, che chiedono addirittura il ritiro del contingente italiano in bosnia. Oppure il presidente del Consiglio Amato che ha chiesto informazioni alla Nato in  termini ultimativi, scordando che noi facciamo parte della nato con responsabilità ai vertici di questa organizzazione".


ANSA 09/01/2001

URANIO: USA SOLLECITARONO NATO A PRENDERE PRECAUZIONI



(ANSA) - BRUXELLES, 9 GEN - Non passa alla Nato, dopo il 'no' di Stati Uniti e Gran Bretagna, la proposta italiana per una moratoria sull'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito fino a quando non sara' stata fatta chiarezza sui loro possibili effetti nocivi. Roma incassa invece la creazione di un gruppo di lavoro in sede Nato per la raccolta e lo scambio di informazioni e studi sulla 'sindrome dei Balcani' e l'impegno dell'Alleanza a fornire in tempi ragionevoli la mappa delle zone interessate in Bosnia. Sono queste, secondo varie fonti diplomatiche della Nato, le indicazioni emerse dalla riunione odierna del Comitato politico e dall'incontro informale degli ambasciatori dell'Alleanza, entrambi volti a preparare il Consiglio Atlantico in programma domani. La proposta dell'Italia sulla sospensione nell'uso delle armi DU (Depleted Uranium) - che di fatto non sono attualmente impiegate nelle missioni di pace della Nato in corso - e' stata illustrata stamane agli alleati nel quadro di un documento di piu' ampio respiro presentato dal governo di Roma su un problema che sta scuotendo le opinioni pubbliche in vari paesi d'Europa. Accanto a richieste ed ipotesi di lavoro gia' fatte filtrare nei giorni scorsi in sede Nato, i diplomatici italiani hanno invitato gli alleati a considerare l'idea di soprassedere all' utilizzo di proiettili DU per il tempo necessario ad una valutazione comune dei rischi ad essi connessi. Molti paesi, colti un po' di sorpresa da una proposta maturata nelle ultime ore, non si sono pronunciati in modo esplicito. La Germania - confermano fonti della Nato - si e' sostanzialmente allineata alla posizione italiana, mentre Washington e Londra si sono opposte. Le consultazioni sul tema continueranno nelle prossime ore, ma appare fortemente improbabile che su questo punto possano esserci entro domani significative novita'. Le decisioni, nella Nato, vengono assunte per consenso: anche una sola voce dissenziente e' dunque sufficiente per impedire un'intesa. Proprio sulla base di questo principio, e' possibile che alcuni paesi non si siano espressi perche' prevedevano che almeno gli Usa si sarebbero detti contrari alla moratoria. In ogni caso - hanno fatto notare fonti dell' Alleanza - ''queste non sono decisioni che si prendono in quattro e quattr'otto'' e occorrera' attendere eventualmente gli esiti di una riflessione piu' approfondita. Se su questo fronte non vedra' probabilmente adottata in modo formale una posizione dei Diciannove, Roma segna a suo favore il fatto di aver preso l'iniziativa per sollevare in sede Nato un reale dibattito sulla questione dell'uranio impoverito. Come paese che ha contribuito in modo sostanziale alle missioni di pace dell'Alleanza nei Balcani, l'Italia ha posto ai partner un problema politico di fondo. Le operazioni di peacekeeping dell'Alleanza - e' stata la tesi primaria del governo italiano - richiedono nei paesi partecipanti l'appoggio delle opinioni pubbliche, che va mantenuto nel tempo. Per questo, la Nato deve attrezzarsi per rispondere a preoccupazioni come quelle innescate dalle morti sospette e dai numerosi casi di leucemia e cancro rilevati in militari che sono stati schierati in Bosnia e Kosovo. Su questa impostazione, nessuno degli alleati ha avuto da eccepire. E' emerso un generale consenso sulla necessita' di migliorare la raccolta delle informazioni e la loro valutazione complessiva per fare chiarezza sui possibili rischi delle armi DU. La Nato mettera' a punto un meccanismo di 'clearinghouse' in cui confluiranno studi e dati nazionali, ricerche di organismi internazionali e di centri indipendenti: il 'corpus' di materiale disponibile permettera' una valutazione globale e piu' accurata del problema. Il Comeds, un comitato che riunisce i responsabili della sanita' militare dei paesi membri della Nato, si riunira' il 15 gennaio a Bruxelles per avviare il lavoro. L'Italia ha anche suggerito che l'Unep dell'Onu, gia' autore di un rapporto epidemiologico sulle conseguenze dell'uso delle armi DU in Kosovo, ripeta l'esperienza per la Bosnia. Proprio sui 10.800 proiettili e bombe all'uranio impoverito utilizzati nel 1994-95 in Bosnia, la Nato ribadira' domani l'impegno a fornire tutte le informazioni. I diplomatici stanno lavorando con le rispettive capitali per mettere a punto il testo di una dichiarazione comune che dovra' essere approvata dal Consiglio Atlantico.


Brescia oggi - 07/01/2001

Io, bresciano dalla Bosnia al tumore

Parla un maresciallo di Monticelli, reduce dall’ex Jugoslavia e ora malato: 
sono un militare fedele, chiedo solo verità

In Italia decisi test su tutti i militari. La Nato: «Il dossier Onu? Irrilevante»

 

Nessuna certezza, nessuna accusa, solo tanta voglia di verità. «Sono un militare, credo nell’Esercito e sono abituato da sempre ad assumermi le responsabilità. La politica del sospetto e le strumentalizzazioni sono lontane anni luce dal mio modo di vivere - dice Sergio D’Angelo di Monticelli Brusati - ma vorrei qualche risposta chiara per andare avanti a combattere contro il mio male e per sperare di poter dormire sereno». Le notizie sull’uso di bombe all’uranio impoverito nella ex Jugoslavia e sulle possibili conseguenze per la salute sono giunte come una tempesta nel cuore della Franciacorta. D’Angelo, che dal ’98 sta lottando contro un tumore alla laringe, dorme poco e pensa molto. E, chiamato in causa dalla stampa, ha deciso di raccontare la sua storia.
Intanto il giorno dopo la diffusione del rapporto dell’Onu sui livelli di radioattività nell’ex Jugoslavia, scoppiano nuove polemiche e si allunga la lista dei casi sospetti. La Nato ribatte comunque al dossier Onu giudicandolo irrilevante. Ma in Italia, con una disposizione contenuta nel protocollo della Sanità militare, è stato stabilito di effettuare test radiologici sui militari impiegati nei Balcani: gli accertamenti saranno svolti sui soldati prima della partenza e al ritorno dalla missione.


 

GIORNALE LIBERAZIONE - 21/12/2001 

a cura di Pesciaioli Giuseppe*

 MORTE PER URANIO?

 

La morte è ancora una volta la protagonista dei militari italiani impiegati in Bosnia e in Kossovo.

Sembra assurdo ma questa è la realtà, una realtà che tocca la più alta ipocrisia di Governo dall’insediamento ad oggi.

Nessuno vuole ammettere le proprie responsabilità davanti simili agghiaccianti testimonianze di morte.

Ammesso e non concesso che le morti dei militari italiani non siano derivate dall’esposizione da polvere dei proiettili ad uranio impoverito usati nelle zone sopra menzionate, ancora nessuno tra i politici, i ministri e gli stati maggiori delle forze armate di questo Paese,  sa dirci il perché di una situazione che di giorno in giorno si sta  rivelando una vera e propria epidemia di cancro tra gli appartenenti alle forze armate italiane.

Non è verosimile neanche la dichiarazione del ministro Mattarella che si sente rassicurato da una classe dirigente militare che si è accorta delle morti dei propri soldati, solo dopo le esternazioni dei mass media e solo dopo le denuncie effettuate da chi ha subito la condanna della contaminazione.

Strano Paese il nostro, che dopo tutto quanto è successo, strage di Ustica, Gladio, Italicus, Golpe del 71, Piazza Fontana, stazione di Bologna, ancora crede nelle esternazioni di chi dovrebbe controllare il Paese e garantirne la sicurezza e molto spesso non sa neanche cosa succede in casa propria.

Già negli anni settanta, presso i siti che ospitavano il sistema di arma hawks, il personale subiva delle malformazioni derivate dall’esposizione ad agenti cancerogeni derivate dall’uso di materiale radioattivo presente in alcuni tubi catodici e mentre gli americani usando lo stesso sistema, attuavano misure rigorose di sicurezza, da noi non era disponibile nemmeno il manuale per la prevenzione da tali irradiazioni.

Così, molti colleghi rimasero sterili, altri si ammalarono e qualcun altro generava figli con malformazioni, il ministero della difesa si adoperò ad un indagine, come quella che vuole fare il Ministro Mattarella per intenderci, solo utilizzando medici militari e vietando tassativamente l’ingresso a tale area a tutti coloro che, estranei alla difesa, avevano titolo per conto degli assistiti legalmente, per fare delle indagini.

Bella trasparenza allora e bella trasparenza ora.

È forse per questo che i militari italiani si sentono abbandonati e molti non hanno nemmeno il coraggio di presentare le giuste denuncie verso chi li ha usati, indiscriminatamente senza tener conto delle circostanze altamente nocive per la salute umana, per scopi che nulla hanno a che fare con la difesa della Patria e la Salvaguardia delle libere Istituzioni.

Vogliamo aggiungere anche che fino a pochi anni fa, tutti coloro che hanno usufruito delle cucine da campo militari, sono stati soggetti a contaminazione da amianto e che ancora oggi sulle nostre navi della marina militare ci sono componenti di amianto che sono a contatto del personale.

È per questo che non dobbiamo stupirci se il Ministro dice che farà luce sulla faccenda dei militari morti o ammalati, è la prassi di chi vuole eludere il problema e non prenderlo in seria considerazione.

Le commissioni militari sono fedeli a chi detiene il potere temporale e non alla verità, perché se così non fosse, oggi noi non avremmo avuto bisogno di invocarla quella verità.

Troppe cose non quadrano alla conta finale, una è perché si aspetta tanto a dichiarare che le zone contaminate da uranio impoverito rappresentano una vera è propria minaccia per la salute dei militari; l’altra  è perchè non si ammette la totale impreparazione dell’Italia di fronte a tali eventi; e ancora perché dobbiamo fidarci delle commissioni o delle affermazioni dei vertici militari e non dobbiamo credere a quelle degli ammalati di cancro o di quelli che sono invece deceduti.

Liberazione, Rifondazione e tutti quelli che simpatizzano per la verità, e con molta modestia mi inserisco tra di voi, possono fare molto per affermarla e basta solo un piccolo sforzo, quello di garantire  a coloro che non hanno voce di averne una amica per il solo piacere della verità, per il solo piacere della giustizia.

I militari sono rimasti fermi all’era del regime fascista per quanto riguarda la tutela della vita e della giustizia, sarebbe il caso, una volta per tutte, che vengano liberati dalla morsa della soggezione e dell’arroganza e dell’ingerenza verso i diritti, primi tra tutti quello della tutela sindacale che la Costituzione non ci nega ma che chi vuole mantenere tale sistema fa di tutto per negarcela.

Questo potrebbe segnalare una svolta sulla gestione delle forze armate e farle diventare veramente uno strumento in mano della democrazia, facendo partecipi tutti gli italiani del controllo su di esse, in special modo oggi che la leva non c’è più e la situazione di ricatto e di soggezione  è diventata la minaccia più grande che il nostro Paese sta correndo di avere.

Chi controllerà l’operato di chi in base al proprio giudizio decide quanti morti può permettersi l’Italia in ogni missione e chi sarà in grado di sconfessare tali situazioni se nessuno può parlare perché ricattato per effetto di legge, dal sistema.

Il mio è un appello a Rifondazione che è nata e si conserva sulle prerogative della difesa dei più deboli, noi non siamo diversi dagli altri, ma non abbiamo nessuno che si schieri con noi per far emergere la verità sulle bugie di Stato.

Tante morti si sarebbero potute, se voluto, evitare.

Nessuno ammazzi Caino e nessuno lasci un pezzo di democrazia in mani che la gestiscono senza controllo.

 

* DELEGATO COCER ESERCITO
MARESCIALLO PESCIAIOLI GIUSEPPE                           


ANSA - 06 Gennaio 2001 - 15:03

URANIO: ONU,SERI RISCHI PER SALUTE; 
Funzionario, anche in bonifica
.......


LONDRA - Le armi all'uranio impoverito possono mettere in grave pericolo la salute umana anche durante le operazioni di bonifica. E' l'allarme di Pekka, capo di una missione del programma per l'ambiente dell'Onu (Unep) che ha accertato tracce di radioattivita' in 8 siti in Kosovo. 'Se in queste aree si fanno brillare mine inesplose -ha detto- potrebbero esplodere anche le munizioni all'uranio impoverito e che la polvere sollevata venga aspirata'. (ANSA)


IL CORRIERE DELLA SERA
04/01/2001

IL RETROSCENA

E i generali temono di perdere i volontari

ROMA - «Siamo in piena paranoia. Ma se questa psicosi dilaga, rischiamo grosso». Nei palazzi della Difesa in via XX Settembre si incontrano solo facce scure. Capi militari preoccupati perché cominciano a temere che la «sindrome dei Balcani» possa avere conseguenze gravi, fino a minare l'intera riforma delle Forze armate. «Se va avanti così - dicono - e se prende piede un senso di paura irrazionale, c’è il rischio che nessuno voglia più fare il volontario. E per riempire le caserme dovremo ripristinare la leva». C’è frustrazione. Ma non per tutti. «Noi non siamo demoralizzati. Siamo fortemente arrabbiati», sibilano alcuni ufficiali dello Stato maggiore Esercito. Il loro capo, Francesco Cervoni, è stato messo da qualche politico sul banco degli accusati. Dicono sia colpevole di aver mandato i militari allo sbaraglio nei Balcani, senza avvertirli dei pericoli ai quali andavano incontro. Chi lancia queste accuse - martellano gli ufficiali - parla a vanvera: «Non sa che noi dello Stato maggiore avevamo le notizie sui proiettili all'uranio e le abbiamo comunicate agli uomini diretti in Kosovo, indicando anche tutte le precauzioni da prendere. Siamo arrabbiati e offesi». Per l'intervento in Bosnia, invece, il problema uranio non si pose «perché agli americani è mancata un po' di giusta iniziativa, di capacità di comunicazione per far sapere agli altri che avrebbero usato quei dardi». Come dire: in quel caso non ci potete accusare di nulla perché noi stessi ignoravamo.
A Valdo Spini, presidente della commissione Difesa della Camera, lo sdegno degli ufficiali sembra comprensibile. Anche se considera assurda l'ipotesi di un ripristino della leva, perché «nelle missioni di pace all'estero non si possono mandare ragazzi impreparati, c'è bisogno di professionisti». Spini, però, pone il problema di come mettere fine a tutto questo turbine che ha di colpo sconvolto l'ambiente militare, abituato negli ultimi tempi a godersi gli allori delle missioni di pace. «Il governo - secondo Spini - sta perdendo troppo tempo. Bisogna mettere un freno immediato a tutta questa grande confusione. Per esempio, la commissione scientifica deve dire subito se, in base ai dati epidemiologici, è normale che su 60 mila uomini passati per i Balcani ci siano 5 o 6 vittime. Siamo nella media nazionale delle malattie tumorali o no?». Non abbiamo, dice Spini, «una sola certezza e troppa gente straparla: uno stop ci vuole. Altrimenti andiamo incontro a pesanti conseguenze.

 


IL CORRIERE DELLA SERA
04/01/2001

Il comitato politico Nato affronterà la questione il 9 gennaio

Uranio, Prodi: «La verità anche sui civili»



Il presidente della Commissione Ue ha detto che l’Europa deve fare chiarezza e assumersi le sue responsabilità


ROMA — La Commissione europea dovrà accertare la verità sulle conseguenze dell'uso di proiettili all'uranio impoverito nei Balcani. Lo ha detto il presidente della Commissione Ue Romano Prodi intervenendo in una trasmissione radiofonica della Rai.
«Voglio che si accerti la verità - ha detto Prodi - non solo sui nostri soldati, ma anche su chi viveva vicino a loro, sui civili. Come presidente della Commissione - ha aggiunto - proporrò di avviare rapporti immediati con i governi di Bosnia e Serbia per parlare con loro dell'inquinamento e dei problemi legati all'uranio impoverito».
La responsabilità della futura politica verso i Balcani, ha sottolineato Prodi, «è nostra, è europea e non degli Stati Uniti. Se vogliamo costruire un futuro di pace dobbiamo assumerci le nostre responsabilità».

LA NATO NE DISCUTERA’ IL 9 GENNAIO - La Nato
si è dichiarata disponibile a fornire tutte le informazioni raccolte in merito alle possibili contaminazioni da uranio impoverito e ha annunciato che affronterà la questione nel comitato politico che si svolgerà il prossimo 9 gennaio. «La Nato prenderà tutte le misure necessarie per fornire le informazioni che l'Italia richiede», ha detto da Bruxelles una portavoce dell'Alleanza atlantica che ha anche riferito di un’inchiesta avviata sulla vicenda ma ha poi aggiunto che non esistono prove certe sul legame tra cancro, melanona, leucemia e l’uso di uranio impoverito.

CIAMPI HA TELEFONATO A MATTARELLA — Anche il presidente della Repubblica è preoccupato per le morti sospette dei reduci del Kosovo e della Bosnia che sarebbero legate all'uso dell'uranio impoverito. Carlo Azeglio Ciampi ha telefonato al ministro della Difesa, Mattarella, per chiedergli informazioni sugli sviluppi dell'azione di governo a proposito degli accertamenti relativi al sospetto di contaminazione da uranio nelle operazioni militari svoltesi nei Balcani.

SONO SEI I MILITARI ITALIANI MORTI — I morti su cui grava il sospetto di contaminazione da «uranio impoverito» sono sei. L'ultima vittima è Salvatore Carbonaro, 24 anni, di Floridia (Siracusa). Due missioni in Bosnia alle spalle, Carbonaro è morto nella notte tra il 5 e il 6 novembre scorsi nel reparto di ematologia dell'ospedale San Matteo. Un decesso provocato ufficialmente da una leucemia. Ma altre sei nuove segnalazioni di militari malati, si sono aggiunte alle decine dei giorni scorsi (si parla addirittura di quaranta).

 

Da Parigi un nuovo appello alla Nato per fare chiarezza

«Sindrome dei Balcani» paura in Europa

Quattro casi di leucemia anche in Francia mentre si indaga sulla morte sospetta di un pilota di elicotteri ceco




PARIGI - Si estende in tutta Europa la paura per la cosiddetta «sindrome dei Balcani». Quattro soldati francesi sono attualmente ricoverati per leucemia negli ospedali militari. Il sospetto è che la loro malattia dipenda dalla possibile contaminazione con l’uranio impoverito, utilizzato nei proiettili usati dalla Nato nella ex-Jugoslavia. Lo ha annunciato il portavoce del Ministero della Difesa, Jean-Francois Bureau.
Il portavoce ha riferito che il ministro Alain Richard ha disposto l'avvio di «esami per stabilire se vi siano eventuali relazioni tra questi casi di leucemia e la permanenza dei soldati nei Balcani».
Secondo Richard le loro condizioni sono «tranquillizzanti», anche se per motivi di privacy non vengono fornite ulteriori informazioni. Anche Parigi vuole comunque che sia fatta chiarezza su questa vicenda e lo stesso ministro della Difesa ha chiesto agli americani di «essere trasparenti» su questo tema.

SOSPETTI PER LA MORTE DI UN MILITARE CECO — Un pilota di elicottero ceco è morto un anno fa poco dopo essere tornato da una missione in Bosnia e, secondo quanto scrive oggi il quotidiano «Mlada fronta Dnes», potrebbe trattarsi di una vittima della cosiddetta «Sindrome dei Balcani». Secondo il racconto del comandante dell'elicottero, Jaromir Dolezal, il pilota, Michal Martinak, della base aerea di Kbely, presso Praga, dopo aver effettuato una missione di un giorno in Bosnia fu fatto tornare in patria dopo che un esame medico aveva rivelato una «disfunzione del sistema sanguigno».

PRIMA DELLA MISSIONE ERA SANO — Il pilota, secondo quanto sostiene il suo comandante, aveva già effettuato lo stesso esame prima della partenza per la missione. Il capo del servizio sanitario dell'Esercito, il generale Jan Petras, ha già annunciato la creazione di una commissione d'inchiesta per investigare sulla morte di Martinak. Secondo il generale, gli effetti radioattivi dell'uranio impoverito sono comunque insignificanti. Egli ha anche spiegato che i soldati cechi vengono sottoposti ad esami medici completi prima e dopo ogni missione.


03/01/2001 Radio Capital

Uranio impoverito, la Nato pronta a fornire chiarimenti
Il Presidente Ciampi scrive a Mattarella


L'Alleanza atlantica farà di tutto per fornire all'Italia informazioni sull'uso di armi all'uranio nei Balcani. Lo ha dichiarato oggi una portavoce della Nato reagendo alle sollecitazioni del presidente del consiglio Giuliano Amato. 'Del resto - ha aggiunto - abbiamo gia' avviato un'inchiesta. Il presidente Ciampi, intanto, ha chiesto al ministro della Difesa Mattarella informazioni sull'azione di governo a proposito della possibile contaminazione da uranio impoverito di nostri soldati.


03/01/2001 - La Repubblica

Uranio, un altro morto 

Militare reduce dalla Bosnia ucciso dalla leucemia: è il sesto

dal nostro inviato ROBERTO BIANCHIN


PAVIA - Sorrideva, il soldato Salvatore, quando i suoi amici l'hanno fotografato a Sarajevo, in divisa, vicino a una mitragliatrice. Era andato in Bosnia due volte, per "guadagnare qualche soldo per la famiglia". Non pensava di tornare malato di leucemia. Il male, un male "particolarmente aggressivo, resistente ad ogni cura", ricorda il medico che l'ha curato, lo ha stroncato in un anno e mezzo. Il nome di Salvatore Carbonaro, 24 anni, siciliano di Floridia, vicino a Siracusa, soldato di leva in forza alla Brigata Garibaldi, morto la notte tra il 5 e il 6 novembre scorso all'ospedale San Matteo di Pavia, si va ad aggiungere alla lista dei militari italiani deceduti al ritorno dalle missioni nell'ex Jugoslavia.
Un elenco di morti sospette per leucemie e tumori contratti dai militari che sono stati nei Balcani, che si allunga ogni giorno che passa: Salvatore è la sesta vittima. La prima, poco più di un anno fa, nel settembre del '99, fu il soldato sardo Salvatore Vacca, colpito anche lui, come gli altri, da una leucemia fulminante. Rinaldo Colombo, carabiniere di Samarate, nei pressi di Varese, tornato anch'egli dalla Bosnia, morì invece, l'8 novembre scorso, per un melanoma. Il sospetto è identico per tutti: che ad uccidere sia stato lo stesso killer spietato e silenzioso, l'uranio "impoverito", che i militari americani (18 mila veterani della guerra contro l'Iraq contaminati dalle loro stesse armi) chiamano "metal of dishonor", il metallo del disonore. Un metallo tossico e radioattivo usato per fare i proiettili e per rinforzare le corazze dei carri armati, degli aerei, degli elicotteri, delle navi e persino dei satelliti. Un nemico invisibile, che nessuno conosceva, da cui nessuno aveva i mezzi per difendersi.
Salvatore, che era sano, che era giovane e forte, ci lavorava accanto a quel nemico mortale. Faceva l'armiere in Bosnia, stava tutto il giorno in compagnia di fucili, mitragliatrici, pallottole e carri, e aveva l'incarico di pulire le armi. Le sgrassava, le lucidava, le teneva in ordine. Quando si ammalò all'improvviso, fu il primo a pensare di aver preso la leucemia per colpa di quelle armi che sparavano i micidiali proiettili all'uranio, o per colpa del benzene che adoperava per lavorare, e lo scrisse nel suo diario. Un atto di accusa lucido, preciso. Aveva anche avviato una causa di servizio per sapere se era stata questa la causa del suo male. Nessuno gli ha mai risposto. Quando si è ammalato l'hanno congedato. Congedato e basta, senza occuparsi più di lui, lasciato solo a lottare con la morte.
Salvatore faceva il militare a Persano, vicino a Salerno, quando nell'98, a soli 22 anni, decise di partire per la Bosnia. Una missione di due mesi, filata via liscia, senza problemi, senza malattie. Era addetto al servizio vettovagliamento. Nel dicembre dello stesso anno decise di tornare a Sarajevo. Gli servivano per aiutare la sua famiglia quei soldini in più che danno ai militari quando vanno all'estero in missione. La sua seconda volta in Bosnia dura tre mesi, fino a febbraio del '99, ma stavolta cambia lavoro: non più viveri ma armi. Viene destinato all'armeria. E' lì, mentre pulisce i cannoni, che si fa fotografare dagli altri soldati. Non pensa certo di correre dei rischi. Ma è lì, probabilmente, che si ammala. Perché tre mesi dopo il suo ritorno in Italia, nel maggio '99, mentre sta continuando il suo servizio militare, sempre a Persano, avverte i primi sintomi del male che lo strapperà alla vita. La diagnosi non lascia scampo: leucemia. Lo congedano senza un grazie.
E qui comincia il suo calvario. All'inizio di maggio viene ricoverato una prima volta all'ospedale di Siracusa, poi a metà del mese, vista la gravità della situazione, si rivolge a un ospedale specializzato, il San Matteo di Pavia, dove per diciotto mesi combatte la sua battaglia contro il male, fino ad arrendersi, la notte fra il 5 e il 6 novembre.
"Me lo ricordo bene quel ragazzo - dice il professor Mario Lazzarino, direttore della divisione Ematologia dell'ospedale San Matteo - ha combattuto fino alla fine, come ha potuto. La sua vicenda ci ha colpito molto, e ci ha toccato tutti". Il medico racconta di una leucemia acuta, particolarmente aggressiva e resistente: "Ci siamo trovati di fronte una malattia piuttosto refrattaria alle cure: abbiamo tentato una chemioterapia intensiva, ma dopo una risposta iniziale positiva, c'è stato un aggravarsi delle condizioni, e quindi una ricaduta fatale". Però è cauto, il professore, sulle cause della leucemia: "Non è possibile stabilire a priori un nesso tra la morte del militare e la sua permanenza in Bosnia".
Non l'hanno aiutato, Salvatore, neanche per i funerali. La notte che morì, suo fratello Mauro, che lo assisteva, fu derubato del portafogli. Dentro c'erano tre milioni e mezzo, quelli per le esequie. Per pagargli il funerale hanno dovuto fare una colletta in ospedale.


03/01/2001 La Repubblica
Uranio  -  "Attenti ad una nuova Ustica"
 


Nelle riunioni dei militari con Mattarella il timore di un caso incontrollabile

di VINCENZO NIGRO


ROMA - "Io credo che non possiamo più aspettare, siamo stati cauti, abbiamo riflettuto, abbiamo provato a lavorare secondo legge e secondo coscienza, ma le cose vanno più veloci della verità che stiamo cercando. Io questa storia l'ho già vista, si chiama Ustica... gli elementi ci sono tutti, per creare qualcosa come una nuova Ustica, un nuovo mistero che finirà fuori controllo, in cui nessuno riuscirà a capire più dove sia il giusto".
Sono le nove del mattino, i carabinieri di guardia a Palazzo Baracchini battono i piedi in terra dal freddo. Su, al primo piano, dietro tre dita di vetri blindati che difendono dal pericolo ma a volte separano dal paese, i capi della Difesa sono alla prima riunione di una giornata assai lunga.
Il capo di stato maggiore Mario Arpino, il generale che comanda tutta la Difesa, siede di fronte a Giampaolo Di Paola, l'ammiraglio che guida il Gabinetto del ministro Mattarella. Si preparano all' incontro che stanno per avere con Sergio Mattarella, il primo di una serie che terrà il ministro bloccato per ore alla sua scrivania. É Arpino che per primo lancia l'allarme sulla "sindrome Ustica": "Qualsiasi cosa facciamo, comunque lo facciamo rischia di ritorcersi contro di noi. Ma se non facciamo nulla, se aspettiamo soltanto i tempi della scienza e delle commissioni rischiamo di fare anora peggio". Già, ma cosa fare? "L'allarme uranio impoverito ormai è vicino a livello da psicosi collettiva, incontrollata e purtroppo incontrollabile", dice una fonti della Difesa che parla con Repubblica: "Forse solo Ciampi o Veronesi potrebbero raffreddare per un attimo la situazione. Ma per ora non lo fanno". Gianfranco Astori, ex deputato, consigliere di Mattarella, fa un altro esempio: "Rischia di essere un altro caso Di Bella, e forse come allora, come col caso Di Bella, dovremo attendere che i tecnici ci dicano la verità su cosa è malattia collegata all'uranio, cose è da far risalire al benzene e cosa invece non c'entra nulla con la Bosnia e il Kosovo".
Alle 10 del mattino Arpino e Di Paola si spostano nello studio di Mattarella, iniziano a discutere, pianificano la missione in Bosnia di domani e quella in Kosovo del sottosegretario Minniti. Mattarella ha una preoccupazione: quella di garantire, di rispettare serenità e serietà di lavoro per la Commissione Mandelli. I militari sono preoccupati per quello che accade alla Difesa italiana nella Nato ("da Bruxelles ancora non capiscono che questa per noi è una questione seria"), per gli effetti sui nostri soldati nei Balcani, per la credibilità del sistema-Difesa nel paese.
Mattarella concorda, dobbiamo muoverci. Ma fissa i suoi punti, e li ripete nel pomeriggio in un'intervista che rilascia al Corriere della Sera: nessuna interferenza col lavoro della Commissione Mandelli, nessuna pressione, nessuna interferenza. Il governo deve capire se le malattie che spuntano in questi giorni sono episodi singoli o collegati fra di loro, se sono riconducibili all'uranio impoverito oppure a vaccinazioni che possono aver indebolito il sistema immunologico di alcuni soldati. Mattarella ripete: Mandelli deve lavorare senza sentire addosso l'angoscia, la pressione dell'opinione pubblica. Come dire: evitare un nuovo effetto-Ustica rispettando i tempi di una commissione in stile Di Bella.



31/12/2000 LA REPUBBLICA
"Non avevamo le maschere ci hanno nascosto la verità"
 


Un carabiniere amico di Rinaldo: "I proiettili all'uranio fondevano i carri armati"

dal nostro inviato ANNALISA CAMORANI


SAMARATE (Varese) - "Rinaldo in divisa, perfetto nel suo metro e novanta e Valentina in abito bianco davanti all'altare. Neanche due anni dopo, la bara portata a spalla dai militari. Nella stessa chiesa a San Macario di Samarate". Due immagini troppo vicine nel tempo che Valentino non riesce a togliersi dalla testa. L'uomo, suocero di Rinaldo Colombo, ripete come un automa: "L'8 novembre mi è morto un figlio". Ma quell'accostamento di immagini non se lo scorda neanche don Giancarlo, il parroco di Sant'Anna a Busto Arsizio (Varese) che per quindici anni è stato amico del militare. "Il 12 dicembre 1998 ho celebrato il matrimonio di Rinaldo. L'11 novembre 2000 il suo funerale". Il parroco, ricordando la malattia del giovane, non pronuncia mai la parola "uranio impoverito", ma alle missioni ci pensa: "Qualche dubbio l'ha avuto. Da malato se l'è chiesto se c'era un nesso tra il melanoma che lo divorava e la Bosnia".
Forse anche Rinaldo ha fatto le stesse considerazioni che oggi fa un altro carabiniere reduce delle missioni di pace e che preferisce l'anonimato: "Non avevamo maschere né guanti. Le uniche tute le ho viste addosso ai genieri dell'esercito perché c'erano le televisioni a filmare. C'erano i ponti bombardati con munizioni radioattive e noi lì davanti a fare la guardia. Ho visto gli effetti dei proiettili all'uranio impoverito sui carri armati colpiti: le carni fuse col metallo delle corazze. E noi lì davanti. Nessuno ci ha messo in guardia sui rischi di una contaminazione. Ci hanno presi in giro tutti, dai generali ai carabinieri semplici".
Il militare era stato in missione due volte, in Bosnia-Erzegovina dal dicembre '96 a marzo '97 e in Albania da aprile ad agosto '97. Quasi un anno dopo si era scoperto un'escrescenza sottocutanea al cuoio capelluto. Poi la biopsia e la scoperta della natura maligna. "La seconda operazione alla gola è stata quella che lo ha buttato veramente giù", ricorda il suocero. "Era un ragazzone alto un metro e novanta, lo abbiamo visto precipitare, un po' alla volta. Sono stati due anni di calvario". Rinaldo e Valentina vivevano a San Macario, frazione di Samarate nella stessa casa dei genitori di lei. Al dolore per la perdita, il padre della vedova somma la preoccupazione per la figlia. "Ha 27 anni - si sfoga l'uomo, gli occhi rossi - e ha bisogno di reagire, di trovare una forza che io, anziano come sono, non riesco a trasmetterle. Per Capodanno voleva stare in casa, da sola. Sono stato io a insistere perché partisse per un po' , ha bisogno di stare con gente giovane". E così Valentina si è rifugiata per qualche giorno da alcuni amici conosciuti nei ritrovi di Cl. Ma don Giancarlo è fiducioso: "Valentina è dolce, sembrerebbe fragile. Invece è una donna consistente, forte".
Anche il padre e la madre di Rinaldo non hanno parole: "E' morto l'8 novembre e per noi è ancora come se fosse qui. La ferita della sua scomparsa è ancora troppo recente. Più avanti forse parleremo, ma in questo momento siamo ancora sotto choc".


31/12/2000 - LA REPUBBLICA
L'ombra delle armi chimiche

Mattarella: "Sulle morti dei reduci di Bosnia,indagini a 360 gradi"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Non è solo l'uranio il killer dei militari italiani utilizzati in missione di pace nell'ex Jugoslavia. I diecimila proiettili radioattivi usati dalla Nato in Bosnia nel '95, i 31 mila sparati in Kosovo nel '99 non sono gli unici responsabili. Il ministro della Difesa italiano, Sergio Mattarella, ha ammesso ieri che "non si trascura alcuna ipotesi sulle ragioni che potrebbero aver portato la presenza di malattie tra i militari che si sono recati nell'area balcanica".
Se è la "sindrome dei Balcani" a uccidere decine di reduci in tutta Europa, evidenti sono le analogie con i "casi" verificatisi dopo la guerra del Golfo nel '91 e ugualmente non è da escludere che a determinare gli effetti devastanti possa essere stato l'uso di armi chimiche. Per i Balcani insomma la stessa ipotesi che si fa già da anni per l' Iraq?
Per il ministro della Difesa italiano è una fine d'anno senza tregua, dopo l'annuncio che un altro carabiniere - il quinto reduce italiano dalla Bosnia - è morto di cancro, e mentre la Procura militare allarga a altri dieci casi l'inchiesta sulla "sindrome dei Balcani": il dossier del pm Antonino Intelisano conterrebbe ora trenta nomi. Si limita ad affermare Mattarella che l'indagine sarà svolta a 360 gradi. E in una nota ricorda la commissione sanitaria da lui insediata due settimane fa, "guidata da uno scienziato di alto profilo come l'ematologo Franco Mandelli alla quale è stato dato mandato pieno per qualunque pista di indagine e di accertamento al fine di appurare la verità e garantire la sicurezza dei militari in Italia e all'estero". Nulla sarà tralasciato. Prima di tutto di individuare se esiste o meno un collegamento tra i vari casi e, in caso affermativo, con la presenza sul terreno di contaminazioni radioattive.
Nè esclude il ministro la possibilità di uno screening tra i militari inviati nei Balcani, una volta che la commissione Mandelli abbia espresso il proprio parere entro la metà di gennaio. Screening già avviato in Portogallo e in Germania. La "sindrome dei Balcani" è diventata infatti un caso politico europeo.
La Nato dichiara che mancano prove di un nesso tra morti e missioni nei Balcani, ma ambienti militari assicurano che in un dossier top-secret si vanno raccogliendo prove sull'uso di armi chimiche in quell'area.
Dal ministro della Difesa belga, Andrè Flahaut, in una lettera inviata al collega svedese Bjorn von Sydow, paese che da domani assume la presidenza di turno della Ue, è partita la proposta di analizzare il delicato problema a livello europeo. Finora nessuna risposta ufficiale. Un portavoce della Commissione Ue ieri non ha voluto commentare l'iniziativa, e il ministero della Difesa svedese si riserva di pronunciarsi dopo aver letto la lettera. Dall'Italia una sostanziale adesione: "Sarà certamente utile la possibilità di confrontare i risultati delle indagini svolte dagli altri paesi in cui ci sono stati casi simili", commenta Matterella.
Intanto cresce l'allarme anche in Italia per la "sindrome dei Balcani". Ieri è arrivata la precisazione del comando dei carabinieri di Varese che nega ci sia un nesso certo tra la morte del carabiniere Rinaldo Colombo e la sua missione in Bosnia. Colombo, 31 anni, due spedizioni di pace nei Balcani è morto per un melanoma, precisano i suoi superiori. "Nessun allarmismo, ma massimo allerta", è l'invito del Cocer dei carabinieri. Però "Unarma", l'associazione che ha diffuso la notizia della morte di Colombo, dichiara che altri quattro carabinieri (tra cui un ufficiale) tornati di recente dai Balcani, potrebbero essere stati contaminati dall'uranio impoverito. Sarebbero almeno venti i militari dell'Arma sottoposti a controlli, anche se la metà a puro titolo precauzionale. Il numero dei casi sospetti continua a crescere.
Alla ripresa dell'attività parlamentare, martedì 9 gennaio, è stato subito convocato l'ufficio di presidenza della commissione Difesa della Camera sulla "sindrome Balcani". Il presidente, Valdo Spini rivendica il ruolo ispetivo del Parlamento e annuncia un'indagine conoscitiva per stabilire a) cosa si sa sulle conseguenze della presenza di uranio impoverito nella guerra del Golfo del 1991; b) chi sapeva dei proiettili a uranio impoverito in Bosnia nel 1995 (i militari sapevano e i politici no?); c) quali precauzioni sono state prese per la spedizione in Kosovo del 1999; d) vanno acquisiti i risultati della commissione Mandelli. Inoltre, il sottosegratario all'Ambiente Valerio Calzolaio partecipa alla task force Unep (l'organizzazione delle Nazioni Unite per l' ambiente) sulla contaminazione radioattiva del Kosovo.


29/12/2000 - IL MANIFESTO

 Uranio, il muro del silenzio

I generali italiani e le istituzioni che sapevano e sanno, ma tacciono sulle operazioni militari dove è stato usato "Depleted Uranium". I bombardieri, per colpire Kosovo e Serbia, partivano da Gioia del Colle
 
di ANTONIO CAMUSO *

 

Ci stiamo rendendo conto di come la vicenda "uranio impoverito" abbia assunto un quadro allarmante solo in questi giorni in cui il muro di silenzio, che le istituzioni militari avevano eretto su questi casi, è stato rotto dalla rabbia dei familiari colpiti negli affetti più cari, dagli stessi militari ammalati e da alcuni loro rappresentanti del Cocer. Solo ora i responsabili diretti politici (Ministro della Difesa) e militari (Stato Maggiore dell'Esercito) accennano a parlare di inchieste da aprire, dati da rilevare e commissioni "neutrali" d'inchiesta da istituire.
Siamo di fronte all'ennesima ripetizione di meccanismi troppe volte rivisti nelle tante stragi di Stato che vedono coinvolti i nostri protettori: le Forze armate Usa e in particolar modo quelle inserite nell'apparato Nato. Consigliamo di andare a rivedere interviste e dichiarazioni rilasciate non solo dal Comando Nato, ma anche dai nostri responsabili politici alle domande che venivano loro poste durante i bombardamenti della primavera 1999. Tutte le dichiarazioni erano improntate a un "non ci risulta che vi sia un problema proiettili all'uranio impoverito". D'altro canto di fronte a una dichiarazione di così palese omertà, gli uffici stampa statunitensi e loro alleati si ritenevano autorizzati a fare scena muta mentre scaricavano migliaia di questi proiettili sul Kosovo e sulla Serbia. Oggi i nostri generali cascano dalle nuvole di fronte alle stesse ammissioni da parte Usa dell'utilizzo di tali ordigni, annunciano inchieste e insediano commissioni.
Sembra così che il concetto di sovranità limitata sia interpretabile, da parte loro, come un obbligo morale di preservare gli interessi e l'onorabilità delle forze armate del grande fratello americano, ritenendo invece ininfluenti i rischi e pericoli per i soldati italiani, i loro familiari e le popolazioni che abitano nei dintorni delle basi dove aerei e ordigni radioattivi sono impiegati. Senza contare poi il dato "morale" relativo all'uso contro popolazioni civili di tali ordigni.
Ci domandiamo così: com'è possibile che i nostri ufficiali non erano a conoscenza che gli A-10 di stanza ad Aviano impiegavano proiettili all'uranio?

 

Eppure su tutti i manuali e riviste specializzate del settore viene illustrato come l'armamento standard per il cannone GE GAU-8/A Avenger da 30 mm installato sui cacciabombardieri A-10 sia un misto di proiettili al tungsteno Ap da 354 grammi ciascuno e di proiettili Staballoy all'uranio impoverito da 690 grammi. Una potente arma, quel cannoncino rotante, capace di sparare da un minimo di 2.100 fino a 4.200 colpi al minuto, un vero inferno di fuoco che era stato progettato per fermare le divisioni corazzate russe che durante la guerra fredda avrebbero potuto invadere le pianure dell'Europa centrale e che poi, invece, è stato impiegato nella guerra del Golfo e nell'ex Jugoslavia.

Ignoranza o omertà?

Gli A-10 del 51st Fighter Wing dell'Usaf sono stati una presenza costante durante la crisi jugoslava nell'aeroporto di Aviano e il loro uso tattico è stato pianificato all'interno del complesso di pianificazione Nato nel quale noi italiani siamo pienamente integrati e abbiamo il diritto di sapere tutto. Chi è che mente oggi? O meglio chi è che, sapendo sin dall'inizio che si stavano innaffiando di proiettili all'uranio zone nelle quali sarebbero stati inviati nostri militari, a presidiare nel dopo-bombardamenti, non ha provveduto ad avvisare i responsabili politici (il governo) e militari (i comandi dei reparti operativi inviati in Kosovo)?
Per non rimanere nel generico individuerei innanzitutto alcuni soggetti ai quali si potrebbero andare a rivolgere queste domande: parlo del Comandante italiano della base di Aviano e dei suoi sottoposti che curavano i rapporti operativi con i reparti della forza aerea statunitense. Dobbiamo ricordare che dopo la strage del Cermis l'intero comando italiano della base aveva avuto una tirata d'orecchie per il lassismo col quale lasciavano fare e disfare in quella base, da parte dei piloti Usa, con le conseguenze che tutti noi sappiamo. Parlo del generale Leonardo Tricarico, comandante della Va Ataf di Vicenza e del Cofa (Centro Operativo della Forza Aerea), vicario della gestione delle operazioni aeree in quel frangente. Ma parlo anche del generale Giuseppe Marani, che è stato per un quarto del periodo dei bombardamenti il portavoce militare Nato a Bruxelles e che in una sua intervista diceva: "...molto spesso i giornalisti pongono domande in buona fede... certi dettagli tecnici, però, se da un lato aiutano a comprendere meglio, espongono comandi ed equipaggi a rischi gravi, limitando la libertà tattica di organizzare e applicare metodi e procedure nella maniera piu adatta alla situazione..."
E sì, tutto si risolve ad un problema tecnico, salvo che, poi, a pagarne le conseguenze sono persone innocenti. Dai primi di aprile del 1999 uno squadrone di ben 24 cacciabombardieri A-10 viene inviato in Puglia, a Gioia Del Colle, sede del 36 Stormo. Sono gli uomini dell'81st Expeditionary Fighter Squadron dell'Usaf, provenienti dalla base tedesca di Spangdahlem. Il loro compito è condurre, ora che le difese aeree jugoslave alle quote medio-basse sono indebolite dai continui attacchi, le previste incursioni a colpi di missili e cannoncini (all'uranio) contro i singoli mezzi corazzati serbi. Si può dire che è proprio da Gioia del Colle che dobbiamo il maggiore contributo di proiettili all'uranio impoverito sparati sul Kosovo e sulle provincie meridionali della Serbia. Tenendo conto che si tratta di molte tonnellate di queste munizioni utilizzate, possibile che nessun militare italiano si sia domandato che significava quel Staballoy depleted Uranium scritto sulle casse dalle quali venivano estratti i nastri per le mitragliere degli A-10? Possibile che il colonnello Mirko Zuliani comandante del 36 Stormo non sia venuto a conoscenza di tutto ciò? Gioia del Colle non è la grande Aviano e si vive fianco a fianco tra equipaggi multinazionali, è impossibile non sapere e non vedere gli entusiasmanti racconti del pilota di A-10 che, di fronte a una birra, narra di come ha visto scomparire sotto una tempesta di fuoco all'uranio una fila di tank serbi o qualche altro obiettivo mobile. Possibile che, una volta firmato l'accordo di cessate il fuoco, e saputo le zone nelle quale i nostri soldati venivano inviati come forza di occupazione e/o interposizione, a tutti questi soggetti non sia venuto in mente di avvisare lo Stato Maggiore per far scattare le adeguate protezioni per i nostri soldati? Possibile che la fedeltà alla Nato sia stata superiore a quella dovuta ai propri connazionali, che addirittutra vestono la stessa divisa? Sono domande inquietanti e che, come dicevo prima, ci portano indietro ad altre cattive esperienze "atlantiche".

"Non sapevamo nulla..."

C'è qualcos'altro che non quadra e che fa pensare a una regia di occultamento di prove, ma che ha anche motivazioni di carattere economico. Andiamo per ordine: tra agosto e settembre 1995 vi sono quegli attacchi aerei sulla Bosnia che portano alla pace di Dayton, durante i quali vengono utilizzati per la prima volta sul territorio europeo i proiettili all'uranio. Nello stesso territorio, e guarda caso proprio nelle località serbe colpite - qualcuno ha mai preso in esame le denunce delle autorità mediche jugoslave sulla contaminazione in loco dal 1996? -, sono inviati come contingenti di pace i soldati del contingente italiano.
Casualmente da parte dello Stato Maggiore parte la richiesta di attrezzare una speciale unità di difesa Nbc capace di muoversi su ambienti contaminati, in operazioni di pace "umanitarie". Teoricamente dal 31 dicembre '95, ma operativamente dal 1998, questa unità prende il nome di 7 Reggimento difesa Nbc "Cremona". Di questo reggimento la prima compagnia operativa,

anche se a ranghi ridotti, dove muove i primi passi? In Kosovo, naturalmente, nel luglio del 1999 - a poco meno di due mesi dall'ingresso dei contingenti Kfor-Nato nella provincia serba - e ad onor di cronaca il nome di questa compagnia è veramente indicato: Peste.

Perché il segreto?

Lo scopo della prima missione è quello di mettere a frutto ciò che è stato loro insegnato presso la scuola interforze Nbc di Rieti, presso il Comprensorio di Santa Lucia, sede del centro Tecnico dello Stabilimento Chimico di Civitavecchia e, per alcuni ufficiali, presso la Nato school (Shape) a Oberammergau e presso il Collegio militare inglese (Shrivenham). Sono delle operazioni di rilevazione e campionamento che vedono il nostro personale recarsi presso alcuni siti bombardati, in tute ed equipaggiamento protettivo e raccogliere campioni di "materiale contaminato". Presso lo Stato Maggiore dell'Esercito e presso la sede di questo reggimento dovrebbero esserci quindi i risultati, le zone interessate a questo campionamento, le dovute osservazioni scaturite dagli esami di laboratorio, anche grazie ai successivi esami delle altre compagnie, la 2a (novembre '99), la 3a (marzo 2000), in attesa che la quarta raggiunga il pieno organico a fine 2000.
Sono coperte da quale tipo di segreto? Segreto Nato, di Stato italiano, Onu? Finora l'unico risultato è che è partita la richiesta di dotare questo reparto di veicoli blindati da ricognizione Nbc ed è partito l'ordine d'acquisto di 13 Vbr I Nbc francesi, anche se noi abbiamo in cantiere un prototipo Puma 6X6. Poichè i francesi di radioattività se ne intendono, i prossimi corsi sono alla scuola Nbc di Caen. Altre notizie provatele a chiedere alla Rivista Militare, organo dello Stato Maggiore dell'Esercito, che sul numero 5/2000, a firma del tenente colonnello Lucio Morgante e del Capitano Alberto Corrao, in servizio presso il 7 Rgt Cremona, hanno redatto un servizio sul polo Nbc con annesse le foto della missione "speciale" in Kosovo.

L'uranio in Italia

Vi sono naturalmente dei dubbi sulla possibile inerzia di questi proiettili quando sono stoccati e non vi sono rilevamenti da parte di fonti civili "neutrali". Possiamo comunque affermare che, nel momento dello sparo, questi proiettili sotto l'effetto delle alte temperature e dell'enorme energia cinetica dovuta alla velocissima rotazione che viene loro imposta, non solo diventano fonte e produttori di piccole particelle radioattive al momento dell'impatto e della vaporizzazione, ma anche nei primi momenti, quando stanno per uscire dalla volata del cannoncino. E' lì che si depositano residui di combustione e presumibilmente di altra natura anche radioattiva. Ricordiamo come, tra i colpiti della Sindrome del Golfo, risultano meccanici, armieri di carri armati americani che avevano sparato proiettili all'uranio. Erano soldati che avevano curato solo la manutenzione delle armi, senza mai combattere.
Durante i 78 giorni di bombardamenti, si è mai visto un armiere americano indossare tute ed equipaggiamento Nbc mentre faceva la quotidiana pulizia del cannoncino Gau-8 A degli A-10 di stanza ad Aviano e a Gioia del Colle? Sono sicuro di no e addirittura le foto di questi armieri al lavoro distribuite dagli stessi Usa lo confermano. Ma sappiamo bene come, a fronte di centinaia di cause portate avanti dai reduci del Golfo, le strutture militari americane e le industrie produttrici dei proiettili continuino ad assicurare la totale innocuità di quest'armamento.
La cosa preoccupante è che questi soldati, non avendo messo in atto le dovute precauzioni, hanno messo in pericolo gli altri. Un esempio: l'armiere che pulendo la canna dell'arma si ritrova la tuta, il berretto, i guanti sporchi di residui, va durante il servizio presso i locali comuni, il bar, i bagni, la mensa, stringe la mano di amici e conoscenti, sale su mezzi suoi o di altri, seminando ovunque dipiccole particelle di ciò che c'era nell'arma. Inoltre quali precauzioni non sono state prese per l'eliminazione del materiale contaminato? Tute sporche ed attrezzi che fine hanno fatto? E' un quadro allarmante anche perché, spesso, in alcune basi accanto ai militari vi sono anche gli alloggi dei familiari, che potrebbero essere entrati in contatto con tali sostanze ed averle veicolate all'esterno.

Le cluster bomb

Ricordiamo come a causa di un malcapitato pescatore, che saltò in aria dopo aver preso nella sua rete una bomba Nato, si scoprì che l'Adriatico aveva avuto la sua dose di cluster bomb. Dopo le prime impacciate smentite e rassicurazioni, saltarono fuori cinque ipotetiche zone "di rilascio" dove gli aerei Nato, di ritorno dalle missioni incompiute o in emergenza, avevano abbandonato il loro micidiale carico bellico, e come poi fu costituita una flotta di cacciamine che per mesi ha proseguito una parziale opera di bonifica. Nessuno però si è chiesto se vi sia stato anche rilascio di proiettili all'uranio impoverito nel nostro mare. E' sicuro, conoscendo le procedure di sicurezza che ogni pilota in missione operativa deve adottare: "Ogni aereo, una volta raggiunto il mare aperto e prima di giungere sul punto di incontro con le altre formazioni congiunte (guerra elettronica, attacco a difese antiaeree, scorta, rifornimento, ecc) deve provare le sue armi con una raffica che va dai tre ai sette secondi". Questo va fatto per evitare di dover abortire una missione solo per un semplice guasto meccanico. Tenendo conto che quest'operazione è stata effettuata per centinaia di volte e tenendo conto che alla velocità minima di 2.100 colpi al minuto sono stati sparati in mare un paio di centinaia di proiettili all'uranio per missione, possiamo dire che molte migliaia di proiettili all'uranio giacciono tra le nostre coste e il limite delle acque territoriali del Montenegro e dell'Albania, con conseguenze incalcolabili.

*Osservatorio sui Balcani - Brindisi


24/12/2000 - IL CORRIERE DELLA SERA

Uranio, sono «pulite» le basi in Bosnia
Primi controlli sul rischio radioattività dopo i bombardamenti della Nato
di Nicastro Andrea

Soddisfazione nel governo per le ammissioni dell' Alleanza: «Le notizie arrivate solo a dicembre» Uranio, sono «pulite» le basi in Bosnia Primi controlli sul rischio radioattività dopo i bombardamenti della Nato. Forse la Nato ha sbagliato mira e non è riuscita a trafiggere la paura sulle sue pallottole all' uranio impoverito. Ma forse non ci ha neppure provato. E non si è preoccupata di sedare i tremori di Italia, Spagna e Portogallo per i casi di leucemia e cancro riscontrati su alcuni reduci dai Balcani. «Non ci sono segreti - ha detto venerdì sera il portavoce dell' Alleanza -. Tutti i Paesi Nato sapevano delle nostre munizioni all' uranio e quando l' Italia ha voluto informazioni precise in materia il quartier generale le ha messe a disposizione». Proprio come aveva detto giovedì il ministro della Difesa Sergio Mattarella in commissione alla Camera. Al ministero non nascondono la soddisfazione: il governo italiano ha chiesto spiegazioni il 27 novembre e le ha ottenute un mese dopo, alla vigilia dell' incontro tra ministro e deputati. Dunque il «rammarico» di Mattarella sul silenzio dell' Alleanza (silenzio durato quasi un mese) aveva ragione d' esistere e rimane. Come rimane il sospetto tragico sui frammenti radioattivi dei proiettili anti-tank che una volta sparsi sul terreno possono diffondere radiazioni per migliaia di anni. Senza dover più aspettare nulla dalla Nato, i governi procedono da soli. Le basi italiane in Bosnia sono state setacciate ieri dagli strumenti rivelatori di radioattività. Se le caserme fossero contaminate, sarebbe un dramma. Le «blande» radiazioni emesse dall' uranio impoverito sono particolarmente pericolose quando sono a contatto diretto con l' organismo o hanno la possibilità di agire a lungo. Per fortuna la caserme italiane di Sarajevo si sono rivelate «pulite». Il «Nucleo biologico e chimico» del contingente in Bosnia, guidato nell' occasione dal contrammiraglio Francesco Andreucci e dal professor Vittorio Sabbatini, non ha trovato niente di preoccupante. Anche Madrid si muove autonomamente. Il ministero della Difesa spagnolo ha fatto visitare in fretta e furia 5mila dei 35mila soldati impegnati in Kosovo. Gli altri saranno visitati tra breve. Anche in questo caso risultato negativo. «Non è emersa alcuna contaminazione ricollegabile all' uranio impoverito adoperato nel conflitto balcanico», ha assicurato il colonnello medico responsabile della sanità delle Forze armate di re Juan Carlos. A dispetto della rapidissima indagine a campione, il colonnello Villalonga è certo di avere le informazioni che servono. Anche perché, spiega, i due soldati spagnoli malati non erano mai stati in «aree contaminate». Le associazioni italiane che difendono i diritti dei militari non sono soddisfatte. Il loro fuoco di fila coinvolge tanto la Nato quanto il governo. «A un anno dal loro rientro - spiega, dell' Associazione per i diritti dei militari (Sideweb) - parecchi reduci dai Balcani non sono ancora stati sottoposti a controllo. Alcuni sono stati costretti a farsi visitare privatamente. E' presto per fare nomi, ma a indagini concluse, usciranno allo scoperto per denunciare le carenze, le omissioni e la superficialità con cui sono stati mandati allo sbaraglio ». Esplicitamente contro il governo si scaglia Falco Accame, presidente dei familiari delle vittime delle Forze armate (Anavafaf), che subodora tentazioni di insabbiamento. «La commissione d' inchiesta deve essere nominata dal ministero della Sanità, non della Difesa. E' un problema che non riguarda solo i militari, ma un numero immensamente superiore di civili». L' Angesol, che rappresenta i genitori dei soldati di leva, invece, chiede per bocca della presidente Amalia Trolio l' intervento dei giudici: «Quanti morti da radiazioni dovranno ancora esserci prima che la magistratura militare e ordinaria si attivino?». Anche il sottosegretario agli Esteri, Ugo Intini, è preoccupato. C' è stata, scrive in un intervento pubblicato oggi dai quotidiani del Gruppo Monti, «o sottovalutazione o superficialità o cinismo oppure mancanza di esperienza; forse un'insieme di tutti questi fattori: fatto sta che l' uranio ha provocato ai militari e alle popolazioni civili danni seri». 

A. Ni.


26/12/2000: PANORAMA ON LINE

La morte di tre soldati riapre il caso: le truppe nei Balcani furono esposte a radiazioni?

 

La guerra in Kosovo è finita da un anno e mezzo, ma ritorna il fantasma delle armi usate nei bombardamenti Nato sulla Serbia.

Durante la guerra, infatti, numerosi caccia americani usarono munizioni all'uranio impoverito per distruggere i mezzi blindati di Slobodan Milosevic.
Si tratta di armi che anche a distanza di tempo possono essere nocive per la salute a causa degli effetti prolungati della radioattività. Ora la morte per leucemia di tre soldati italiani impegnati in una passata missione in Bosnia riapre qualche dubbio: i militari utilizzati nei Balcani furono esposti a radiazioni pericolose? E sarebbe stato possibile evitarle?
Lo stato maggiore della Difesa assicura a Panorama Online: «I casi di cui siamo venuti a conoscenza finora (tre soldati della brigata Sassari morti di leucemia, ndr) non sono di soldati che hanno operato nelle zone bombardate con uranio impoverito».

Eppure, ogni giorno vengono rivelati nuovi presunti casi di contaminazione con militari gravemente ammalati.
Nel dibattito interviene anche la commissione Affari esteri del Senato: «Occorre compiere un salto di qualità per la sicurezza della popolazioni colpite, dei militari coinvolti nelle operazioni di bonifica, in ultima analisi per la messa al bando di tali micidiali ordigni, che uccidono a distanza di tempo», si legge in un comunicato.
«Le contromisure, a circa un anno e mezzo del conflitto» sottolineano i senatori «a questo punto riguardano essenzialmente protocolli di cura e prevenzione dell’insorgenza di tumori e leucemie».
Ma la commissione Esteri persegue anche un altro obiettivo: il divieto di impiegare armi all’uranio impoverito in possibili operazioni militari congiunte in ambito Nato visto che molti paesi del patto Atlantico, tra cui l’Italia, non dispongono di simili armi. «Ne consegue» conlude la nota della commissione Affari esteri «che nel passato in Somalia, nel Golfo, in Bosnia e ora in Kosovo, militari italiani e di altri paesi hanno corso enormi rischi - e probabilmente hanno contratto malattie specifiche - senza avere né background né know-how appropriati per il trattamento di tali sostanze».
 

Il ministro della Difesa Sergio Mattarella si è finora limitato a chiedere tutta la documentazione disponibile sui presunti casi di militari contaminati. Domenica sera a Modena, però, ha ammesso che anche in alcune zone della Bosnia (ma non a Sarajevo) sono stati utilizzati proiettili all’uranio impoverito e ha annunciato che interverrà giovedì prossimo alla Camera per riferire sulla situazione sanitaria dei soldati italiani nei Balcani.

Un necessario sforzo di trasparenza, dopo le altalenanti dichiarazioni dei mesi passati. Sin dall’inizio l’Esercito tranquillizzò: «Non c'è pericolo».
Ma Panorama a gennaio del 2000 scoprì un documento del 22 novembre '99 in cui si sosteneva il contrario. E chi lo aveva preparato? L'Esercito. Gli italiani inviati fin dal giugno 1999 nell'ex Jugoslavia non vennero messi al corrente del rischio.

Il documento dell’Esercito aveva questo titolo: "Oggetto. Uranio impoverito. Informazioni ed istruzioni". Seguiva una serie di capitoli: perché è pericoloso, chi lo ha usato durante i bombardamenti sulla ex Jugoslavia e, soprattutto, come devono comportarsi i soldati per evitare gli effetti delle terribili contaminazioni radioattive.

Quindici pagine, su carta intestata del nucleo Nbc (Nucleare, biologico, chimico), diffuso dalla Mnb-W (Multinational Brigade West), il comando militare italiano che (con spagnoli, portoghesi e argentini) opera nel Kosovo occidentale.
Il tenente colonnello Osvaldo Bizzari, che firmò il documento, scrisse: "È importante la diffusione a tutti i livelli" tra i reggimenti che formano la Mnb-W.
Sarebbe potuto essere solo un gesto di eccessiva cautela. Una nota informativa a scopo preventivo. Se non fosse stata datata "Pec, 22 novembre 1999". La "prevenzione", dunque, arrivava in ritardo. E tra gli effetti potrebbero esserci i casi di leucemia denunciati all’opinione pubblica in questi giorni.

Ecco perché: «L'inalazione di particelle insolubili di uranio impoverito» si leggeva ancora nel documento «è associata con effetti di lungo termine sulla salute, che includono tumori e disfunzioni nei neonati». Gli addetti ai lavori sanno bene che cosa sia l'uranio impoverito (in inglese depleted uranium, sigla Du). E che gli americani lo usano per rendere più efficaci i proiettili anticarro lanciati dai caccia A10.
C'è chi ha puntato il dito contro queste armi sostenendo che fossero all'origine della cosiddetta sindrome del Golfo che ha colpito i soldati americani nella guerra contro l'Iraq. Tanto che alcune stime indicano in uno su quattro i soldati reduci americani che hanno contratto tumori dopo la spedizione in Kuwaut del '90/'91.

Il Kosovo, secondo le prime ispezioni della stessa Nato, non avrebbe subìto il temuto inquinamento radioattivo da uranio impoverito. A Panorama lo assicurarono scienziati ed esperti non solo italiani, ma anche di numerosi organismi internazionali interpellati.
La Balkan task force dell'Onu lavorò a lungo e non rilevò questo genere di inquinamento.
Neanche l'Istituto di salute pubblica di Belgrado riscontrò livelli di radioattività superiori a quelli che si trovano in natura. Medici senza frontiere, l'organizzazione vincitrice del Nobel per la pace, controllò se ci fosse inquinamento da uranio impoverito e concluse che non era necessario alcun intervento medico specifico.
E ancora, i risultati dell'indagine della Cric: l'ong italiana ha esaminato i campioni prelevati in nove località del Kosovo che presumibilmente erano state bombardate con uranio impoverito. Risultato: nessun aumento della radioattività.

Tutto tranquillo, dunque? Difficile dirlo, visto che la Nato ha indicato solo con molti mesi di ritardo i luoghi esatti in cui esplosero i proiettili all’uranio impoverito.
Grazie anche alle pressioni dell’Unep (l’agenzia per l’ambiente dell’Onu) e di una commissione nata in seno al ministero dell’Ambiente italiano nel marzo 2000.
Lo scorso 19 ottobre sono state finalmente diffuse le prime mappe dettagliate: la Nato ha indicato 112 siti presi di mira da oltre 30 mila micidiali proiettili in Kosovo, per un totale di circa 9 tonnellate di uranio impoverito rilasciato nella regione. Almeno 40 di questi siti si trovano nella zona di competenza del contingente italiano.

In ogni sito, secondo il sottosegretario all’Ambiente Valerio Calzolaio, «sono stati sparati mediamente 300 proiettili, ma secondo le informazioni ricevute dalla Nato in alcune zone si arriva a 900».
Lo stesso segretario riporta però anche notizie confortanti: «I picchi di contaminazione sono pochi e il quadro non è allarmante. Ma occorre un atteggiamento di grande cautela anche perché i tempi di latenza di eventuali danni causati dalla contaminazione da proiettili all’uranio impoverito non sono brevi, ma si vedranno solo tra qualche anno».

Anni di timori e ansia non solo per i soldati italiani che hanno partecipato e partecipano alle missioni di pace, ma anche per i volontari, il personale delle ong e soprattutto le popolazioni civili dei Balcani.


BRESCIAOGGI DEL 22/12/2000

Caso Kosovo. Preoccupazione anche tra i militari bresciani dopo le ammissioni del ministro
Fa paura l’uranio impoverito
Sospetti per un caso di tumore che ha colpito un sottufficiale



di William Geroldi L’Esercito italiano sapeva delle conseguenze pericolose per la salute dei soldati che in vario modo potevano venire a contatto con l’uranio impoverito nel corso della missione in Kosovo. Se è tutto da dimostrare il rapporto di causa-effetto tra la morte per leucemia o altre patologie segnalate nel contingente italiano, la diffusione avvenuta tra i nostri soldati di scrupolose precauzioni a cui attenersi - con specifici riferimenti all’uranio impoverito - implicitamente conferma la possibilità che qualche pericolo possa esserci. Documenti dello Stato maggiore trasmessi ai reparti in Kosovo all’inizio del maggio scorso indicano esplicitamente alle truppe i provvedimenti cautelativi da adottare a causa della presenza sul terreno di obiettivi colpiti dai proiettili all’uranio impoverito. E - lo ricordiamo - in maggio era quasi trascorso un anno dall’inizio delle operazioni della Brigata multinazionale al comando degli italiani a Pec, proprio una delle zone in cui gli americani hanno ammesso di aver impiegato massicciamente proiettili all’uranio impoverito. Un bresciano colpito da un tumore. C’è anche un particolare inquietante. A un sottufficiale che abita in un Comune dell’ovest bresciano, con alle spalle missioni in Bosnia e Kosovo, è stato diagnosticato un tumore alle corde vocali. L’uomo è stato operato ed è in convalescenza. Anche il suo reggimento, nel maggio scorso, aveva ricevuto disposizioni sui provvedimenti cautelativi da adottare nell’area di competenza della Brigata multinazionale di stanza a Pec (oggi conta poco più di 5mila uomini, di cui 4700 italiani e aggregati argentini, spagnoli e portoghesi; non ci sono militari di leva). Dicevano quelle raccomandazioni, a proposito dell’uranio impoverito (DU nel linguaggio dei militari, che sta per Depleted Uranium): «I proiettili da 30 mm controcarro contententi DU e ritrovati in Kosovo nell’area di impiego del contingente italiano, costituiscono una particolare fonte di rischio. La pericolosità di tale munizionamento deriva dalla tossicità dell’uranio stesso che si manifesta sia dal punto di vista chimico sia dal punto di vista radiologico...» Lo Stato maggiore avverte che «quando un proiettile all’uranio impoverito colpisce un bersaglio viene prodotta polvere di uranio radioattiva che finisce per depositarsi entro un raggio di circa 50 metri dal bersaglio. Questa polvere, in gran parte respirabile, può essere rimessa in sospensione dal passaggio nei pressi della carcassa bersaglio, di militari a piedi o di automezzi. I proiettili che non colpiscono il bersaglio, in funzione dell’angolo di tiro e della consistenza del suolo, possono ritrovarsi o sotto la superficie del suolo o fino a una distanza di circa 3 chilometri dal punto di impatto iniziale, a causa dei rimbalzi successivi sul terreno. In questo caso, in ogni punto di impatto sul terreno si troveranno piccoli frammenti di uranio impoverito». L’uranio è pericoloso? Sì, lo scrive lo Stato maggiore quando afferma che «la pericolosità dell’uranio si esplica per via chimica, che rappresenta la forma di rischio più alta nel breve tempo, sia per via radiologica, che può causare seri problemi clinici nel lungo periodo. L’uranio inalato attraverso la respirazione in parte si deposita nei reni oppure resta nei polmoni, con un dimezzamento biologico che può variare fino a 800 giorni. Particolarmente elevata è anche la percentuale di assorbimento di uranio attraverso le ferite». Lo Stato maggiore suggeriva inoltre una serie di accertamenti clinici ai quali sottoporre i militari con compiti che potevano averli fatti entrare in contatto con l’uranio impoverito. Le rassicurazioni del comando di brigata di Pec («Nessuno per quanto di nostra conoscenza è rientrato in Italia per cause che non fossero malattie o traumi generici») non bastano quindi a far dormire sonni tranquilli a chi in Kosovo ha operato o dovrà andarci con il prossimo cambio della guardia tra reparti (in marzo, dovrebbe toccare alla Brigata Ariete). Nel Bresciano non mancano sottufficiali che hanno prestato servizio nel contingente italiano e i loro timori sono comprensibili. Racconta un maresciallo, con quasi 25 anni di servizio, che chiede l’anonimato per paura di incappare in sanzioni disciplinari: «Mi arrabbio quando sento dire dai nostri politici che il problema non esiste. Certo che se ne parlava tra noi dell’uranio impoverito. Quando sono rientrato in Italia ho provveduto ad effettuare una serie di analisi per tranquillizzarmi, con i costi a mio carico. I risultati sono stati negativi, per fortuna, ma la preoccupazione rimane». Ma proprio ieri il ministro della Difesa Sergio Mattarella ha in qualche modo ammesso che il problema esiste.


LA REPUBBLICA DEL 21/12/2000

ARMI ALL'URANIO
LA PROCURA MILITARE STA GIA' INDAGANDO
Un fascicolo del pm Intelisano sui casi sospetti


ROMA.
Il fascicolo è da circa un anno sul tavolo del procuratore militare, Antonino Intelisano: "atti relativi a.....", o anche "modello 45". Corrispondente alla vita prenatale di una indagine giudiziaria: non è ipotizzato alcun reato specifico, nè ci sono degli indagati. Si tratta di una verifica iniziale per capire se esistano elementi tali da rendere obbligatorio l'avvio di una inchiesta.

Il contenuto del fascicolo è riservato. Ma puo' essere almeno in parte ricostruito secondo il percorso di alcune delle vicende che hanno fatto scoppiare il caso dell'uranio impoverito. In particolare di quella di Salvatore Vacca, il giovane militare sardo ucciso dalla leucemia quindici mesi fa, su cui da novembre indaga la procura di cagliari.

Prima di arrivare alla magistratura sarda, il caso era stato segnalato alla procura militare attraverso un esposto. Non è stato l'unico: altre segnalazioni di morti sospette di militari italiani sono giunte sul tavolo di Intelisano negli ultimi mesi. Quattro o cinque, secondo quanto si è potuto apprendere. In casi come questi, il giudice militare, quando ritiene che l'esame del reato ipotizzato spetti alla magistratura ordinaria  (per Vacca l'esposto parlava di omicidio colposo) segnala il caso alla procura competente.

Ma esiste una parte dell'inchiesta che resta comunque fuori dalla competenza dei giudici ordinari: è quella che si riferisce ai possibili reati militari. In questo caso, la omessa esecuzione di un incarico (per quanto riguarda il ruolo dei comandanti) e la violata consegna. E' stato accertato che, attraverso un opuscolo informativo, lo stato maggiore aveva suggerito una serie di precauzioni da adottare davanti al rischio di contaminazione da uranio impoverito. Il punto è stabilire se queste precauzioni siano state effettivamente adottate, se le informazioni siano state diffuse correttamente, se gli ordini relativi alla prevenzione dei rischi siano stati eseguiti.

A completare il fascicolo "atti relativi" c'è, infine, la documentazione scientifica. Sui danni da uranio impoverito esistono molti studi, com piuti in particolare all'estero.

La fredda elencazione dei materiali a disposizione del magistrato, non deve pero' far dimenticare che alla base dell'indagine  ci sono i drammi di padri e madri che hanno perso i loro figli, di famiglie che sono state private della loro fondamentale fonte di sostentamento. Se si accerterà che all'origine della morte dei soldati ci sono "cause di servizio" per lo Stato scatterà l'obbligo di risarcire il danno.

E' una materia molto delicata, che è all'origine di un contenzioso complesso. Esiste anche un precedente che presenta molte analogie col caso dell'uranio impoverito. Tra il 1982 e il 1988 morirono di leucemia cinque marescialli dell'Esercito addetti alla manutenzione dei radar delle batterie contraeree dislocate tra Mestre e Rovigo. Una percentuale altissima se si pensa che i cinque casi si verificarono nell'ambito di una "popolazione a rischio" di non piu' di centocinquanta individui. In quel caso il rapporto di causa-effetto tra l'esposizione alle radiazioni ionizzanti e i decessi era evidente. Ciononostante, ci vollero anni prima che l'amministrazione militare riconoscesse le proprie responsabilità.

Di Giovanni Maria Bellu
La Repubblica


IL MESSAGGERO DEL 20/12/2000

IL SELENZIO DEI GENERALI
Di napoleone Colajanni

Ha certamente ragione il ministro Mattarella a dire che la prima cosa che bisogna fare è dare serenità alle famiglie dei militari che potrebbero subire le conseguenze dell'impiego dell'uranio impoverito. 

Per il tipo di conseguenze di cui si parla, leucemie, tumori, la sensibilità della gente è molto alta e cedere alla tentazione di approfittarne per scopi particolari sarebbe gravissimo da parte di tutti. L'esortazione non è pero' sufficiente a dissipare i dubbi perche' c'è un problema di affidabilità creato dalle mentalità degli interessati nonchè dalle pressioni di organismi, italiani ed esteri, che hanno la forza di farsi ascoltare.

E' un dato di fatto che i generali sono portati a ricercare i mezzi tecnologicamente piu' avanzati, magari sopravvalutandoli, come è possibile accada per l'uranio impoverito, se è vero quel che ha rivelato " Newsweek", che i carri armati effettivamente distrutti in Serbia sono stati quattordici. Ma se cio' è comprensibile non è sostenibile che si debba affidare ai generali il compito di dare serenità ai soldati ed ai loro familiari.

E' percio' legittimo discutere dell'affidabilità delle prese di posizione sulla questione che è sul tavolo oggi, fondandosi sull'esperienza: il segreto militare è una cosa, coprire il fatto che si è messa a repentaglio a loro insaputa la vita di civili e militari è un'altra. Non vorremmo che tra una decina di anni si venisse a sapere che i fatti erano veri: gli americani hanno compiuto nell'immediato dopoguerra esperimenti atomici su larga scala senza dire niente agli abitanti della zona interessata, nscondendo il fatto per un paio di decenni, finche' non è scoppiato lo scandalo. Sempre negli Stati Uniti centinaia di azioni giudiziarie sono state intraprese contro il pentagono da reduci che mostrano segni evidenti di conseguenze dell'impiego assai probabile di uranio impoverito e armi chimiche nella guerra del Golfo. Da noi, nell'affare di Ustica, è stato tentato con tutti i mezzi di coprire la cancellazione delle tracce radar dell'incidente.

Nel Kosovo il metallo radioattivo è stato effettivamente impiegato, ma sulle possibili conseguenze le autorità militari tacciono. Quanto alla smentita della presenza di proiettili all'uranio impoverito nel poligono sardo, si vedrà se la smentita è veritiera, ma è senz'altro verosimile che gli americani non ci diano armi cosi' sofisticate. Sul fatto che nel Kosovo si sarebbero potute verificare conseguenze il ministro non ha detto niente, e forse non è nemmeno in grado di farlo per mancanza di informazioni. Nella Nato tutto gira secondo il volere degli americani, l'Europa conta poco o niente. Ogni tanto si da un incarico rappresentativo a personaggi di completo affidamento, come quel Xavier Solana, ex segretario generale che da quando è diventato portavoce di politica estera dell'Unione europea, da garrulo che era ai tempi della guerra del Kosovo è diventato taciturno facendo sparire le sue tracce non appena si è posta la questione della collocazione della forza di pronto intervento europeo.

Quale sia la posizione degli Stati Uniti in proposito è perfettamente deducibile dalle intemerate, intimazioni,  intimidazioni che vengono esternate ogni giorno, fino a costringere Jacques Chirac a spiegare sul "Washinton Post" le ragioni non della Francia soltanto, ma di tutta l'Europa.  E qui si pone un altro problema, politico, Finche' sara' questa la situazione della Nato il governo italiano non potrà dare a nessuno assicurazioni di alcun genere.

Piaccia o no, a dieci anni dal crollo dell'Unione Sovietica, dell'avvenire della Nato si deve discutere ed è necessario che il governo italiano abbia una sua posizione, dopo aver di fatto latitato fino ad accettare la possibilità di intervento autonomo, in pratica americano sotto altre spoglie, al di fuori di ogni decisione dell'Onu. Ed è altrettanto importante conoscere la posizione del governo italiano sulla questione se la forza di pronto intervento deve o no essere subordinata alla pianificazione strategica della Nato. Sarebbe bene che Sergio Mattarella prima o poi parlasse anche di questo.


IL MESSAGGERO DEL 19/12/2000

DOPO LE RIVELAZIONI DEL MESSAGGERO MATTARELLA RIFERITA' ALLA CAMERA
COLPITI DA TUMORE ALTRE DUE MILITARI REDUCI DAI BALCANI


ROMA.
Altri due militari italiani reduci dai Balcani sono stati colpiti da tumore. Sono della Brigata Sassari, uno di loro è stato ricoverato in un centro oncologico. E il ministro della Difesa, Sergio Mattarella, riferirà quanto prima alla Commissione Difesa della Camera sulla situazione, anche se già precisa: "Non c'è nessun allarme". Le rivelazioni del Messaggero sulle morti da tumore hanno già provocato una raffica di interrogazioni in Parlamento, dai DS a Forza Italia. Mentre il Ministro della Sanità dal canto suo spiega di non disporre di dati scientifici per valutare le connessioni fra i proiettili all'uranio sparati nei Balcani e le neoplasie.


IL CORRIERE DELLA SERA DEL 19/12/2000

I RISCHI PER L'URANIO DISPERSO NEL TERRENO DOPO LA GUERRA. L'ESERCITO ITALIANO: "RADIOATTIVITA? IN KOSOVO E' TUTTO SOTTO CONTROLLO"

PEC (Kosovo) "Non sottovalutiamo nulla e non trascuriamo alcuna verifica, ma tutti gli esami escludono motivi di preoccupazione". Il Ministro della Difesa Sergio Mattarella dall'Italia ripete che in Kosovo non esiste un "rischio uranio" e invita a "fornire i nomi delle persone coinvolte", i nomi di quei dodici di cui si è tanto parlato in questi giorni. Comunque, rassicura il ministro, " continuiamo a fare i controlli".

L'uomo che li fa materialmente, questi controlli, si chiama Daniele Pisani, è un capitano dell'Esercito italiano e comanda la compagnia NBC, che significa: Nuclear Batteriological Chemical. Cioe' gli uomini incaricati di verificare tutti i possibili inquinamenti che una guerra produce.

Quando avete cominciato i controlli Capitano?

"Subito dopo il nostro arrivo, il 3 luglio del 1999. Per prima cosa abbiamo verificato gli alloggi dei nostri soldati, per vedere se erano sicuri: controlli di aria, suolo, acqua, erba, muri. Con strumenti molto sofisticati, come il Rotem, un rilevatore di radiazioni israeliano che è mille volte piu' sensibile di un contatore Geiger".

Sapevate dove cercare l'uranio impoverito?

"Si, gli americani ci hanno fornito le mappe delle zone dove potevano essere caduti i colpi sparati dalle Pgu 14, le mitragliatrici da 30 mm. degli aerei A10 Thunderbolt. Abbiamo trovato in tutto 800 grammi di uranio e un paio di chili di metallo degli involucri esterni dei proiettili. Adesso sono custoditi con una protezione di piombo e una di plastica speciale, in attesa che la Nato decida di stoccarli da qualche parte".

E i livelli di radiazioni?

"Discorso un po' complesso. Partiamo dal fatto che il cosiddetto fondo ambientale ha un livello di radiazioni medio di 0.2 microsivert. E' un valore che puo' variare a seconda della composizione del terreno, ma che è piu' o meno uguale in tutto il mondo. Anche in Kosovo".

Che valori raggiungono i frammenti di uranio?

"Toccandoli con lo strumento, 300 microsivert. a 5 metri di distanza il valore torna a zero. Ma i raggi emanati dall'uranio sono di tre tipi: alfa, beta e gamma. Gli alfa percorrono circa 2 centimetri, i beta un metro, mentre i gamma anche chilometri. Gli alfa hanno un basso potere penetrante e un alto potere ionizzante, un potere che cioe' rompe i legami delle cellule. Questi raggi si bloccano anche con un foglio di carta. I gamma, al contrario, hanno bassissimo potere ionizzante e un alto potere penetrante: per isolarli serve il piombo. I beta  sono una via di mezzo".

E quindi, quali sono i pericoli di questi frammenti di uranio per le persone?

"Sono pericolosi se li tocco a mani nude o se ne ingerisco una particella anche minima. Il valore alto, quello pericoloso di 300 microsivert, si ottiene solo con un contatto diretto. La terra dei campi in cui abbiamo trovato i frammenti non è comunque risultata contaminata".

La Nato nel novembre scorso ha mandato in Kosovo una squadra di 14 esperti di vari Paesi per verificare i rischi di contaminazione....

"Non hanno rilevato tracce di contaminazione ambientale e gli stessi risultati hanno dato le numerose ispezioni del Cisam, l'ente italiano che è preposto a questo tipo di controlli. Comunque, dopo quattro mesi in prima linea passati a cercare frammenti di uranio nei campi, anch'io ho fatto alcuni controlli specifici, approfonditi, e i miei valori erano assolutamente nella norma, identici a quelli dei soldati che dovevano ancora partire per il Kosovo. Ho fatto anche i test per la leucemia. Negativi".

Giuliano Gallo
inviato del Corriere della sera ggallo@rcs.it 


IL MESSAGGERO DEL 22/9/2000

LEUCEMIA TRA I SOLDATI IN KOSOVO? INCHIESTA DEL PM MILITARE, MA LA DIFESA NEGA: NESSUN RICOVERO
SAREBBERO STATI CONTAMINATI DALLE ARMI ALL'URANIO USA?

ROMA - Nessun caso di leucemia tra i militari Italiani in Kosovo. In Ministero della Difesa smentisce ufficialmente la notizia secondo cui due soldati italiani sarebbero stati rimpatriati perchè ammalati di cancro del sangue. Stessa smentita viene da Pec, quartier generale italiano in Kosovo. 

Il Colonnello Gianfranco Scalas, portavoce del nostro contingente, ha affermato: <Non ci risultano casi di militari italiani rimpatriati per leucemia. Dal primo gennaio scorso i rimpatri per motivi sanitari sono stati 61, per diverse patologie, ma nessun militare è tornato in Italia per questa ragione. Corriamo rischi piu' per motivi banali - ha proseguito il colonnello - come l'acqua, che non sempre è potabile, che per contaminazione radioattiva>. 

La radioattività cui fa riferimento il Colonnello sarebbe quella indotta dall'utilizzo di uranio 238 impoverito per l'ogiva dei missili Tomahawk e per i proiettili degli aerei A 10 e degli elicotteri Apache. Mezzi e armi usati dalle forze Usa del contingente Nato durante l'ultimo conflitto nel Paese balcanico. I proiettili trattati con l'uranio aumentano il loro potere di penetrazione nelle difese dei mezzi corazzati ma la polverizzazione, dopo l'impatto, puo' rappresentare un pericolo anche mesi dopo l'avvenuta battaglia. Sono stati 31 mila i proiettili all'uranio impoverito sparati dagli A 10 nel corso delle loro missioni in Kosovo. E la zona piu' colpita, affermo' l'allora sottosegretario alla Difesa Paolo Guerrini, è stata proprio <la parte del Kosovo che confina con l'Albania e in particolare la superstrada Pec-Djakovica-Prizren>, non lontano quindi dalla sede del contingente italiano. Il portavoce della Nato, Giuseppe Marani, dise, al tempo della guerra, che <il livello di radioattivià dei proiettili non è superiore a quello di un orologio>. Ma non deve esserne molto convinto Antonio Intelisano, procuratore militare di Roma, se è vero come è vero che ha deciso di aprire un'inchiesta sull'argomento. Il Magistrato militare ha detto che sarà <un'inchiesta a tutto campo>, sull'attività dei militari in Kosovo: <C'è un ampio dossier - ha affermato Intelisano - aperto su tutta l'atività dei militari italiani in Kosovo,. Non ci sono ancora indagati nè ipotesi di reato ma certo anche questa vicenda sarà oggetto dei nostri accertamenti>.

Intanto, sull'uranio impoverito la polemica è arrivata in Parlamento. La Lega ha chiesto l'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare per accertare le condizioni ambientali nelle quali operano i militari italiani in Kosovo. <Da moltissimo tempo - ha detto Cesare Rizzi - capogruppo della Lega Nord in commissione Difesa - noi della Lega avevamo denunciato il pericolo per i nostri ragazzi in Kosovo. Già da molto tempo infatti l'ONU aveva emesso dispacci relativi alla pericolosità del territorio del Kosovo a causa dell'uranio impoverito, ma dal Governo nessuna risposta>.

E pure il coordinatore di PRC, Giovanni Russo Spena, ha affermato che <il Governo non può continuare a nascondere la verità. Deve venire a riferire in Parlamento sugli effetti delle 31 mila munizioni radioattive disseminate dall'Alleanza Atlantica in Kosovo>. Passi avanti sull'individuazione dei siti contaminati dai proiettili all'uranio impoverito sono stati intanto annunciati da Valerio Calzolaio, sottosegretario all'Ambiente: <Oggi (ieri n.d.r.) a Ginegra si riunisce il "Desk assessment group" sull'uranio impoverito - ha detto il sottosegretario - e nel corso della riunione verranno esaminati i nuovi elementi forniti dalla Nato. Finalmente ci sono quindi le condizioni per capire precisamente dove sono caduti gli ordigni piu' pericolosi. La riunione - ha proseguito Calzolaio - deciderà come procedere nello studio dell'impatto che l'uranio ha avuto nell'area balcanica>.
 

 
 

 


 

 

 

 

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